Atei e credenti non sono diversi sotto il profilo della salute mentale

È opinione corrente che le persone religiose siano mentalmente più sane degli atei. A prima vista sembra avere un senso, per via del loro sentimento di appartenenza a una comunità e dell’idea che un potere supremo vegli su di esse. Una recente ricerca, tuttavia, mostra che in definitiva questa supposta differenza non esiste.

In un articolo pubblicato in “Psychology of Religion and Spirituality” (“Psicologia della religione e spiritualità”) – Università di Louisville – Mark M. Leach e Jon T. Moore (del Dipartimento della Salute Mentale di Palo Alto – Settore Affari dei Veterani) sostengono che un aspetto del problema è che i precedenti lavori non solo hanno mancato di includere gli atei nelle loro ricerche, ma hanno considerato i cristiani come del tutto rappresentativi di tutte le religioni:

Le passate ricerche che hanno indagato sugli effetti positivi della religiosità sulla salute mentale hanno ampiamente escluso i laici… Alcuni studi in questo settore hanno messo a confronto persone molto religiose e persone poco religiose… mentre altri studi hanno considerato come un gruppo unico i poco religiosi e i laici… in base all’assunto che essere poco religiosi ed essere laici sia la stessa cosa. Però è presumibile che i laici siano differenti dai poco religiosi, perché si suppone che i secondi si identifichino con una specifica religione, abbiano una qualche credenza legata a una dottrina religiosa, e/o siano coinvolti in qualche attività religiosa.

Un altro difetto metodologico dei precedenti lavori è che molto di quanto si conosce sulla psicologia della religione riguarda la psicologia del cristianesimo, perché i cristiano sono stati studiati in modo più ampio… e gli studiosi hanno immaginato che i costrutti associati al cristianesimo siano ampiamente generalizzabili…

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Così, Leach e Moore hanno messo insieme atei, agnostici e un certo numero di credenti di varie religioni — molti tratti da gruppi Facebook e Reddit — hanno chiesto loro di dichiarare quanto fossero devoti, e poi gli hanno fatto compilare una serie di questionari diversi correlati alla salute mentale.

Cos’hanno scoperto?

Tra i partecipanti che hanno fornito un numero soddisfacente di risposte sull’apposita scala, sono stati messi a confronto i teisti acclarati (n=348) con gli atei acclarati (n=515) e dopo aver effettuato un controllo sulla varianza…

… è risultato che, tra quelli assolutamente certi che Dio esista e quelli assolutamente sicuri che non esiste, i livelli di salute mentale sono molto simili.

È possibile che, quando sei realmente convinto che Dio esista o non esista, il senso di comprensione e consapevolezza si allarghi agli altri ambiti della tua vita. Ne consegue che sia peggio essere ambivalenti sulla questione dell’esistenza di Dio.

… forse una persona convinta che l’esistenza di Dio non possa essere stabilita, non si trova più in uno stato di sospensione dell’identità (per cui debba ancora cercare di trovare un’identità personale appropriata) mentre una persona che è solo fino a un certo punto convinta dell’esistenza o della non esistenza di Dio sta ancora attraversando una sospensione dell’identità, sperimentando di conseguenza il distress associato a tale stato.

Vedremo se tutto ciò verrà confermato da studi successivi, ma combacia di certo con la mia esperienza. Anche senza avere una chiesa, la maggior parte degli atei che sono alla ricerca del senso di appartenenza a una comunità possono trovarlo in altri luoghi.

Hemant Mehta

Traduzione di Flaviana Rizzi. Post originale: Contrary to Previous Research, Study Finds That Atheists and Believers Have Similar Levels of Mental Health

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60 commenti

Gianluca

“È opinione corrente che le persone religiose siano mentalmente più sane degli atei.”

E’ opinione corrente di chi? Io è la prima volta che lo sento. Piuttosto in Italia è opinione corrente che le persone religiose siano moralmente migliori degli atei, opinione che viene smentita dai fatti, dato che la quasi totalità della popolazione italiana è formalmente cattolica e l’italiano medio non brilla certo per senso civico e onestà nel pagare le tasse. Addirittura questa percentuale di appartenenza religiosa sale nei politici, parimenti con la disonestà.

