“Chiesa e pedofilia, il caso italiano”: intervista a Federico Tulli

Federico Tulli, giornalista, collabora con numerosi periodici tra cui Left/Avvenimenti ed è condirettore di Cronache Laiche. Si occupa in prevalenza di divulgazione scientifica, bioetica, laicità e diritti civili. Ha pubblicato nel 2010 Chiesa e pedofilia e lo abbiamo intervistato sul suo ultimo lavoro: Chiesa e pedofilia, il caso italiano (L’Asino d’Oro).

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tulli

Redazione: Questo libro appare la naturale estensione all’Italia del suo precedente lavoro. Nel nostro Paese non si sono però avute commissioni d’inchiesta sull’argomento, abbiamo anzi una conferenza episcopale che pare ami ribadire che non vi è alcun obbligo di denuncia dei sacerdoti pedofili. Come si sta evolvendo la situazione in Italia?

Tulli: In Italia, fino a oggi solo due diocesi in seguito a decine di denunce che peraltro erano rimaste inascoltate per anni hanno deciso di istituire una commissione d’inchiesta: Bressanone e Verona. In entrambi i casi gran parte delle denunce sono risultate fondate ma la prescrizione ha negato la possibilità di ottenere giustizia alle vittime. Si è trattato peraltro di commissioni che hanno agito a livello “locale”. Nel nostro Paese, diversamente dall’Irlanda, Belgio, Stati Uniti, Australia, Olanda, Germania solo per citarne alcuni, non è mai nemmeno stata ipotizzata la possibilità di istituire una commissione d’inchiesta a livello nazionale che facesse luce quanto meno sulle dimensioni del fenomeno. Eppure una mappatura sarebbe utilissima per organizzare un serio lavoro di prevenzione sul territorio che manca completamente e dare forma concreta alla “tolleranza zero” invocata prima da Benedetto XVI e poi da papa Francesco.
Nel 2012 chiesi a padre Lombardi, il portavoce della Santa Sede, se non ritenesse opportuna l’istituzione di questa commissione considerando che nel decennio precedente circa 150 sacerdoti erano finiti sotto processo. La sua risposta fu che non ce n’era bisogno. Riteneva evidentemente la situazione sotto controllo e l’Italia un’oasi “felice” solo sporadicamente sfiorata da quelle vicende criminali che negli ultimi anni hanno inferto ferite profondissime al tessuto sociale dei Paesi che ho elencato. Uno dei motivi per cui ho scritto questo libro è scaturito proprio dalla necessità di verificare quanto fosse fondata la certezza di padre Lombardi. Dopo aver terminato il mio lavoro d’inchiesta posso dire che è bene far luce sul fenomeno della pedofilia clericale in Italia: dal 1860 a oggi le cronache documentano una lunga scia di episodi criminali senza soluzione di continuità, e pesanti responsabilità delle gerarchie ecclesiastiche nella diffusione degli stessi per via di una prassi sempre e solo finalizzata a preservare l’immagine pubblica della Chiesa sacrificando i diritti e l’incolumità delle vittime.
Pertanto, per rispondere più direttamente alla sua domanda, direi che nel nostro Paese è tutto fermo alle dichiarazioni, secondo il mio parere sconcertanti, del presidente della Conferenza episcopale rilasciate in occasione della pubblicazione della versione definitiva delle “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”. Lo scorso marzo, per giustificare il fatto che i vescovi italiani non si sentono obbligati a denunciare alla magistratura italiana i presunti casi di pedofilia, il cardinale Bagnasco ha tenuto a precisare che questa decisione va considerata un’attenzione verso le vittime e che risponde a ciò che i genitori ritengono meglio per il bene dei propri figli. In sostanza il capo della Cei dice che loro non prendono alcuna iniziativa per tutelare la privacy delle vittime. Così può accadere che, se i genitori di un bimbo stuprato decidono di non intervenire per un qualunque motivo, un pedofilo continui a circolare in libertà con le conseguenze che chiunque può immaginare considerando che le sue modalità di comportamento sono simili a quelle di un serial killer. In quella occasione Bagnasco ha sottolineato anche che per la Cei “l’obbligo morale è ben più forte e cogente dell’obbligo giuridico”, e che “ne è il presupposto e impegna la Chiesa a fare tutto il possibile per le vittime”. Cioè nulla.
Personalmente sarei rimasto sorpreso se i vescovi italiani avessero lanciato un concreto segnale di rottura col passato accogliendo le indicazioni della Santa Sede che auspicava l’inserimento dell’obbligo di denuncia nelle Linee guida anti-pedofilia delle conferenze episcopali di tutto il mondo. Negli ultimi quattro anni, se non ricordo male, anche i vescovi francesi hanno seguito il consiglio della “Casa madre”. Vedremo cosa succederà in Francia, quanto all’Italia la storia recente e meno recente insegna che le “nostre” gerarchie ecclesiastiche sono convinte di poter agire al di fuori e al di sopra di qualsiasi legge terrena e di poter-dover rispondere solo a Dio (o a chi per lui: il papa) degli eventuali peccati commessi. Questa idea, o cultura, comporta che spesso il loro atteggiamento rasenti la reticenza davanti a un giudice. Cosa del resto emersa in diversi processi per pedofilia clericale in cui dei presuli sono stati chiamati a testimoniare (alcuni dei quali sono citati in questo mio nuovo libro).

Per difendersi dalla accuse di copertura la Chiesa ha opposto non soltanto il segreto confessionale, ma anche quello “professionale”, all’interno del quale fa rientrare qualsiasi informazione raccolta al di fuori del sigillo sacramentale. Quanto è stata sinora efficace questa linea? E quanto, a suo giudizio, è eticamente sostenibile?

Nel 2000 in Francia, padre Rene Bissey è stato condannato a 18 anni di carcere per aver compiuto ripetuti abusi nel decennio precedente. Contestualmente, il suo vescovo, monsignor Pierre Pican, fu condannato a tre mesi di carcere con la condizionale, per aver rifiutato di denunciare alla magistratura il prete della sua diocesi, nonostante fosse a conoscenza da molti anni della sua condotta criminale e non fosse mai intervenuto per fermarla. Pican si è giustifico affermando che, oltre al segreto confessionale, il vescovo ha anche un segreto professionale che gli impedisce di denunciare ciò che apprende al di fuori del sigillo della confessione: questo non violerebbe il segreto confessionale ma guasterebbe la fiducia dei sacerdoti della diocesi nei suoi confronti. In seguito alla sentenza, il cardinale Castrillon Hoyos, allora prefetto della Congregazione per il clero, un importante “dicastero” della Curia romana (il governo vaticano), scrisse una lettera di solidarietà a monsignor Pican, elogiandolo per aver evitato la denuncia nei confronti del sacerdote condannato per abusi sessuali e indicandolo come esempio da seguire. La “benedizione” del Vaticano sta lì a dire che purtroppo il caso di Pican non è affatto isolato. La diffusione degli abusi nel clero e nell’ambito di determinati ambienti lavorativi e professionali suggeriscono l’ipotesi che molti pedofili scelgano appositamente di impiegarsi in particolari professioni che le portino con facilità a contatto con i bambini e garantiscano al tempo stesso libertà di manovra, quando non l’impunità. L’esempio appena citato mi porta ad affermare che l’organizzazione della Chiesa sembra rispondere in pieno a certi requisiti, forse più di qualsiasi altra.

Lei ha definito l’indagine della commissione Onu sui diritti dell’infanzia uno “schiaffo” al Vaticano. Il libro contiene peraltro in appendice la traduzione integrale del documento Onu. Come giudica l’esito dei lavori della commissione Onu sulla tortura?

