IHEU agli stati africani: “mettete fine alla violenza sulle donne e rispettate i vostri doveri sull’aborto”

Durante un dialogo interattivo con il Relatore speciale sulla violenza contro le donne al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, il capo della delegazione dell’Unione internazionale etico-umanista (IHEU), Elisabeth O’Casey, ha fatto appello agli stati africani per rispettare i propri obblighi internazionali sull’aborto.

Nel 2003 l’Unione Africana firmò il Protocollo alla Carta Africana dei diritti dell’uomo e dei popoli sui diritti delle donne (conosciuto come Protocollo Maputo) che, tra gli altri, garantisce il diritto di aborto se la salute mentale o fisica di una donna è messa a rischio dalla gravidanza.

È la prima volta che un provvedimento del genere viene incluso in un documento sui diritti umani internazionale o regionale, ed è estremamente importante. Dodici stati in Africa considerano ancora illegale l’aborto in ogni circostanza e quattro milioni di donne all’anno nel continente ricorrono a rischiosi aborti illegali. L’IHEU ha fatto appello al Consiglio per i diritti umani per mettere pressione a quegli stati che ancora devono ottemperare ai propri doveri sotto il Protocollo di Maputo riguardo all’aborto, esortandoli a smettere di violare i diritti delle donne.

Abbiamo anche sottolineato il ruolo pernicioso dei gruppi evangelici americani sul continente, i quali diffondono intimidazione contro le donne che desiderano l’aborto e vogliono influenzare la legislazione a danno dei diritti riproduttivi delle donne. Gruppi come questi stanno anche promuovendo una campagna aggressiva contro i diritti delle persone LGBT negli stati africani.

La nostra dichiarazione è riportata per intero qui sotto:

DICHIARAZIONE ORALE
Unione internazionale etico-umanista

Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, XXIX sessione (15 giugno – 3 luglio 2015)
Dialogo interattivo con il Relatore speciale sulla violenza contro le donne
Elisabeth O’Casey

L’IHEU vorrebbe ringraziare il Relatore speciale sulla violenza contro le donne per il suo rapporto esplicativo e dettagliato. Vorremmo concentrarci specificamente sul Protocollo di Maputo (il protocollo alla Carta Africana dei diritti dell’uomo e dei popoli sui diritti delle donne) e le sue disposizioni determinanti sull’aborto medico. L’approvazione dell’aborto in casi in cui, per esempio, una continua gravidanza metta a rischio la salute mentale e fisica della madre è, come nota il professor Manjoo, “cruciale, considerando l’alto tasso di mortalità materna collegato alla pratica degli aborti a rischio.”

Le disposizioni sono rilevanti e rappresentano un progresso, considerando che ogni anno sono effettuati in Africa circa quattro milioni di aborti a rischio, con circa il 40% delle donne che muoiono in seguito a tali aborti.

[In particolare, in Sudafrica, appena due anni dopo la legalizzazione dell’aborto il numero delle morti tra le donne incinte che si sottoposero alla procedura è diminuito del 90%]

Nonostante ciò, dei 46 firmatari del protocollo, 12 in tutto considerano ancora l’aborto illegale, e altri sette lo permettono solo in casi in cui la vita della donna sia in pericolo a causa della gravidanza. Come evidenziato dal Relatore speciale, “argomenti culturali, religiosi e morali contro l’interruzione delle gravidanze […] mettono a dura prova l’effettiva realizzazione di questo diritto.”

Una di queste forze sono i gruppi cristiani evangelici degli Stati Uniti, che tentano la “colonizzazione culturale” dell’Africa e organizzano uffici religiosi per promuovere attacchi contro l’aborto, il sesso, i diritti riproduttivi, il controllo delle nascite e l’omosessualità.

In alcuni paesi c’è un clima di intimidazione in cui le donne che desiderano l’aborto sono denunciate alla polizia da membri di gruppi come il Consiglio ecumenico delle Chiese o Human Life International.

Attaccando “l’effettiva realizzazione di questo diritto” e facilitando l’intimidazione e l’indignazione religiosa e culturale contro le donne che desiderano l’aborto, alcuni stati africani stanno generando un clima di violenza contro le donne: le stanno condannando a pericolosi aborti non autorizzati o a continuare una gravidanza che mette a repentaglio la loro salute.

La violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani. Facciamo appello a questo Consiglio per esortare quegli stati che hanno firmato il Protocollo di Maputo, un documento sui diritti umani legalmente vincolante, a mantenere i loro obblighi e cessare di violare i diritti delle donne.

Traduzione di Giulia Guidotti

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13 commenti

stefano

e l’italia non la condannano? qui la 194 esiste solo come un simulacro di una legge visto che nei 3/4 del territorio abortire è quasi impossibile per la presenza dei ginecologi ciellini che si rifiutano di applicarla.