Monsieur Bovary

@ Gianluca

Ben detto. Probabilmente alcuni pensano che la prospettiva di un premio/castigo ultraterreno sia un incentivo a rigare dritto, laddove invece gli atei si sentirebbero autorizzati a comportarsi in modo immorale perché “tanto dopo morti non c’è niente”…. ma io credo che la fantasia di un Dio che perdona sia altamente deresponsabilizzante, sia da un pdv strettamente personale (sì, ho sbagliato, ma tanto Dio mi perdona), sia da un pdv più ampio – ad es. non muovere un dito contro ciò che nel mondo c’è di sbagliato, perché “Dio ha voluto così” oppure “è stata la punizione di Dio” ecc. ecc.

Engy

“È opinione corrente che le persone religiose siano mentalmente più sane degli atei”.
Sono d’accordo con Gianluca, non mi risulta – fortunatamente – essere opinione corrente, se non presso il sito uccr dove ho letto una cosa del genere tempo fa, ma altrove no, per la strada, in ufficio, al supermercato proprio no.

Gérard

La ricerca è stata effettuata negli USA dove essere ateo non è ben visto ta tantissime persone…
Podarsi che questo sia il motivo della ricerca perchè in questo paese ci sono tanti “credenti ” che vedono i atei come persone squilibrate …

Monsieur Bovary

Ne consegue che sia peggio essere ambivalenti sulla questione dell’esistenza di Dio.

Su questo non posso dirmi totalmente d’accordo, perché non comprende quella che secondo me è una non indifferente quota dei non-religiosi: gli “indifferenti” o “atei pratici”: gente che proprio non si pone il problema e rivolge la propria mente e il proprio cuore a ben più immediate e importanti questioni, nel qui ed ora.
Avere delle certezze è spesso d’aiuto nella vita; per quanto mi riguarda sono…certo che il tema “Dio esiste o no?” sia di totale irrilevanza.

benjamin l'@sino

Ma che dicano un po’ quel che vogliono. Son stupidaggini e niente più. Anzi, malignamente posso arrivare a ipotizzare che siano un mezzo per garantire reddito a categorie “mediche” mediamente assai poco spendibili. Gli studi sulla psicologia di gruppo dai quali occorre guardarsi, perché sono strumenti di manipolazione, sono quelli condotti nei campi del commercio e della politica. Chissà perché, ho come l’impressione che di quegli studi non si trova traccia nelle riviste, specializzate o meno che siano. Sarebbe come sperare di vedere una trasmissione nazional-popolare, condotta da Antonella Clerici o similare, nella quale si fornissero dettagliate istruzioni sulla sintesi di esplosivi ad alto potenziale con metodi artigianali, anziché quelle per cucinare frittate e tagliatelle…

Nessuno mette in piazza le proprie conoscenze in campo bellico, e la psicologia sociale è un’arma a tutti gli effetti.

Antonio

Quello della psicologia di massa è un argomento molto interessante e pone molti quesiti: alla fine, se un gruppo sociale reagisce in maniera abbastanza prevedibile a certi stimoli, esattamente come una reazione chimica, che senso ha la democrazia?
Inoltre, appurato che queste conoscenze sono “pericolose”, cosa bisogna fare? Bruciare i libri di psicologia sociale? Costringere gli scienziati ad abiurare per continuare a perpetrare l’illusione del libero arbitrio?
Per come la vedo io, il controllo di certi esseri umani sugli altri è un fenomeno assolutamente spontaneo, il potere e la ricchezza tendono sempre a concentrarsi nelle mani di pochi e, se li costringi a “redistribuirsi”, dopo un poco ritornano nella posizione iniziale, ne è conferma la degenerazione dei sistemi democratici che stiamo vivendo.

Antonio

PS Sul costringere gli psicologi ad abiurare sono stato volutamente provocatorio, spero sia stato chiaro.

benjamin l'@sino

Antonio: “Inoltre, appurato che queste conoscenze sono “pericolose”, cosa bisogna fare? Bruciare i libri di psicologia sociale? Costringere gli scienziati ad abiurare per continuare a perpetrare l’illusione del libero arbitrio?”