In Italia tra i media nazionali praticamente solo il Corriere della sera ha pubblicato un articolo — firmato dalla Calabrò — sulle conclusioni della Commissione Onu contro la tortura e altri trattamenti degradanti e disumani per quanto riguarda la gestione dei casi di pedofilia da parte della Santa Sede. A mio avviso però le osservazioni di Ginevra avrebbero dovuto ottenere almeno lo stesso risalto riservato alla visita che papa Francesco stava facendo in quei giorni in Terra santa. Malignamente potrei dire che si è evitato di parlarne perché esse sono state di condanna tanto quanto quelle della Commissione per i diritti dell’infanzia. A Ginevra era presente Sue Cox, co-fondatrice dell’associazione internazionale di vittime Surivivors Voice Europe. La sua organizzazione è tra quelle che lo scorso anno denunciarono all’Onu la violazione — o la mancata ratifica/applicazione — di queste convenzioni da parte della Santa Sede con conseguenze drammatiche sull’incolumità e i diritti dei bambini che negli ultimi 25 anni hanno frequentato chiese, parrocchie, oratori, orfanotrofi e scuole cattoliche in tutto il mondo. Non appena l’Onu ha emesso il “verdetto” Sue Cox mi ha scritto un breve resoconto con i punti più salienti delle accuse della Commissione contro la tortura. Desidero riportarne alcuni, anche perché si tratta di vere e proprie notizie praticamente sconosciute qui da noi. Innanzitutto la Santa Sede è stata accusata di aver redatto il rapporto con ben nove anni di ritardo (nulla in confronto ai 18 anni di ritardo con cui è stato redatto il rapporto relativo alla Convenzione sui diritti dell’infanzia…). Diversamente da quanto affermato dalla Santa Sede, il Comitato Onu contro la tortura ha detto molto chiaramente di aver riscontrato violazioni alla Convenzione. In particolare, dice Cox, il Comitato ha riconosciuto che l’abuso sui minori e quello sugli adulti da parte di sacerdoti sono azioni che rientrano nell’ambito degli atti violenti monitorati dalla Commissione contro la tortura. La Santa Sede ha inoltre tentato di porre dei limiti di tempo per trattare le denunce. Il Comitato ha detto che non esistono limiti di tempo. Allora la Santa Sede ha prima criticato la reiterazione del principio per cui tutte le denunce devono essere riferite alle forze dell’ordine. E poi non ha indicato i nomi o fornito dettagli circa i sacerdoti che sostiene di aver punito, né — soprattutto — ha informato dove costoro si trovano ora. L’elenco di omissioni e comportamenti irresponsabili è ancora molto lungo ma questo basta per farsi un’idea sul fatto che “lo schiaffo” della Commissione sui diritti dell’infanzia non è stato sufficientemente pesante.
Ora la Santa Sede ha un anno di tempo per ripresentarsi al Comitato contro la tortura mostrando dei concreti cambiamenti. Lo stesso dovrà fare davanti al Comitato per i diritti dell’infanzia. Ritengo difficile ipotizzare che il Vaticano vada incontro alle richieste dell’Onu modificando il proprio Codice di diritto canonico e uniformandolo alle leggi terrene. Del resto già a gennaio scorso di fronte alle osservazioni del Comitato per i diritti dell’infanzia la Santa Sede ha fatto chiaramente capire che non ha alcuna intenzione di cominciare a pensare agli abusi come a dei crimini contro persone inermi. Per questa istituzione lo stupro è e resta un grave peccato in violazione del Sesto comandamento. Si tratta di un’offesa a Dio e come tale va trattata: pertanto il giudizio del sacerdote pedofilo non spetta agli uomini ma ai rappresentanti di Dio in terra.

Ha descritto in questi termini la strategia nei confronti dell’esplosione dei casi di abusi su minori attuata sotto il pontificato di Benedetto XVI: “Dare l’impressione di attuare una pulizia radicale, quando invece si è trattato di interventi mirati a salvare la reputazione e le casse della Chiesa”. Quanto è stata efficace tale strategia? Qualcosa è cambiato, nell’ultimo anno?

Le storiche dimissioni di Ratzinger nel 2013 mi portano a dire che la sua strategia si è rivelata fallimentare. Ma ci sono anche degli esempi concreti a sostegno di questa mia deduzione. Cito il caso dell’Irlanda. Il 19 marzo 2010 Benedetto XVI firmò una Lettera pastorale dedicata ai cattolici irlandesi. Annunciata a dicembre del 2009, questa Lettera di scuse doveva servire a ‘riparare’ mezzo secolo di violenze emerse in seguito a due inchieste governative — denominate Rapporto Ryan e Rapporto Murphy — concluse tra maggio e novembre dello stesso anno. In particolare, il cosiddetto Rapporto Ryan aveva esaminato gli abusi avvenuti in tutta l’isola nelle istituzioni gestite dalla Chiesa cattolica (scuole, seminari e cosi via), mentre il Rapporto Murphy si era occupato delle violenze all’interno della diocesi di Dublino. In totale, si tratta di cinque volumi e oltre 2.500 pagine che documentano le azioni criminali di più di mille sacerdoti compiute nei confronti di circa 30.000 bambini lungo tutta la seconda metà del Novecento. Per numero di casi l’Irlanda si ritrova così a ‘competere’ con gli Stati Uniti, anche se la sua popolazione è 80 volte inferiore a quella americana. Le scuse di Benedetto XVI furono talmente controproducenti che due anni dopo un sondaggio rilevò che la popolazione cattolica irlandese era scesa al 47 per cento, vale a dire 22 punti in meno rispetto al 2005, anno in cui il papa tedesco si era insediato sul trono di Pietro. Sempre nel 2012, uno studio commissionato dalla Pontificia università gregoriana di Roma rilevò che nel biennio precedente la cattiva gestione degli scandali di pedofilia clericale era costata alle casse della Chiesa circa due miliardi di euro in termini di mancate offerte, donazioni e così via da parte dei fedeli.
Per rispondere alla seconda domanda potrei dire che con papa Francesco nulla è cambiato. Le accuse dell’Onu di cui ho parlato in precedenza lo chiamano direttamente in causa, perché è lui il pontefice che a luglio 2013 ha ratificato le due convenzioni sotto esame in quanto capo della Santa Sede. Ed è lui il papa che pur dichiarando — come il suo predecessore — la “tolleranza zero” nei confronti della pedofilia non ha cambiato di una virgola le leggi che fino a oggi hanno garantito l’impunità di questi criminali. Violando, di fatto, le due convenzioni. Bergoglio è il capo di una monarchia assoluta. Detiene il potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Non dovrebbe aver problemi ad esempio a imporre ai gerarchi di tutte le chiese del mondo l’obbligo di denuncia alle autorità giudiziarie “laiche”, e nemmeno a disporre la pubblicazione degli archivi con i nomi dei sacerdoti denunciati in Vaticano. L’isolamento, la presa di distanza dalle leggi internazionali (e dal buon senso) ormai è noto e indiscutibile che abbiano portato la Chiesa cattolica e apostolica romana ad agire in favore dei pedofili e non delle vittime. Perché il gesuita/francescano non fa nulla di veramente efficace per invertire questa orrenda deriva?

L’aspetto della dottrina cattolica che più sembra colpirla negativamente è l’insistenza nel definire gli abusi sessuali un delitto contro la morale, anziché contro la persona. C’è da aspettarsi qualche novità da papa Francesco, di cui il testo ricorda diversi lati oscuri?

A proposito di novità, la stampa italiana ha dato ampissimo risalto alla Commissione anti-pedofilia di Bergoglio. C’è un piccolo particolare di cui nessuno ha parlato: questa Commissione era stata annunciata a febbraio del 2012. E’ stata presentata come l’ennesima rivoluzione di questo papa, in realtà è “nata” sotto Benedetto XVI e ci sono voluti quasi due anni solo per nominare i primi otto saggi che la compongono. Tra questi c’è anche una vittima. È una donna irlandese, e anche questo è un fatto curioso dal momento che ben oltre l’80 per cento delle vittime dei sacerdoti pedofili sono di sesso maschile. Detto questo, aggiungo che per il papa che molti qui in Italia definiscono un innovatore dietro la pedofilia c’è lo zampino del diavolo. A questo allude quando paragona la pedofilia alle messe nere. Infine voglio ricordare una frase pronunciata da papa Francesco nel gennaio scorso durante la celebrazione di una messa in S. Pietro: «Un bambino battezzato non è lo stesso che un bambino non battezzato» ha detto il pontefice. Se anche — per assurdo — dovesse “slegare” dalla legge divina quella norma del suo Stato che ancora oggi considera abuso morale lo stupro di un bimbo, come la mettiamo col fatto che costui giudica degli esseri umani meno esseri umani di altri?

103 commenti

bruno gualerzi

“Detto questo, aggiungo che per il papa che molti qui in Italia definiscono un innovatore dietro la pedofilia c’è lo zampino del diavolo.”

Si sa com’è il diavolo: essendo in eterno conflitto con nostro Signore, è soprattutto sui suoi diretti operatori che esercita le sue arti seduttive per screditarlo… e questo dovrebbero comprendere quei laici che si scandalizzano per i cedimenti al peccato di tanti sacerdoti. Per fortuna non tutti i laici sono così e tanti apprezzano gli sforzi che fa la chiesa per arginare il fenomeno della pedofilia… e anzi, consapevoli di questo dramma che sta vivendo (avete mai avuto a che fare direttamente col diavolo?), non esitano a lodare, o addirittura a proporre come esempio da imitare, le ferma condanna dei preti pedofili. Dieci anni più, dieci anni meno per intervenire, cosa sono di fronte all’eternità?

Reiuky

Veramente, per come si comporta la chiesa, c’è da chiedersi se il cattivo non abbia definitivamente preso il posto del buono nella loro religione.

Basta studiare un po’ di storia e di religione per avere il dubbio (e forse più di un dubbio, visto che ci sono chiese che professano proprio questo) che il diavolo è il buono di tutta la vicenda.