Engy

l’obiezione è prevista proprio dalla legge 194.
e c’è chi da tempo si sta muovendo (non sulla tastiera ma concretamente) per modificarla a tale proposito, proponendo anche nuove ipotesi e campi di applicazione, giusto perchè – comunque la si pensi – esiste il problema oggettivo di una legge dello stato che in certe regioni rischia di essere disapplicata per il problema di una obiezione massiccia, non credo solo da parte di ciellini.
poi ribadisco – perchè c’è ancora chi la ritiene, evidentemente non avendola mai letta, una legge che permette “tutto” – che i principi ispiratori della ottima legge 194, sono principi di Prevenzione, finalizzata soprattutto a promuovere e proteggere la maternità e le gravidanze desiderate, a salvaguardare la salute della donna e del bambino e sopra-sopra tutto, a prevenire il ricorso all’aborto come metodo anticoncezionale e combattere l’aborto clandestino.

gmd85

@E.n.g.y

L’aborto non è metodo anticoncezionale e , se ben ricordo, l’obiezione valeva per chi era già medico, non per i successivi.

Giorgio Pozzo

se ben ricordo, l’obiezione valeva per chi era già medico, non per i successivi.

Non proprio:
Articolo 9
Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata al medico provinciale e, nel caso di personale dipendente dello ospedale o dalla casa di cura, anche al direttore sanitario, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento della abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione di tali prestazioni.
L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale.

Il punto cruciale, del quale si abusa, non è tanto l’obiezione, ma piuttosto il fatto che rimane responsabilità della struttura ospedaliera “compensare” l’obiezione di coscienza:
Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8

Flavio

gmd85 Certo, e’ l’interpretazione che ne da’ una persona ragionevole, ma la legge non contiene limitazioni (non a caso).

Frank

Engy, il problema non è per quelli che ritengono che la 194 permetta tutto perchè non l’hanno letta, visto che c’è ancora qualche speranza perchè trattandosi d’ignoranza alla cosa si può rimediare, il problema è per quelli che dicono che l’hanno letta e sostengono che sia un ottima legge visto che per loro non c’è più niente da fare. 🙂

gmd85

@Flavio

Diciamo pure che chi non è avvezzo ai meandri dell’interpretazione giuridica, non se ne rende conto. Per quanto, il testo, nella sua chiarezza è facilmente interpretabile. Con un po’ di buon senso, come giustamente hai affermato.

francesco s.

L’obiezione di coscienza selvaggia è contagiosa, perché se i non obiettori son pochi tutti gli aborti se li sorbiscono solo loro e ora praticare sempre aborti perché i colleghi non li fanno può essere professionalmente deprimente per un ginecologo che tendenzialmente vorrebbe occuparsi di parti. Sarebbe ora che venga eliminata l’obiezione, lasciandola solo a quelli che già sono stati assunti, e comunque c’è sempre la sanità privata in cui un ginecologo obiettore può realizzarsi.

RobertoV

http://d.repubblica.it/attualita/2014/11/10/news/obiettori_italia_aborto_volontario_donne_legge_194-2365198/
Secondo la relazione del ministro alla fine del 2014 il numero degli obiettori in Italia era di circa il 70%, il totale delle strutture con reparto di ostetricia e ginecologia a livello nazionale risulta pari a 630, mentre il numero di quelle che effettuano le Ivg si attesta solo a 403 (64% del totale), tra le quali anche strutture universitarie che devono formare i nuovi ginecologi ed il personale.

giovanni da livorno

Penso proprio che sia stato un errore non sostenere anche il referendum radicale, il quale voleva estendere anche alle strutture private la facoltà di praticare l’IVG. Infatti, pochi anni fa sentii Pannella fare, su per giù, questa dichiarazione: “Immaginavo che, permettendo l’obiezione di coscienza anche ai medici abilitatisi DOPO il referendum, ci sarebbe stata una “strozzatura” che avrebbe impedito la piena attuazione del diritto, per questo proponemmo il nostro referendum estensivo: per dare un’ulteriore valvola di sfogo alle richeiste dell’utenza. La cosa non fu capita e si è arrivati alla parziale abrogazione, DI FATTO, della legge”.
Ci fosse una classe politica coraggiosa, il referendum radicale sarebbe da riproporre (con una campagna politica ben centrata stavolta). Ma tanto, come diceva un mio amico “E’ inutile parlare d’amore alla gente che non è innamorata”.
Saluti. GdL

giovanni da livorno

Mi sembra sia che languisca un po’, il blog in questi giorni……………………….GdL

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