“Bruciare” i libri (non in senso letterale, ma siamo lì) e costringere all’abiura sotto la minaccia della squalificazione sociale è esattamente quello che si è fatto per quanto riguarda l’esistenza o meno delle razze nell’ambito della specie umana (e, nota bene, in modo del tutto irrazionale e insostenibile solo di quella) e quello che si sta facendo circa le differenze di genere (ancora, sempre e solo per quel che riguarda la specie umana). Anche questi sono esempi di manipolazione messa in atto tramite l’uso delle conoscenze rese disponibili dagli studi sulla psicologia di gruppo. Allo stesso modo si indirizza il gregge ad attribuire valore all’auto da xxx cavalli con navigatore satellitare in grado di scaccolare il conducente durante le manovre di parcheggio, al cenone di capodanno in Patagonia, a credere alla luce in fondo al tunnel della crisi, alla crisi stessa, alla incredibile sfortuna per la quale ogni natante che prenda il largo da Libia e zone limitrofe non possa far altro che andare in avaria, all’importanza per l’orgoglio nazionale di allestire l’Expo e di vincere i mondiali di calcio… basta, dai, che la lista s’allunga troppo nella sua palese assurdità e rischia d’allargarsi fino a toccare temi ormai tabù proprio a causa delle manipolazioni protratte.

Monsieur Bovary

@ benjamin l’@sino

Fiùùù, meno male che c’è lei ad aprirci gli occhi. Ora sono molto più sereno.

benjamin l'@sino

Monsieur, “è uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo”. Sapere che allieto la gente m’alleggerisce l’animo.

bruno gualerzi

Ma cosa si intende per ‘salute mentale’? La presenza o la mancanza di un qualche disturbo psichico clinicamente certificato? Oppure è sufficiente un test – per quanto scientificamente elaborato – in base al quale quantificare la salute mentale?
E anche ammesso, ma non concesso, che questi rilevamenti abbiano un senso, è possibile ricavarne giudizi di merito? Certo, è meglio essere sani che essere malati, come diceva sempre mia nonna (non è vero, o almeno non mi ricordo… ma in questi casi è di prammatica tirare in ballo le nostre povere nonne 🙂 ), ma – ripeto – se non si è in presenza di documentate cartelle cliniche, chi può onestamente affermare di non avere qualche mania, qualche fobia, qualche comportamento non proprio razionale, e cose del genere? Io credo che chi lo negasse sarebbe… mentalmente disturbato
Studi come questo che portano a questi risultati (“Atei e credenti non sono diversi sotto il profilo della salute mentale”) a me sembrano avere lo stesso valore di uno studio che verificasse come ‘fra i credenti e i non credenti il numero dei calvi si equivale’.

bruno gualerzi

Completo il concetto. Esiste qualche genio riconosciuto che non presenti qualche ‘anomalia’ psichica? D’accordo che ciò può essere considerato come la classica eccezione che conferma la regola (non è che i geni nascono tutti i giorni)… ma credo che sia pur sempre sufficiente per non considerare necessariamente disturbo mentale (nel caso di certi geni anche clinicamente accertati) sinonimo di minore forza intellettuale.
Perchè questi studi – per ‘neutrali’ che siano – questo lasciano intendere. O comunque così vengono letti. Anche qui.

Giorgio Pozzo

Me lo sono chiesto anche io. E mi sono convinto del fatto che non esiste la “salute”, che sia fisica o mentale, ma la mancanza, più o meno accentuata, della medesima.
Così come non esistono persone “sane” fisicamente (*), così non esistono persone “sane” mentalmente. Ognuno, chi più chi meno, possiede una certa dose di psicopatologie varie (io ad esempio sono claustrofobo). Anzi, essere un poco (o anche abbastanza) psicopatici, aiuta nell’esercizio di certe professioni, quali avvocati, politici, e chirurghi (**).
(*) le diagnosi servono a scoprire le patologie, non ad escluderle. Si tratta del principio di falsificazione scientifica.
(**) su Le Scienze di alcuni mesi fa.