Otzi

…. dio e il diavolo sono la stessa cosa e fin che ci saranno persone che fondano il loro concetto di morale su questa stessa cosa che neanche conoscono, anche il concetto di segreto sacramentale fa parte del male che la pretestuosità umana contribuisce a foraggiare.
Le parole di Gesù: Lasciate che i piccoli vengano a me, sono un chiaro falso storico, mutuato da interessata equivocità.
I bambini a Gesù non interessavano proprio nulla. E meno male. La prova ce la fornisce proprio quell’impostore e tocco di Saulo-Paolo nei suoi primi scritti fondanti il suo cristianesimo. L’interesse per il bambino è in senso dottrinale molto più recente. Non affidate bambini ai preti e contribuirete ad arginare questo esecrabile delitto.

nightshade90

“c’è da chiedersi se il cattivo non abbia definitivamente preso il posto del buono nella loro religione”

nel loro stesso testo sacro il “cattivo” uccide in tutto 10 persone. il “buono” ne uccide a milioni (anche senza contare il diluvio universale o le guerre di conquista di cui è stato espressamente mandante (ordinando che le popolazioni nemiche fossero votate allo sterminio), già con sodoma, gomorra e gli ebrei che hanno adorato il vitello d’oro (e le loro famiglie, bimbi compresi) si raggiungono le centinaia di migliaia di vittime).

serimamnte, quando lessi l’antico testamento ebbi serissimi dubbi sul fatto che dio potesse essere concepito come il “buono” della storia. e quando lessi il seguito, ebbi seri dubbi anche sulla sua sanità mentale, tra atteggiamente palesemente ipocriti, contraddittori od eventi proprio folli….

John

Una riflessione, davvero senza nessun intento polemico, anzi. L’argomento è delicatissimo, quindi nessuna intenzione contrapposizione rispetto al modo corretto in cui lo state trattando.
Il pensiero è riferito alla frase “un delitto contro la morale, anziché contro la persona”.
Secondo me, questa distinzione non è detto che debba esserci. Se la morale, in generale, è un insieme di regole per il perseguimento di quello che si ritiene sia il bene, e che nel caso specifico cristiano possono essere riconducibili in ultima analisi alla regola “ama il tuo prossimo” (e quindi sono contro la morale i comportamenti che contravvengono a questa regola: dai meno gravi a quelli gravissimi) a questo punto non dovrebbe esserci distinzione tra comportamenti “contro la morale” e “contro la persona”. Infrangere la morale dovrebbe significare per definizione agire contro una persona-vittima. Anche retrocedendo l’analisi ai dieci comandamenti, e considerandoli “dall’esterno” non come regole talebane, ma, nella loro essenza, come principi morali più o meno condivisi da diverse società nei tempi e nei luoghi, in fondo ciascuno di essi implica l’esistenza di una vittima, e il motivo ultimo per cui non si dovrebbe trasgredirli, è quello di non fare del mare a qualcuno. Per questo motivo secondo me occorre riflettere sul fatto che “comportamento contro la morale” non solo non si contrappone, ma implica espressamente “comportamento contro la persona”. Non so se mi sono spiegato.

gmd85

@John

La morale non si lede, la persona, si. Al più alla morale si contravviene. Il problema della vecchia formulazione è che, ovviamente, la pena prevista è diversa. Ora, bisogna ragionare su ordini diversi. Nella fattispecie, risulta chiaro che un abuso sessuale causa in primis una lesione (psicofisica) nei confronti di una persona. La morale pubblica passa in secondo piano. Ciò che si deve perseguire e punire è primariamente il danno diretto alla persona. Poi si può pensare alla morale pubblica, anche se è pacifico che accertato un abuso la pena (salvo attenuanti) risulti sufficientemente proporzionata da comprendere anche il reato contro la morale. Ho seguito un ragionamento di tipo giurisprudenziale, indipendentemente da qualsivoglia interpretazione religiosa.

John

gmd85.
Assolutamente d’accordo. Diciamo che stiamo ragionando su due piani differenti.
Io usavo la parola “morale” in senso forse diverso dal tuo nell’espressione “morale pubblica”. Intendevo “morale” come “insieme delle regole che stabiliscono che cosa è bene e che cosa è male”, e in tale senso per “male” si intende il “danneggiare qualcuno”, quindi l’essere “a-morale” presuppone l’esistenza di una persona danneggiata. E allora dire che si va contro la morale non significa mettere in secondo piano il fatto che ci sia un danneggiato.
In questa chiave, anche l’esistenza di sanzioni diverse per la regola morale e giuridica perde di senso, perché la regola giuridica è anche regola morale: la legge è per definizone libera nel fine, e il legislatore, nel decidere quale comportamento è punito, e con quale pena, sta traducendo in linguaggio giuridico quello che a suo avviso è un precetto morale (ossia un criterio di discrimine bene/male), e nel decidere la pena sta stabilendo come porvi rimedio.
Non riesco a vedere distintamernte le due cose, e a dire “questo comportamento è contro la morale ma non è contro la persona”. o “questo comportamento contravviene una norma morale ma non una norma giuridica”, perché alla fin fine le due cose non si escludono, ma anzi si implicano reciprocamente.
Esempio: se io rubo sto contravvenendo una regola morale (settimo comandamento) non come regola astratta, ma perché tale regola implica “nubare è male perché qualcuno ne è danneggiato”, e dunque può tradursi in “non danneggiare qualcuno rubando”. Se nessuno è danneggiato, non si può neanche più parlare di regola morale (dove è il male se nessuno è danneggiato?).
Questo ragionamento si applica anche alla pedofilia: dire che va contro “la morale”, vuol dire che è l’antitesi di “ciò che ritengo essere un atto di amore verso il prossimo”, quindi che è un atto che produce il male del prossimo. Dunque, proprio perché c’è una vittima contro la morale. Dire “è a-morale” significa sottolineare l’esistenza di una vittima. E l’unico modo per ripristinare la morale è risarcire la vittima, perché così si ripristina la morale, cioé il perseguimento del bene altrui.
Non credo che questo ragionamento sia incompatibile con il tuo di prima; penso che stiamo conducendo il discorso su versanti differenti.

Antonio B.

John
Lei, come al solito, fa discorsi incredibilmente contorti, capziosi, che non si capisce mai dove vogliano andare a parare e cosa vogliano mai giustificare…qui si sta parlando, non lo dimentichi, di come la dottrina cattolica definisce gli abusi sessuali, il fatto che tali abusi siano definiti contro la morale e non contro la persona non è per niente irrilevante né le due cose minimamente assimilabili, le definizioni, nelle leggi, sono importantissime, fondamentali, tanto più importanti e fondamentali se a farle è la chiesa cattolica…se si definisce l’abuso come contro la morale si sta, implicitamente, sottolineando che la cosa più grave è lo scandalo che tale abuso genera (una volta scoperto, ovviamente) non il danno che procura alla persone e questo, del resto, è perfettamente in linea con tutto l’atteggiamento della chiesa cattolica teso sempre a evitare lo scandalo ma a infischiarsene delle vittime…Per quanto riguarda la sua affermazione : “dove è il male se nessuno è danneggiato ?” la giri ai cattolici e alle oscene offese, per esempio, che rivolgono agli omosessuali…ripeto, stiamo parlando di chiesa cattolica, di quella chiesa di cui lei fa parte non facendone parte…la distinzione fra morale e persona che, secondo lei, non dovrebbe esserci è invece precisa espressione di un intera ideologia e di questo stiamo parlando non delle nuvole nel cielo.

John

Antonio,
Anzitutto, se sono stato poco chiaro o contorto me ne scuso.
Però riconosci che mj stai attribuendo concetti che non ho mai detto. E mi stai attribuendo anche uno spirito di contrapposizione che non mi appartiene. Penso che il mio pensiero (personalissimo, non ascrivibile a nessun sistema preconfezionato) abbia molti punti di contatto con il vostro, e se sono qui è più per approfondire questo punti di contatto che per contrappormi. Poi, certo, questa dialettica implica anche il chiarire le differenze, ma da parte mia sempre a scopo costruttivo. Spero che in questa chiave di lettura anche ciò che ho scritto prima sia più comprensibile.
Sul merito, partiamo dalla fine:
Io ci tengo solo al mio libero di pensiero. Non mi interessa “far parte” di qualcosa. Rifiuto di accettare in blocco qualunque sistema di pensiero e mi infastidiscono le etichette, anzitutto quella di “cattolico”. Ho alcuni pensatori di riferimento, che fanno omogeneità al mio pensiero, ma ciò che li accomuna non è l’essere credenti o atei, ma l’essere aperti al dialogo. Per questo seguo volentieri (tra i viventi) sia l’ateo Odifreddi che il credente Mancuso e, tra i classici, sia l’ateo Bobbio che il credente Guitton, sia l’ateo Russel che il credente Teihlard de Chardin. È non è eclettismo il mio, perché questo pensatori hanno molto più in comune tra loro (il libero pensiero e l’onestà intellettuale) di un gruppo di atei o di credenti presi insieme, in quanto in entrambe le categorie possono convivere pensieri molto diversi, aperti e fondamentalisti.
Alla luce di ciò, ti chiedo di rileggere la mia, personale, idea di “morale”, che penso sia poco importante se sia vicina o lontana dal cattolicesimo.
Riassumendo ho detto che per me la morale (anche nella mia lettura personale del cristianesimo) è il bene nella misura in cui è orientato alla persona. Che quindi è a-morale non ciò che “fa scandalo” astrattamente ma ciò che fa del male a qualcuno, e tutto il discorso deve essere orientato a questo qualcuno, unica vittima.
Per il resto, mi accusi di cose che non ho mai detto o scritto, e che è impossibile che io abbia detto o scritto perché mi trovo d’accordo con te nel condannarle.
Sperando di venirti incontro, ti prego solo di non etichettarmi in qualche sistema di pensiero, perché forse la tua non è una difficoltà nel trovare una coerenza interna al mio pensiero, ma nel cercare di trovare una sua corrispondenza con un qualche sistema prefabbricato. Corrispondenza che, per mia e vostra fortuna, non c’è.