Sandra

Il paper che dà spunto all’articolo è scaricabile solo a pagamento, e nell’abstract si parla di “indicatori di salute mentale” senza specificare quali siano.
Ho però trovato dell’autore Moore, con Leach come co-relatore, quella che sembra una tesi di dottorato, dal titolo “Dogmatism, coping, and spirituality : predicting mental health among the religious and the specular”, del 2014, che mi sembra simile a quello del post, e dove vengono elencati sei indicatori di cui cinque non sembrano variare significativamente in base alla fede o meno.
(Con beneficio di inventario), i cinque indicatori di salute mentale (anche se a me piace di più benessere psicologico) sono: Life Satisfaction, Negative Affect, Positive Affect, Altruism, Hope
Il sesto è la gratitudine.

Sandra

ht tp://ir.library.louis ville.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2003&context=etd

Mauro

L’essere umano è di base malato mentale.
Religione o ateismo possono solo accentuare o limitare il problema, non risolverlo.

stefano

scusate, mi è scappato un invio.
vorrei rispondere con un aforisma; “la religione è una medicina per la mente, ne consegue che chi non crede è spiritualmente e mentalmente sano”- C.G.Jung

Gianni

Mmm… Non ho mai incontrato questa presunta affermazione nelle opere di Jung.
Sarà mica un apocrifo/fake?
Estremi bibliografici, please.
Grazie

gmd85

Bah, Jung era anche uno che si era convinto di aver fatto esperienza dell’esistenza di Dio. None esperienza di fede, ma qualcosa di quasi empirico, approdando a una visione gnostica e panteistica. Aveva idee tutte sue, altalenanti, seppur in contrasto con parte della dottrina cattolica. Tra l’altro era calvinista. Tutti dati che i nostri u.c.c.rociati trascurano bellamente quando lo citano.
In ogni caso, neanche io trovo riferimenti all’aforisma

Frank

Sarà mica un apocrifo/fake?

Come i Vangeli e gli atti degli apostoli? Può essere.

gmd85

@Giorgio Pozzo

Tratti di “anormalità” li hanno tutti 😛

stefano

@Gianni
per il riferimento bibliografico non posso esserti di aiuto.
credo sia un’estrapolazione di opere meno conosciute poichè effettivamente non esiste una simile frase in ciò che ho letto di Jung, io l’ho ripresa da un sito laico (credo alateus.it) d’altronde considerando la visione mistica del personaggio, che credeva negli spiriti, nei demoni e fu seguace del nazismo 🙂 non mi stupirei se l’avesse pensata o scritta realmente.

Vittorio

Per sondare il livello mentale della gente religiosa e no sarebbe sufficiente porre la seguente domanda : credi tu che un individuo abbia camminato sulle acque, sia nato da una vergine, abbia moltiplicato pane e pesci, si siano verificati eclissi e tempeste al momento della sua morte e che in seguito sia risorto ed asceso al cielo ecc… (Gesú) e un´altro individuo (Maometto) abbia percorso 2 mila km sottoterra alla velocitá della luce e sia sbucato a Gerusalemme in sella ad un cavallo e si sia fatto un giretto nei 7 cieli e abbia sorvolato l´inferno, quindi si sia fatto un´intervista con Dio in persona, dimentichiamo le altre amenitá, tipo le vergini del cielo, i fiumi di latte e miele, la moglie di 9 anni lui che, per interesse, aveva sposato una vecchia ricca, ecc…. Se qualcuno dice di credere seriamente a queste cose, si puó immediatamente capire a che punto sia la sua salute mentale.

bruno gualerzi

Quindi – parlo da ateo – dal momento che non c’è nessuna religione istituzionalizzata che non comporti personaggi o eventi ‘miracolosi’ tutti i credenti sono dei minorati mentali? Non credo si possa liquidare in questo modo il fenomeno religioso.

Diocleziano

Se non è così, però ci va molto vicino: un credo religioso è sempre frutto di un condizionamento pianificato. La religione solo agli stadi estremi di induzione genera qualche forma di pensiero creativo, nel senso peggiore, di ulteriore elaborazione visionaria; ai livelli standard il condizionamento/insegnamento della dottrina è molto livellato. Personalmente non credo che la massa indistinta dell’umanità abbia bisogno di tutta questa spiritualità: glielo si fa credere perché è l’unico modo di tenerli legati alla chiesa.
Chi ha veramente l’esigenza di realizzarsi spiritualmente lo fa attraverso l’arte, la creatività, la conoscenza… che poi qualcuno definisce ‘doni di dio’…

stefano

la paura della morte e la consapevolezza della fine di questa vita pone la religione come un’ipoteca per un’eventuale riscatto in una vita oltre la vita, credo valga anche per le religioni che concepiscono un’altra esistenza come reincarnazione in questo mondo in altre forme viventi.