gmd85

@John

Giorgio Pozzo, più giù, ha proposto un commento interessante che potrebbe sintetizzare le diverse posizioni. 😉

Antonio B.

John
La parola “morale”, personalmente, mi fa venire l’orticaria…credere di conoscere cosa sia il bene e il male di un essere è, secondo me, solo una manifestazione di sconfinata presunzione, superbia, arroganza, rivestita, spesso, da un altrettanto sconfinata, melliflua ipocrisia, premessa e prodromo di ogni sopraffazione…meglio che ognuno decida singolarmente cosa è il suo bene e il suo male e che nessuno si arroghi la pretesa di stilare regole buone per tutti…se, per esempio, una persona decide di uccidersi, secondo te, sta facendo il bene o il male ? Secondo la tua stessa definizione il danno c’è, visto che il soggetto muore…come la mettiamo allora con la tua morale ? Riconosci piuttosto tu che fai discorsi capziosi… Io, comunque, non ti ho attribuito proprio nulla, ti ho solo fatto notare che hai sindacato su una distinzione fra morale e persona che ha, invece, un precisissimo senso e un precisissimo scopo, li vuoi vedere, sì o no ? Di cosa mai ti accuserei poi ? Di essere più cattolico di quanto vuoi credere e far credere ? Sì, personalmente, vedo un intrinseco cattolicesimo che trasuda proprio da questi tuoi discorsi contorti, ingannevoli, da questo tuo arrampicarti sugli specchi.

John

Antonio, mi dispiace sul serio, non riusciamo a incontrarci… io penso che conversare significhi cercare di capire l’altra parte anche quando si parte da idee differenti, e se noti è quello che sta avvenendo con le altre persone in questa stessa discussione. Con te no, ma d’altra parte non è obbligatorio che la conversazione vada avanti. Ha senso solo se entrambe le parti ne traggono qualcosa di utile, e non mi sembra il caso del dialogo tra me e te. Mi dispiace davvero perché in ciò che dici ci sono molti elementi che reputo vicini al mio punto di vista, ma direi che è meglio fermarci qua.
Una sola precisazione: quando ho usato la parola “morale” non ho mai parlato di una morale “assoluta”, valida per tutti. ho usato, forse impropriamente, la parola “morale” per indicare la distinzione, che può essere puramente soggettiva, tra bene e male.
Anche in questo caso, nonostante in ciò che scrivevo avesse molto in comune con ciò che dici tu (al di là della parola: la terminologia la si crea insieme proprio conversando e cercando progressivamente un terreno condiviso), ti sei contrapposto come se io cercassi di contraddirti. Ti assicuro sinceramente che non è così: rileggi ciò che ho scritto.
Poi, che il mio pensiero sia immaturo e contorto, forse è vero, non pretendo di avere la verità in tasca e sono qui per imparare, non per insegnare. Quindi, anche se ti sei espresso molto duramente, accolgo pienamente le tue critiche.
Ti ringrazio per avermi comunque letto, e chiuderei qua.

John

Antonio, mi dispiace sul serio, non riusciamo a incontrarci… io penso che conversare significhi cercare di capire l’altra parte anche quando si parte da idee differenti, e se noti è quello che sta avvenendo con le altre persone in questa stessa discussione. Con te no, ma d’altra parte non è obbligatorio che la conversazione vada avanti. Ha senso solo se entrambe le parti ne traggono qualcosa di utile, e non mi sembra il caso del dialogo tra me e te. Mi dispiace davvero perché in ciò che dici ci sono molti elementi che reputo vicini al mio punto di vista, ma direi che è meglio fermarci qua.
Una sola precisazione: quando ho usato la parola “morale” non ho mai parlato di una morale “assoluta”, valida per tutti. ho usato, forse impropriamente, la parola “morale” per indicare la distinzione, che può essere puramente soggettiva, tra bene e male.
Anche in questo caso, nonostante in ciò che scrivevo avesse molto in comune con ciò che dici tu (al di là della parola: la terminologia la si crea insieme proprio conversando e cercando progressivamente un terreno condiviso), ti sei contrapposto come se io cercassi di contraddirti. Ti assicuro sinceramente che non è così: rileggi ciò che ho scritto.
Poi, che il mio pensiero sia immaturo e contorto, forse è vero, non pretendo di avere la verità in tasca e sono qui per imparare, non per insegnare. Quindi, anche se ti sei espresso molto duramente, accolgo pienamente le tue critiche.
Ti ringrazio per avermi comunque letto, e chiuderei qua.

Antonio B.

John
Se ho ben capito mi stai dicendo che sono scemo…cosa mai non avrei capito di quello che hai detto ? Vorresti, cortesemente, e in modo estremamente preciso e dettagliato, spiegarmelo ? Io vedo solo, come al solito da parte tua, uno sfuggire la discussione quando sei messo alle strette e le conclusioni non ti convengono (anche questo è, secondo me, tanto, tanto cattolico). Sinceramente, poi, non noto tutta questa comprensione, di cui tu parli, con le altre persone, penso, piuttosto, che altri abbiano un po’ divagato, nel risponderti, dal tema proposto dall’articolo, cosa che, ovviamente, ti è graditissima perché non ti inchioda alle tue contraddizioni. Spero avrai notato che io ben difficilmente scrivo un commento, prima di tutto perché non ho molto tempo e non ho l’abitudine di stare tutto il giorno connesso, in secondo luogo perché certa gente non voglio neanche degnarla di una mia risposta, infine mi sembra inutile intervenire solo per dire che condivido quello che altri hanno scritto prima di me, intervengo, quindi, solo per dire qualcosa che, mi sembra, gli altri non dicano o non dicano con sufficiente precisione…se ti rispondo (e te l’ho già detto) è evidente che non ti considero una irrecuperabile merda, non è quindi necessario che tu sottolinei che non siamo poi così inconciliabili.
Ti ripeto, comunque, quello che ti ho già detto e ridetto : sei tu che hai voluto (aldilà dell’interpretazione dei termini) confondere il “delitto contro la morale” e il “delitto contro la persona”… rileggi tu quello che io ho scritto, ti ho già spiegato che tale sovrapposizione non è minimamente possibile e che tale distinzione è assolutamente voluta, che deriva da una precisissima, circostanziata ideologia, che ha nefaste conseguenze…credi forse che la chiesa cattolica usi i termini a caso o a sproposito e abbia bisogno delle tue precisazioni perché, poveretta, su certe cose non ha riflettuto abbastanza ed è tanto, tanto sprovveduta ? Il tuo parlare delle nuvole nel cielo si presenta, quindi, nei fatti, come una manovra elusiva (più o meno inconscia), un voler sminuire, minimizzare l’estrema, colpevole, inaccettabile gravità proprio di tale definizione, di tale terminologia…non basta minimamente che tu riconosca che l’articolo ha ragione se poi contesti la definizione, la terminologia, perché è già nella definizione
la mostruosa colpa.
Il tuo pensiero è immaturo e contorto, è cattolico…tu, comunque, molto tempo fa, mi hai dato dell’intollerante perché ti facevo un discorso razionale, ora mi accusi di durezza…non mi sembra però che io ti abbia colpito a randellate sulla testa…anche questa volta tu confondi la ragione con la durezza o, per meglio dire, sembri non essere cosciente che la ragione, in quanto tale, è, in un certo senso, dura, fredda, spietata, implacabile, ineludibile…io non sono stato duro ho solo fatto un discorso razionale a cui si può replicare, adeguatamente, solo con un altro discorso razionale, certo non è una degna replica sfuggire tale confronto né accusare l’altro di durezza.
Ultima cosa : qualcuno, un po’ di tempo fa, ha detto : nelle discussioni vince chi perde, perché impara…spero mi perdonerai se ho un istinto maieutico…

John

Antonio,
non capisco… mi sembra che cerchi uno scontro che io non cerco, e che vedi una contrapposizione che non perseguo. Più cerco di spiegare che non cerco lo scontro, che probabilmente sbaglio io (non ho mai detto o pensato che non hai capito, ma ho sempre detto che mi sono spiegato male io), più dico che vi apprezzo e che sono qui per imparare da voi, e più tu mi rispondi come se cercassi lo scontro.
Mi dispiace, ma riconosco che l’errore è tutto mio. Nell’essermi spiegato male e nell’essermi inserito in un luogo, questa pagina che non è casa mia.
Antonio, me ne scuso davvero, sinceramente, nel modo più assoluto.