Stefano™

@ bruno gualerzi

beh, non puoi dire che con la religione l’uomo si aliena e poi rimangiarti tutto! 🙂
Da un punto di vista cognitivo ed emotivo le religioni negano la realtà o comunque cercano di trasformarla magicamente, il che va pericolosamente vicino a quanto fanno persone gravemente disturbate.
Lo fanno in gruppo, però.

bruno gualerzi

@ Stefano tm
“beh, non puoi dire che con la religione l’uomo si aliena e poi rimangiarti tutto! 🙂 ”

Ti ringrazio per la provocazione… anche se adesso te ne pentirai 🙂
Ribadendo che il concetto di religione – per quanto mi riguarda – va oltre l’appartenenza ad una religione istituzionalizzata (preferisco parlare di pensiero magico-religioso), considero la religione (tu che frequenti assiduamente il blog, chissà quante volte ti sarà capitato di leggere da parte mia questa tiritera 🙂 ) un’esigenza determinata dalla condizione umana, esigenza dovuta all’istinto di conservazione che fa a pugni soprattutto con la coscienza della morte individuale…
ed è la risposta a questa esigenza che può diventare alienante, ma l’esigenza resta. Resta, ed è leggibile tra le righe di qualsiasi religione che è pur sempre il prodotto di un invenzione umana… ‘invenzione’, certo, ma umana (sperando che Florenskij non mi smentisca subito azzardo una citazione da Feuerbach, da me così volgarizzata:”Dimmi che dio hai e ti dirò chi sei”) ! Ecco perchè, per alienante che sia (e lo è, indiscutibilmente) non riesco a vedere la religione come il prodotto di un puro e semplice disturbo mentale (fermo restando che ‘disturbato’ può esserlo anche un ateo o un agnostico, o un razionalista puro).
Inoltre – e di questo credo abbiamo già discusso – parto sempre dal presupposto che ‘il mondo è la mia rappresentazione’ per cui veramente alienante è non tenerlo nel dovuto conto e illudersi che la nostra mente sia in grado di ‘andare oltre’ questa condizione. Come fanno, direi ‘per statuto’, le religioni… ma non solo. In quanto al rapporto corretto con la cosiddetta realtà ritengo che l’unico strumento utile di cui si dispone è la ragione… ma è veramente utile solo se se ne riconoscono i limiti. Se, insomma, non la si ‘sacralizza’.

@ stefano (senza tm 🙂 )
In linea di massima – anche se probabilmente ricavandone considerazioni diverse – la vedo allo stesso modo.

@ Diocleziano
Sia pure indirettamente, credo di poter replicare con quanto rispondo a Stefano tm

Stefano ™

@ bruno gualerzi

non riesco a vedere la religione come il prodotto di un puro e semplice disturbo mentale

Non ho detto (e nemmeno tu lo dici) questo: ho detto che:

Da un punto di vista cognitivo ed emotivo le religioni negano la realtà o comunque cercano di trasformarla magicamente *)

che corrisponde, mi pare, a:

(…) è la risposta a questa esigenza e la risposta (…) alienante (…) lo è, indiscutibilmente è del tutto simile a quanto ho scritto io…

*) pensiero magico-religioso

Il che corrisponde alle strategie cognitive di evitamento o trasformazione di un problema tipiche di alcuni disturbi conclamati. Pur non essendo un sostenitore di Freud la sua definizione della religione come “nevrosi collettiva” mi sembra in gran parte azzeccata.
Chi non dovesse essere d’accordo mi dovrebbe spiegare altrimenti a che “serve” la religione e come si fa a sapere se “serve”. Se ancora qualcuno non dovesse essere d’accordo, si chieda cosa succederebbe ad un credente se da domani dovesse rinunciare alla sua religione. E perché gli è così difficile rinunciarci.

bruno gualerzi

@ Stefano tm
“Pur non essendo un sostenitore di Freud la sua definizione della religione come “nevrosi collettiva” mi sembra in gran parte azzeccata.”

Lo è anche per me… ma la ‘collettivizzazione’ (se così si può dire) della nevrosi dipende in gran parte dalla cultura, dalla ideologia (in senso marxiano, e qui decisivo è l’aspetto politico-economico) dominante… mentre il carattere nevrotico è pur sempre riconducibile ad una condizione umana che può portare all’alienazione della quale la collettivizzazione più che una causa è un effetto. Del resto ‘religione’ nella sua accezione latina significa ‘re-ligare’, cioè ‘legare insieme’, uniformare, diciamo pure costituire… un ‘fascio’. Il che per un anarchico (nonviolento) quale mi ritengo, non è poco 🙂

Francesco S.

Io non mi azzarderei a fare diagnosi di patologie mentali, non siamo psichiatri. Credo che la religione sia una forma di alienazione, se tale alienazione sia patologica lo può decidere solo un medico nel momento che visita il paziente. Solo in certi casi singoli lo si può dire con certezza tipo Breivik o gli attentatori parigini.

Stefano ™

@ Francesco S.

Premesso che un pò di psicologia me ne intendo, quindi so di che scrivo, qui non si tratta di fare diagnosi alcuna. La diagnosi (che poi in psicologia è l’analisi comportamentale) è individuale, non collettiva.
Io ho rilevato il fatto che le religioni mimano (sono isomorfe a) meccanismi psicologici che sono presenti in disturbi psicologici conclamati o in comportamenti palesemente superstiziosi. E’ cosa diversa, da un certo punto di vista, eppure molto simile da altri. E la funzione, in un caso e nell’altro, è pressoché identica: un’illusione che aiuta ad evitare (o cerca di trasformare) la realtà. Nel caso dei disturbi conclamati le illusioni e i pensieri magici sono idiosincratici, nel caso delle religioni codificati.

Stefano ™

Jeffrey Tayler dice qualcosa di molto simile, anche se in modo parecchio più colorito ed estremo (la traduzione è mia):

Data la natura estrema delle illusioni e i comportamenti che ne risultano – per esempio petizioni sussurrate ad un invisibile tiranno celeste con lo scopo di assicurarsi risultati favorevoli, altrimenti denominate preghiere, e le risposte allucinate del medesimo invisibile tiranno – una conclusione sembra evidente: la fede ha distrutto le loro facoltà mentali e produce sintomi che, non fossero protetti dall’etichetta “religione”, si definirebbero come patologici.

Francesco S.

Rispondevo a Vittorio, come si intende dall’indentazione, anche se non è molto evidente. Lui ha parlato di salute mentale, quella la stabilisce il medico psichiatra sul paziente. Io distinguo l’alienazione come aspetto socioculturale in senso marxista (mi si passi il termine) da quella come sintomo di una patologia mentale, potrebbero coincidere ma tale coincidenza va appurata sul singolo caso medico.

Francesco S.

Certo come battuta colorita in un libro per spiegare un concetto si può fare il paragone, ma appunto che sia quello lo scopo.

Gérard

Permetti un dettaglio … Il profeta Maometo ( …Pbsl..) non si è recatto a Gerusalemme come dici tu
E volato in una notte in questa citta con il suo famoso cavallo Al Buraq ( ne evito la descrizione …) E arrivato in quella citta, sul monte del tempio, dove poi è salito al cielo…
Tutto ciò non si trova nel Corano ma negli Hadiths…

Tino

In effetti sono state spesso pubblicate ricerche che tendevano a “dimostrare” questa storia degli atei “meno sani”. In linea di massima io penso che moltissime ricerche sono viziate da presupposti ideologici quando c’è di mezzo la sociologia. Ben venga comunque questa che almeno va controcorrente.

Frank

“Il discreto fascino delle ricerche psicologiche”

Psicologo: Complimenti lei gode di un’ottima salute mentale.
Paziente: Grazie.
Psicologo: Leggo qui che lei crede in dio ma come fa a sapere che esista veramente?
Paziente: Come faccio a saperlo? Perché io sono dio!

giovanni da livorno

@ Tino

ed infatti ho proprio trovato una di queste ricerche (mmmolto orientate) che tendono a dimostrare la più fortunata condizione dei credenti rispetto a quella patologica dei non credenti:
http://www.uccronline.it/2010/12/22/nuova-ricerca-sociologica-la-religione-e-lingrediente-segreto-che-rende-le-persone-piu-felici/
fra l’altro ritirano fuori la scommessa di Pascal che, in più occasioni abbiamo rilevato essere un ragionamento inconsistente, per la semplice ragione che non abbiamo un’unica religione su cui scommettere in alternativa alla non credenza, ma molte che, quasi sempre, si odiano fra loro.