RobertoV

John
Nell’articolo si sta parlando dell’interpretazione della chiesa cattolica non della sua personale di fedele. Se per lei un danno contro la morale è automaticamente un danno contro la persona non lo è per la chiesa cattolica, cioè per il suo clero.
Proprio poche settimane fa la chiesa cattolica ha scomunicato la presidentesssa internazionale di noi siamo chiesa perchè ha celebrato delle messe private, senza un sacerdote.
Nessuna persona in questo caso è stata danneggiata, ma per la chiesa è stato fatto un inaudito crimine contro dio e quindi contro i tutori terrestri della sua morale. Nessun giudice condannerrebbe qualcuno per una cosa del genere che non è reato, ma lo è solo per la chiesa cattolica, che invece non ha scomunicato i preti pedofili che invece hanno commesso reati contro le persone perseguibili giudiziariamente.
Le stesse suore americane messe sotto processo dai vertici della chiesa cattolica non hanno commesso danni contro le persone, ma si sono scontrate con la morale della chiesa di vertice.
La morale della chiesa non coincide con quella di uno stato laico e della giustizia di uno stato e porta a non ritenere necessaria la denuncia alla magistratura dei preti pedofili.
Cercare di trovare giustificazioni ai crimini compiuti dai preti pedofili e dai loro protettori, evitando di indennizzare le vittime quando ci riescono, sfruttando anche la prescrizione dei termini, mi sembra una dimostrazione evidente che per la chiesa cattolica la pedofilia non è un crimine contro le persone.

Antonio B.

John
”…io penso che conversare significhi cercare di capire l’altra parte anche quando si parte da idee differenti, e se noti è quello che sta avvenendo con le altre persone in questa stessa discussione. Con te no…” Cosa mai significa questa frase se non che non capisco quello che dici, cioè, che sono scemo ? Dici anche : “…rileggi ciò che ho scritto.”. Come dovrei mai interpretare una simile frase ?
Prima mi dici che sono scemo e duro ora mi dici che sono un volgarissimo attaccabrighe, mosso da un’inutile aggressività, che cerca solo lo scontro…io vedo, piuttosto, che tu continui imperterrito nel tentare manovre elusive, senza mai entrare minimamente nel merito specifico delle lunghissime, dettagliatissime obiezioni che ti ho posto.
Prima precisazione : qui nessuno è a casa sua, questo è un luogo pubblico di confronto.
Seconda precisazione : continui a ripetere che hai sbagliato tu, che l’errore è tutto tuo, che ti sei spiegato male, che, io e altri, abbiamo ragione…continui però anche a non rispondere su un particolare che, né io né gli altri, siamo, minimamente, riusciti a decifrare…te l’ha già chiesto la signora Sandra nel suo intervento di lunedì alle 10:04…anch’io non capisco, a questo punto, il senso del tuo post di partenza, vorresti, cortesemente, spiegare ?

bruno gualerzi

@ john
La morale è un principio, un valore astratto, che pertanto non può prescrivere comportamenti specifici, concreti, da giudicare di volta in volta, ciò che comporta interpretare di volta in volta il principio stesso.
Ora, né i dieci comandamenti nella loro genericità, nè il principio “ama il prossimo tuo” (come – quando – chi devo considerare mio prossimo – debbo amare sempre e comunque e chiunque… ma poi cosa significa veramente ‘amare’ – ad esempio, dopo Freud, amare significa senz’altro altruismo, oppure può essere anche una forma di egoismo? e così via…) possono offrire le coordinate in base alle quali stabilire ciò che è ‘bene’, quindi da difendere, e ciò che è ‘male’, quindi da punire. Del resto per un credente il vero giudizio, positivo o negativo, spetta solo dio.
Ecco perché uno stato veramente laico non può essere un STATO ETICO, come di fatto è ogni stato totalitario, ma uno stato la cui collettività deve rispettare una legislazione ricavata non da un principio astratto, ma da una costituzione elaborata e formulata nel rispetto di tutte le componenti che intendono riconoscersi nello stato. E’ solo in questo contesto che un comportamento è ‘buono’ se lecito (conforme alla legge), o ‘cattivo’, cioè illecito e quindi da punire. La costituzione poi può sempre essere riveduta e corretta in base alle esigenze della collettività, mentre un valore può essere vissuto come tale solo soggettivamente. Non può diventare norma oggettiva.

bruno gualerzi

@ john
“(…) il legislatore, nel decidere quale comportamento è punito, e con quale pena, sta traducendo in linguaggio giuridico quello che a suo avviso è un precetto morale (ossia un criterio di discrimine bene/male), e nel decidere la pena sta stabilendo come porvi rimedio.”

Leggo adesso la tua replica a gmd85. Con riferimento a quanto scritto nel mio intervento – il ‘legislatore’ non può ‘tradurre in linguaggio giuridico quello che ‘a suo avviso’ è un precetto morale’ perché – come ho cercato di argomentare – un ‘precetto morale’ come criterio in base al quale si stabilisce ‘per legge’ ciò che è bene e ciò che è male può valere solo in uno stato etico, confessionale o meno che sia, non laico. Il criterio in base al quale stabilire ciò che e bene e ciò che è male, non può – se dall’astratto si passa al concreto – essere lo stesso per tutti. A meno che, come negli stati totalitari, con la forza o con la persuasione, sia imposto. Quindi fa testo una Costituzione… a meno che a sua volta non sia stata elaborata con criterio integralistico (ad esempio in uno stato islamico come l’Iran).

John

Bruno,
qui sembra che io mi voglia contrapporre a voi, invece non è così.
Il mio è un discorso che si rifà alla teoria generale del diritto, che definisce la legge come e scelta libera che stabilisce un comportamento come giusto o ingiusto, e in questo secondo caso lo punisce.
Voglio chiarire che questo è valido anche per le leggi “giuste” e anche in uno stato aconfessonale. È una definizione puramente tecnica del concetto di “legge”. Non sto dicendo che lo Stato deve imporre una morale arbitrariamente… tutto il contrario!
In questa sua funzione, la legge dovrebbe basarsi il più possibile sul principio democratico e riflettere nel modo migliore possibile la scelta bene/male più condivisa dai cittadini. Per questo si va ad elezione e si vota. La differenza tra stato totalitario e democratico non è nella natura etica della legge (che è un fatto tecnico e neutrale), ma è nel modo in cui si arriva a decidere chi scrive le leggi, e nel modo in cui le leggi riflettono realmente l’etica più condivisa. Ma voglio chiarire la tecnicità della mia definizione di legge come scelta etica (nel senso: non vi è nessuno che dice al legislatore cosa scrivere, salvo i principi costituzionali), e il fatto che mi associo a voi nel considerare grave la legge che impone arbitrariamente un’entica. Il legislatore nel gestire l’etica connessa al suo potere ha discrezionalità, ma non ha arbitrio. Spero di aver chiarito per evitare inutili contrapposizioni con voi su un profilo su cui possiamo essere d’accordo.

John

Bruno,
per chiarire che ci muoviamo su sostrati terminologici differenti, ma che non diciamo cose diverse,
per me la valenza etica della legge è proprio ciò che ci deve essere in uno stato a-confessionale, dove il legislatore che deve scrivere una norma (la quale per definizione gli impone di dire se un qualcosa è bene o male: devo punire l’eutanasia o no?), non deve eavere nessuno che da fuori gli dice come deve fare, ma è totalmente libero (purché stia nei binari dei principi costituzionali). E dunque compie una scelta “etica” nel senso che ha lui la responabilità di far coincidere ciò che per quella legge è bene con ciò che è bene per la maggioranza dei cittadini”. Portata etica della legge significa proprio autonomia del legislatore. In uno stato confessionale dove il legislatore decide certe cose in virtù di scelte esterne (“decido di punire l’eutanasia perché la CEI mi dice così e se non lo faccio non mi garantiscono dei voti”) la legge perde in qualche modo la sua portata di scelta etica (nel senso che intendevo prima) perché è vanificato il potere del legislatore di scegliere, con una enorme responsabilità, esclusivamente ciò che è il bene per la maggioranza e il minor male per la minoranza.
Almeno così sono riuscito a spiegarmi un po’ meglio?