E come se ciò non bastasse, argomentano pure che i paesi più felici del mondo sono Panama, Equador, El Salvador ecc.
http://www.uccronline.it/2013/01/12/i-paesi-piu-felici-del-mondo-quelli-cattolici/
Mi domando io: non sarà forse grazie all’influsso di movimenti come gli “squadroni della morte” che rendono più interessante la vita in quei luoghi?
Saluti. GdL

“Certamente la fede aiuta a vivere meglio, ma anche i soldi fanno lo stesso effetto, solo che non tutti li hanno”.
(C. W. Brown)

“Il punto di vista secondo cui il credente sarebbe più felice dell’ateo è assurdo, … tanto quanto la diffusa convinzione che l’ubriaco è più felice del sobrio”
(G. B. Shaw)

PS: @ Gualerzi e all’Admin
ho letto un interessante articolo su Hume e la sua dimostrazione dell’impossibilità della metafisica; secondo un credente sarebbe autocontraddittoria. A me sembra una stupidaggine. Mi piacerebbe discuterne con Gualerzi. Mi siccome è un OT, vorrei sapere da lui (prima di tutto) e dall’Admin se ciò è possibile. GdL

RobertoV

Direi che al di là dei fondamentalisti e delle persone ossessionatamente religiose, non credenti e credenti non sono poi così diversi perchè alla fine anche per buona parte dei credenti la religione non è una cosa così importante ed occupa ben poco della loro vita.
Per la maggior parte dei credenti alla fine la religione è semplice tradizione, abitudine, emulazione, socialità, rito, condizionamento da parte della cultura dominante assorbita in modo acritico senza porsi particolari domande. Un po’ come seguire le mode, andare nei centri commerciali, incontrarsi alla domenica coi famigliari, ecc.
Ci sono persone che hanno difficoltà a cambiare le loro abitudini, l’orario dei pasti, il percorso da fare, il luogo di villeggiatura. Persone per le quali ogni cambiamento è un problema. Siamo tendenzialmente animali conservatori.
Molti credenti conoscono ben poco della religione a cui inconsciamente aderiscono. Vi sono credenti che identificano l’essere cattolici con l’essere italiani.
Difficile quindi rilevare differenze. Più significativa l’analisi con le persone veramente religiose, osservanti o fanatiche che per fortuna sono una minoranza anche se spesso aggressiva, intollerante, potente e visibile. Per quelli i dubbi sulla sanità mentale sarebbero leciti.

Sandra

Con riferimento soprattutto al passato, il non credente/non conformista veniva spesso visto come un “originale”, anche in senso negativo.
Poi c’è tutta l’idea che gli atei si suicidino di più, mi sembra che un paio di cattolici qui nel blog periodicamente siano venuti fuori con questa uscita. O che l’ateo sia un tipo rognoso, poco allegro, ecc.

RobertoV

Visto che recentemente avevamo parlato di don Bosco basta andarsi a leggere quanto scriveva per vedere come all’epoca la demonizzazione dell’altro era il meccanismo classico per cercare di combattere il non allineato alla religione dominante (meccanismo che veniva applicato anche agli stranieri e ai “cattivi” sudditi). Questo meccanismo oggi non funziona più così bene nel mondo occidentale e credo che questi studi cerchino di ristabilire un equilibrio combattendo retaggi storici. Se riesci ad instillare dei pregiudizi, luoghi comuni puoi sperare di corazzare le persone contro le novità e la libertà di pensiero e confronto.

Il collegamento numero di suicidi e felicità (o bontà del sistema sociale) è un classico dei propagandisti religiosi o di certa destra quando vuole criticare i risultati dei paesi più secolarizzati.
Come più sopra riporta gdl certi cattolici fondamentalisti arrivano a sostenere che i paesi più felici sarebbero quelli cattolici (contro i risultati di ogni indagine seria internazionale): ho visto proprio oggi i risultati di Save the Children sui paesi migliori per una madre e nei primi posti non vi sono paesi religiosi.
Forse l’ateo ha qualche recriminazione in più da fare visti i privilegi concessi alle religioni: sarebbe un po’ come considerare gli operai rognosi perchè si lamentano dei loro superiori o perchè difendono diritti calpestati. Ho appena visto che Fisichella ha dato il programma del Giubileo con i vari eventi e le richieste all’Italia (tipo corridoi per i pellegrini). Ovviamente solo dopo se ne discuterà con l’Italia anche se gli eventi saranno in Italia: loro dispongono e gli altri devono correre a soddisfarli, come dei veri sudditi.

Engy

persone veramente religiose, persone osservanti, persone fanatiche non sono esattamente la stessa cosa.
Ma cosa intendi per religiose e cosa per osservanti? perchè in alcuni casi le cose coincidono e non sempre questo significa avere una fede profonda.
I fanatici (di tutte le tendenze) sono pericolosi e forse un qualche disturbo di personalità lo hanno, le altre due categorie proprio no.

gmd85

@E.n.g.y

E tu come definisci chi è veramente religioso o osservante? Sei in grado di tracciare una linea di confine fra questi e i fanatici? Perché sempre fede è.

Engy

gmd85
lo definisco dalla coerenza che percepisco in certe persone: ad esempio conosco alcuni cattolici praticanti che – secondo me – testimoniano davvero una fede convinta nel momento in cui conducono un’esistenza sobria sotto tutti i punti di vista e nel momento in cui FANNO cose concrete per gli altri e non solo chiacchiere e pacche sulle spalle.
E non necessariamente la coerenza (qualsiasi tipo di coerenza, non solo quella basata su convinzioni religiose) mi trova a condividere il presupposto da cui parte, ma è sempre apprezzata, almeno da me e motivo a volte di vera ammirazione.

gmd85

@E.n.g.y

Anche il fanatico è coerente, forse ancor più del “religioso”.

RobertoV

Fino a pochi decenni fa anche nelle nazioni occidentali esistevano le religioni di stato ed era difficile potersi porre il problema. Essendo quindi aumentata la libertà è logico che il numero dei non credenti aumenti visto che la situazione precedente era forzata.
Ma la libertà non significa uniformità e quindi andremo verso una nuova situazione di equilibrio (che non sarà costante nel tempo) che ovviamente non comporterà la fine delle religioni, ma un indebolimento delle religioni storiche ed una trasformazione della religiosità.

Engy

gmd,
è vero, non tutte le coerenze sono apprezzabili e i fanatici di ogni specie sono sempre pericolosi, anche per se stessi.

alle

@stefano tm
non sono una psicologa, ma, purtroppo, sono a stretto contatto con una persona schizofrenica a me cara.
mi colpisce sempre il fatto che certi deliri assomigliano tantissimo a taluni aspetti della credenza, in particolare lo sviluppare un percorso altamente logico partendo da premesse totalmente errate ed evidentemente irreali.
mi fa un po’ ridere, quindi, che si pensi che siamo noi atei a essere insani. sono d’accordo: se una persona sola dicesse in giro qualcosa di simile ciò che dicono i credenti, verrebbe senza meno internata in qualche clinica psichiatrica.
senza contare poi le nevrosi PROVOCATE dalla religione. conosco persone altamente dotate in un campo razionale come la matematica, che sono letteralmente terrorizzate ad es. dall’inferno, e sono pertanto costrette a “tradire” la propria razionalità e, in definitiva se stessi, forzandosi a credere e a essere “buoni cristiani” per paura.
follia allo stato puro…

giovanni da livorno

@ Alle

quella della paura dell’inferno è un’osservazione interessante, mi ricorda le tirate di Kirillov da “I Demoni” di F.M. Dostoevskji. Molto vero anche quello che dici sulle psicolopatologie connesse con la religione: provate a leggervi su un manuale di psichiatria la descrizione del c.d. “delirio mistico”.

Saluti. GdL

“L’invenzione dell’inferno è la cosa più orrenda, ed è difficile concepire come, dopo questa invenzione, ci si possa ancora aspettare qualcosa di buono dagli uomini”.
(E. Canetti)

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