John

Bruno,
qui mi sento di dissentire. Ma come dicevo a gmd85 in realtà ragioniamo su piani differenti.
Per me una norma morale, è tale (e ha un senso se) è una norma concreta, concretissima.
“ama il tuo prossimo” significa “fai in modo che il tuo prossimo stia bene”. Punto. “il prossimo”, al di là di elucubrazioini, è la persona chei si ha di fronte in quel momento (nei vangeli questo concetto è chiaro e ricorrente, si pensi alla parabola del buon samaritano che è incentrata proprio su ciò). E “amarlo” significa, anche qui al di là di elucurazioni”, farlo stare bene, ovviamente secondo la sua percezione. Quindi, nulla di più concreto. Personalmente, mi rifiuto di considerare “morale” ogni regola che perde questa dimensione di concretezza. E la morale non esclude, ma implica il valutare concretamente di volta in volta che cosa sia bene, perchè “amare il mio prossimo” significa valutare nello specifico momento che cosa sia meglio fare (o non fare) da parte mia per garantire il suo benessere.
Nello stesso tempo alcune regole morali (nell’accezione di cui sopra) possono essere generalizzare, e questo è compito del legislatore, ma non in uno stato totalitario. Qualunque legislatore, anche nel dettare le leggi minimali, compie un’azione etica. La legge è sempre un atto che stabilisce che cosa è bene e che cosa è male. Ogni articolo del nostro codice civile o del nostro codice penale o di qualunque altra legge ha a monte una definizone di che cosa sia bene quasi totalmente discrezionale del legislatore, sindacabile solo dai principi costituzionali (e quelli sì, sono davvero definizioni di “che cosa è bene” totalmente discrezionali).
Ciò va bene e non comporta uno stato totalitario fino a che la legge recepisce una morale sentita come tale dalla maggioranza, e prevede garnzie per le minoranze.
Il problema dello stato totalitario si ha se viene imposta alla maggioranza quella che è percepito come “bene” solo da una minoranza, e quando avviene ciò, lo condanno anche io, esattamente come te.

bruno gualerzi

@ John
“ama il tuo prossimo” significa “fai in modo che il tuo prossimo stia bene”. Punto. “il prossimo”, al di là di elucubrazioini, è la persona chei si ha di fronte in quel momento (nei vangeli questo concetto è chiaro e ricorrente, si pensi alla parabola del buon samaritano che è incentrata proprio su ciò). E “amarlo” significa, anche qui al di là di elucurazioni”, farlo stare bene, ovviamente secondo la sua percezione.”

Ciò che tu chiami ‘elucubrazione’ in realtà è quanto di più concreto si possa verificare, mentre è totalmente astratto il tuo ‘farlo stare bene’. Tu parli di ‘farlo star bene secondo la sua percezione’… ma sei sicuro invece che non sia la ‘tua’ percezione che ti guida?
Esempio classico: le opere di carità. Certamente nell’immediato un bisognoso gradirà qualunque aiuto gli venga portato per alleviare una sua pena ben visibile, non equivocabile… ma se poi queste opere di carità hanno la funzione di supplire – come accade – ciò che dovrebbe essere compito dello stato il quale così non è incentivato a modificare le condizioni che hanno ‘creato’ il bisognoso… destinato così a restare bisognoso… sei sicuro che si è veramente fatto il suo bene? E non è, questo mio, un discorso astratto, una elucubrazione, perché immagino anche tu conosca come tanti che si dedicano ad ‘opere di bene’, in buona o mala fede, operano poi nella società in modo da perpetuare le condizioni che richiedono ‘le opere di bene’; per non parlare di quanti si dedicano a queste opere per ‘compensare’ certi comportamenti che procurano loro sensi di colpa. Nel medioevo, e anche oltre, una comunità che si rispettasse, per ottemperare al precetto evangelico (la citata parabole del ‘buon samaritano’), ci si faceva obbligo di avere sempre a disposizione un certo numero di poveri ‘ufficiali’ … da amare. Fatte le debite distinzioni, siamo sicuri che sia cambiato molto da allora? Infine per non parlare di ciò che più di tutto tu giudichi elucubrazioni, cioè dei tanti risvolti psicologici, delle vere e proprie spinte inconsce che stanno alla base del comportamento sia di chi fa che di chi riceve ‘il bene’. Spinte che è difficile individuale e specificare, certamente, ma che non bisogna rimuovere troppo disinvoltamente.
Tu dirai: resta sempre il fatto che si può distinguere il bene dal male nel senso che si può distinguere, e condannare, chi ‘ama il prossimo suo’ con secondi fini, in mala fede, da chi ‘ama’ e basta, e in ogni caso l’importante è che qualcuno ne sia beneficiato. Ma a questo punto… si torna al punto di partenza.

bruno gualerzi

Qui commenti e repliche si accavallano e sicuramente la colpa principale è mia perchè impiego sempre molto tempo a elaborare un intervento… e quando lo invio, nel frattempo ne sono già usciti almeno un altro paio mafari in replica ad un mio precedente. Spero comunque che ci si possa intendere.

gmd85

@John

Rispondo qui per evitare di accavallare commenti su commenti.

Allora, penso di capire quale sia il tuo ragionamento. Se una regola morale si può tradurre efficacemente in legge, allora i due livelli coincidono. Non è sbagliato, ma bisogna tenere conto, innanzitutto della soggettività e della “malleabilità della morale”. Rubare è un reato, ma in tempi di guerra o di carestia si smette di andare per il sottile e ciò che prima era male diventa giustificabile. Non tutto, ovvio. Uccidere, ad esempio, se non in casi estremi di pericolo per la propria vita non è giustificabile.
Su un altro piano, ci sono fatti non leciti per un certo tipo di morale ma che un apparato giuridico scevro da imposizioni morali esterne non perseguirebbe, come il divorzio o in generale tutte quelle tematiche che sono in contrasto con la morale religiosa ma non con il diritto oggettivo.
Ora, un abuso, un omicidio, un furto per dolo e via dicendo, sono ovviamente azioni che vanno contro una sorta di morale generale condivisibile, certo. Però, non si può passare da questa morale per perseguirli. Essa può essere una base per arrivare a formulare norme specifiche, ma non può essere l’unica base di condanna, soprattutto in uno stato laico. Va bene considerare i due piani simultaneamente, almeno in via personale, ma, come detto prima, si deve perseguire il danno maggiore e concreto, ovvero quello contro la persona.

John

Sono tendenzialmente d’accordo, tranne che su un punto.
Concordiamo di sicuro sul fatto che sia l’ordinamento giuridico che la morale cristiana condannano la pedofilia.
Però, da come parli, sembra che l’ordinamento giuridico la condanna perché fa male a qualcuno (la vittima) mentre la morale cristiana la condanna come male in sé, a prescindere dalla vittima, per una regola astratta. Secondo me non è così. Anche la morale cristiana considera male “ciò che fa male a qualcuno”, e fa coincidere il comportamento “contro Dio” al comportamento “contro il prossimo” (ogni volta che avete fatto questo al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me”). Quindi anche per la morale cristiana il connsiderare “male” la pedofilia trova la sua radice nel fatto che quel male ha una vittima. Il male cristiano, essendo l’antitesi del comandamento “ama il tuo prossimo”, è un male contro la persona, per definizione. Per il cristianesimo, il male è male perché nuoce qualcuno. Per questi motivi non accetto l’idea che dire “è contro la morale cristiana” non sia del tutto analogo a dire “è contro la vittima”.

Diocleziano

John
Non solo ‘sembra’ ma è nei fatti, ed è quello che più urta,
che la chiesa ne faccia una questione di lana caprina
tanto più che il convitato di pietra, qui come colpevole silente,
è proprio la chiesa.
Il cincischiare teorizzando se sia pedofilia o efebofilia è
vergognoso e schifoso; non è in atto un dibattito sul problema
sociale della pedofilia, è solo in atto una campagna di
distrazione e banalizzazione del ruolo dei colpevoli membri
della cosca vaticana.
Non c’è, in generale, una emergenza pedofilia, ma c’è un
problema grave di impunibilità dei preti pedofili.
Il dubbio: danno morale o danno alla persona non esiste,
il danno morale è una aggravante del danno alla persona
in quanto la morale personale è parte inscindibile del
valore emotivo dell’individuo.

gmd85

@John

Ma infatti ho detto che possono coincidere. ma converrai che ci sono tematiche su cui la morale cristiana è di natura puramente dogmatica, danno o no.

Sandra

john,
tutto questo spreco di chiacchiere per difendere la Chiesa è una perdita di tempo. Su questa faccenda la Chiesa è indifendibile, non c’è artificio retorico che faccia passare in secondo piano la responsabilità delle gerarchie cattoliche nel coprire i criminali che hanno proprio grazie alla da loro garantita impunità persistere negli abusi. Nel recente caso Wesolowski si sono addirittura messe in mezzo per sottrarre l’arcivescovo vescovo dalla giustizia che si era già messa in moto. Altro che non devono e non possono: quando conviene possono eccome!

John

Sandra. Non sto difendendo la chiesa, non la difendo e sono d’accordo con voi nell’accusare chi compie i crimini di cui stiamo parlando.
Non c’è nessuna parola mia in difesa della chiesa.
Non riesco a capire perché ti comporti con me come se mi stessi contrapponendo a voi, se fin da subito ho messo in chiaro che secondo me avete ragione. Le mie riflessioni vogliono aggiungersi alle vostre, senza minimamente negarle, relativamente ad un unico singolo profilo molto delicato su cui io stesso ponevo la questione in termini dubitativi.
Ho fatto solo una precisazione sul fatto che secondo me anche la trasgressione della morale (oltre alla trasgressione della legge) è contro la vittima, ma se proprio non ti va la ritiro: non credo di possedere verità assolute, e da questa conversazione può benissimo venir fuori che avete più ragione voi di me, come mi sembra che stia accadendo.
Non sono qui certo per irritarvi se ciò è successo, scusami veramente.
La conversazione con molti di voi che, anziché respingere in blocco ogni mia affermazione, stanno cercando di portare avanti con me una conversazione in questa stessa pagina, mi sta anzitutto inducendo a capire dove sbagliavo nella mia posizione iniziale, e a mutarla di conseguenza.
Spero di avere chiarito meglio la mia posizione.

Sandra

john,
prima di tutto la morale cattolica non è immutabile, mentre il dolore inflitto a un bambino è sempre terribile.
Nella bibbia si considera comportamento moralmente esemplare l’obbedienza a Dio che porta un padre a levare un coltelo sopra il proprio figlio. Che è un atto contro la persona.

“Per questo motivo secondo me occorre riflettere sul fatto che “comportamento contro la morale” non solo non si contrappone, ma implica espressamente “comportamento contro la persona”.”

Ma neanche per sogno! Era considerata immorale una gravidanza fuori dal matrimonio, che portava a una serie di violenze fisiche e psicologiche su madri e figli negli istituti cattolici irlandesi, che sono reati contro la persona. Come era immorale ed è ne paesi islamici e si viene uccisi per questo!
Direi piuttosto che giudicare immorale un comportamento forniva la giustificazione alla Chiesa per compiere reati contro la persona, ma non credo che questa sia l’implicazione che intendevi tu!

John

Sandra,
siccome, come ho sempre precisato, non mi identifico aprioristicamente in nessun sistema di pensiero precostituito, ti dico che hai ragione.
Io ho sempre parlato della mia lettura personalissima della morale cristiana (“cristiana”, non “cattolica”: spero così di essere più chiaro). Della chiesa condanno tutto ciò che condanni tu in quest’ultimo post.
Quindi, di ciò che hai scritto, sottoscrivo ogni singola parola, e sono pienamente d’accordo con te.
La mia frase che hai messo tra virgolette non era riferita alla chiesa, ma alla “morale” secondo la mia personalissima interpretazione. Rileggiamo i commenti da cui sono partito (7 giugno, 12:31): io ho sempre parlato di “morale” senza mai riferirla alla “chiesa”. L’ho sempre riferita alla mia personale interpretazione. Ho sempre parlato della morale relativa, che ha come misura il singolo, mai di una morale assoluta.
Chiariamo definitivamente questo equivoco, perché altrimenti nasce una contrapposizione inutile: tutti gli accostamenti tra me e il cattolicesimo o la chiesa li avete fatti voi, non io. Io, Se ci fai caso, l’unico aggettivo che ho sempre attribuito a me, è quello di “credente”, e anch’esso con forti componenti di dubbio.
Per cui non ha senso che diciate che “io sbaglio perché la chiesa pensa così e così”, in quanto, nel momento in cui il mio pensiero differisce da quello della chiesa, io mi trovo a respingere il pensiero della chiesa insieme a voi. E questo è uno dei casi.
Sono stato più chiaro adesso? Riusciamo, almeno così, a liberare il campo da equivoci?
Poi, se vuoi continuare a contrapporti fai pure, ma non ha senso, perché di tutto ciò che hai scritto finora, ti do ragione in tutto.

Sandra

john,
tu hai scritto
“Il pensiero è riferito alla frase “un delitto contro la morale, anziché contro la persona”.
Secondo me, questa distinzione non è detto che debba esserci. “

e la pedofilia è delitto contro la morale intesa come morale cattolica, non morale di John, mi sembra. Sei tu che sei partito difendendo la categorizzazione di pedofilia che fa la Chiesa cattolica, che qui si contesta. Poi ci puoi rigirare intorno, ma di lì sei partito. Per la Chiesa è immorale anche l’omosessualità, e la condanna che ne è derivata e che ne deriva non preserva per nulla la persona. Quindi, la distinzione tra delitto contro la morale vs delitto contro la persona c’è, eccome. Poi se il tuo concetto di morale è allineato con la carta dei Diritti dell’uomo, beh, scusa allora non capisco nemmeno il senso del tuo post.

RobertoV

Concordo con quanto scritto da Sandra che avevo anche espresso in modo differente in un mio intervento precedente.
Nell’articolo si parla della chiesa cattolica, intesa come chiesa cattolica di vertice, quella che decide ed indirizza la morale cattolica, non nell’interpretazione dei suoi singoli fedeli che spesso divergono.
Per la chiesa cattolica la sua morale non coincide con quella di uno stato laico, nè con le sue regole giuridiche.
Il fatto stesso che non ritenga necessario la denuncia alle autorità la dice lunga su quale sia la sua “preoccupazione” per le vittime.
Ci sono stati e ci sono ancora centinaia di processi e comportamenti storici a testimoniarlo.

John

Diocleziano:

Sono pressoché d’accordo su tutto. Se noti, in tutti i miei interventi ho parlato di “morale cristiana”.
Tu invece parli di “chiesa”. Beh, esiste un’equazione sicuramente valida per cui la chiesa persegue sempre la morale cristiana? Direi di no. Al contrario: la chiesa può andare contro la morale cristiana.
MI sembra abbastanza ovvio. Proprio il caso di cui stiamo discutendo rispecchia un’ipotesi di questo tipo. Quindi il mio discorso secondo me non è incompatibile con il tuo. Basta distinguere “morale” (regole etiche da seguire) da “chiesa” (soggetto che le deve seguire ma in questo caso non le segue).
Naturalmente (è meglio precisarlo ormai sempre), la morale cristiana non si sostituisce alla legge.

(Poi si potrebbe fare una precisazione sul fatto che io non userei il termine “chiesa” che è troppo generale e include persone oneste, ma userei “gerarchie ecclesiastiche”, però so che scatenerei un flame, quindi qui non sto ad impuntarmi su tale distinzione e accetto la vostra base terminologica).

gmd85:

“converrai che ci sono tematiche su cui la morale cristiana è di natura puramente dogmatica, danno o no”.

Assolutamente si. Infatti credo che negli ambiti di cui parli la chiesa debba modificare la propria morale, se non vuole continuare a sostenere cose inaccettabili.

Giorgio Pozzo

Stavolta mi permetto di dissentire con tutt’e due le “parti”, e giocare il ruolo del terzo incomodo.

La morale non è nè un principio astratto, come dice Bruno, nè un insieme di regole, come dice John. La morale è qualcosa che viene dalla nostra evoluzione di specie. La morale deriva direttamente da quei fenomeni neurobiologici che si sono evoluti con noi, e con molte specie animali complesse. Provate a toccare un cucciolo di orso in presenza della madre: come minimo vi ritrovate con una dozzina di ossa frantumate. E sono pronto a scommettere che molte, se non tutte, le mamme di bambini maltrattati (da preti o altri) avrebbero istintivamente utilizzato una mazza da baseball sui denti di chiunque avesse tentato di approfittare dei loro bambini (lo farei pure io).

Questo istinto “materno”, che tende a proteggere i cuccioli della propria specie, ci arriva, come detto, dall’evoluzione, e insieme ad altri istinti di base neurobiologica forma l’embrione di quella che si può chiamare “morale”. Gli individui della nostra specie tendono quindi a giudicare “amorali” (non “immorali”, in quanto qui ci sono discorsi pregiudiziali) quegli altri individui che si comportano in modo contrario a questi stessi istinti. Niente di astratto, insomma: tutto basato su concretissimi ormoni e neurotrasmettitori. E, dall’altra parte, per capire quanto sia errato il concetto di morale come regole, magari confessionali, basti pensare che sovente mamma orsa si trova costretta a difendere i propri piccoli perfino dai maschi della propria specie. Il quarto comandamento, quindi, che mi impone di onorare il padre e la madre, contrasta enormemente con la mancanza di un comandamento che imponga ai genitori di rispettare i figli (perfino Abramo ci appare quindi moralmente discutibile).

bruno gualerzi

@ Giorgio
Quando parlo di ‘principio astratto’ non intendo affermare che si tratta di qualcosa di ‘inventato’, di puramente teorico, ma del prodotto di un’esigenza – determinata dalla condizione umana – alla quale si può rispondere in tanti modi diversi. Il bene – diceva già Socrate (o chi per lui), traendone poi per conto suo conseguenze non sempre condivisibili – non può mai essere identificato col ‘bene per qualcuno o per qualcun altro’: è, appunto, un principio (lui diceva un ‘concetto’), o, per quanto mi riguarda, un’esigenza.
Naturalmente tutto ciò andrebbe argomentato (l’ho fatto nel mio sito), ma per adesso mi fermo qui 🙂

gmd85

@Giorgio Pozzo

In quest’ottica, si, si può concordare. In maniera forse meno chiara l’ho scritto anche io. Se la morale è traducibile pragmaticamente in norme utili alla convivenza sociale, bene (può esserlo solo nell’ottica evoluzionista, appunto). Ma se ci si riferisce a una morale confessionale il problema nasce il problema.

John

Non ho grossi problemi a concordare con Giorgio Pozzo.
Proprio perché considero la morale qualcosa di estremamente concreto, certamente penso che abbia un’origine evoluzionistica. Così come non credo in un Dio che realmente ha creato Adamo ed Eva all’improvviso dal nulla, e dunque penso che l’evoluzionismo darwiniano sia pienamente compatibile con il credere in Dio, allo stesso modo secondo me l’idea che la distinzione bene-male abbia origine evoluzionistica e biologica sia la più ragionevole, ed è quindi conciliabilissima con l’idea che ho di Dio. Anzi, andrei oltre: non vedo proprio alternative.

alessandro pendesini

Non esiste, e dubito che possa esistere un giorno, una morale universale. Semmai un’Etica universale ; ma da quello che credo aver capito, è pura utopia se non teniamo conto della vera natura umana quella che la neuroscienza ci insegna ! Sottolineo che non esiste alcun centro o sistema morale nel nostro cervello, in quanto tale : la funzione più evidente della moralità è epigenetica, cioé acquisita e non innata ! Con questo intendo dire che non vi è alcun “centro” -o nuclei neurosinaptici- relativi alla morale o etica nel nostro encefalo. Ma degli insiemi gerarchizzati e paralleli di neuroni che contribuiscono alle funzioni “cognitive” che vengono utilizzati per elaborare l’etica. Tali predisposizioni neurali all’etica sono pressoché comuni alla specie umana.
P.S. :-Nelle società odierne esiste solo un rapporto molto indiretto, quasi nullo, tra le regole morali proprie di una cultura, e la capacità “darwinista” di trasmettere i geni che determinano queste regole.
Possiamo qualificare d’istinto la “morale” di certi animali, un istinto genetico non negoziabile, avvenuto tramite l’evoluzione biologica. Ma quando aggiungiamo l’evoluzione (o cambiamenti) culturali, otteniamo un meccanismo plausibile per lo sviluppo delle diverse moralità umane.

John

alessandro,
“Non esiste, e dubito che possa esistere un giorno, una morale universale.”
sono pienamente d’accordo.
Provo a dare un’ulteriore chiarificazione di ciò che ho scritto finora.
Secondo me la morale non è un insieme di regole imposte dall’esterno, ma una serie di regole che il singolo individuo dà a sé stesso per distinguere il bene dal male.
La morale è individuale, non ho dubbi. Tanto è vero che, siccome possono esserci morali contrapposte (per una persona può essere bene ciò che è male per un’altra) compito del legislatore è, al fine di garantire il quieto vivere, rendere più cogente la morale condivisa dalla maggioranza delle persone (per capirci: ciò allo scopo di evitare che se per una minoranza di persone torturare è giusto, essi possano farlo in nome della loro morale personale). Ma quando la morale del singolo non danneggia nessuno, non gli si deve vietare di averla: qui entra in gioco lo stato totalitario.
Peraltro, non è che questo compito del legislatore sia sempre esercitato bene. Non lo è quando fa prevalere la morale cattolica, imponendo l’ora di religione nelle scuole; oppure (per non stare solo in tema religioso) non lo è quando fa prevalere la morale secondo cui il falso in bilancio non è reato, non è “male”.
A volte ciò accade perché il legislatore fa prevalere la morale di una minoranza (come nel caso dell’ora di religione), e questa è piena prevaricazione.
Altre volte accade perché sembrerebbe essere la maggioranza a volere una morale poco chiara (come nel caso della depenalizzazione del falso in bilancio, il cui fautore ebbe purtroppo moltissimi voti). Quest’ultimo è il problema della dittatura della maggioranza (di cui l’Uaar purtroppo spesso subisce gli effetti), su cui però non è il caso di soffermarci qua. Rinviamo agli scritti di Zagrebelsky, che affrontano incisivamente il tema.
Quindi, riassumendo: la morale, è morale del singolo. Rileggete a questa luce il mio commento del 7 giugno, 12:31, e forse sarà più chiaro.

John

Un chiarimento, per prevenire una vostra obiezione:
io nel commento del 7 giugno, 12.31, parlo di una morale che vi ho detto essere individuale, e cito il comandamento cristiano “ama il prossimo tuo”.
Mi direte “ma come concili le due cose?”.
Secondo me la morale del singolo può liberamente attingere a sistemi di pensiero: basta che non li accetti pregiudizialmente in blocco e non li segua ciecamente e formalmente.
Per cui io posso fare mio il precetto cristiano “ama il prossimo tuo”, così come posso scegliere un terreno in cui costruire la casa (ma lo stesso potrei farlo con un precetto buddista o con il pensiero di Bertrand Russel, chiaro?). Poi però la casa la devo costruire io, non devo farmela costruire da altri, caspita!
Spero di aver chiarito anche questo, che in fondo rappresenta il modo i cui io mi rapporto al pensiero cristiano (≠cattolicesimo ≠chiesa), e può aiutarci a superare alcuni equivoci che hanno generato alcuni commenti inutilmente aggressivi nei miei confronti.

gmd85

@John

Concordo ed effettivamente basta pensare al fatto che la regola d’oro non è prerogativa cristiana.

Laverdure

@Giorgio Pozzo
Temo che il tuo esempio si presti a molte critiche.
E’ verissimo che l’istinto materno e’ stato rafforzato dall’evoluzione
perche’ favorisce la sopravvivenza degli individui di una specie,ma anche per l’istinto di diffidenza verso tutto cio’ che e’ “diverso” vale lo stesso identico discorso.
Infatti in natura tutto cio’ che e’ diverso puo’ nascondere insidie mortali, e la diffidenza spinta fino alla repulsione violenta favorisce senza dubbio la sopravvivenza di chi la pratica.
Ma nella moderna societa pretesa “civile” la morale cerca proprio
di combattere la diffidenza e l ‘intolleranza verso i “diversi”,come
omosessuali o individui di etnie differenti.
Infatti la societa “civile” e’ fondamentalmente “innaturale”,perche e’ nata proprio per difendere l’uomo dala spietatezza della natura,e lo stesso discorso vale per la morale che ne’ e’ derivata.
Per cui associare la morale agli istinti mi sembra una palese contraddizione.

Giorgio Pozzo

Ancora una volta bisogna precisare la semantica delle parole. Quello che ti sembra una contraddizione è invece una differenza intrinseca tra due fenomeni che sono (questo sì) difficili da conciliare.

Io, con il termine morale, intendo quel fenomeno innato, neurobiologico, che risiede in ognuno di noi, e che ci arriva dall’evoluzione. Si dimostra che un certo senso della morale risiede anche -e soprattutto- nei bambini, i quali piuttosto inconsciamente distinguono tra bene e male. Niente dio e niente diavolo, insomma.

Tutto quello che invece viene costruito dalla società e imposto come regole di gruppo, lo chiamo etica. Un gruppo costruito sul confessionalismo avrà quindi la sua etica (non morale!) scritta in comandamenti e precetti. Un gruppo costituito come società, o anche associazione, corporazione e via dicendo, avrà anch’esso la sua etica, scritta in norme e leggi. Ancora, niente dio e niente diavolo, in quanto le religioni sono un’invenzione umana.

La paura del “diverso”, infatti, ha delle basi evoluzionistiche (ergo morali), ma eticamente risulta discutibile quando per esempio applicata addirittura con regole e leggi. Va bene avere paura del diverso, ma bisogna distinguere se il giudizio negativo sia eticamente appropriato oppure no.

L’esempio che facevo di Abramo risulta però quantomai azzeccato in quanto in questo caso la morale innata condanna l’etica religiosa del comando divino di uccidere il proprio figlio. Morale e etica religiosa fanno a pugni. Siamo purtroppo ancora pieni di casi (la lista è purtroppo lunga) nei quali l’etica confessionale contrasta sia con l’etica laica che con la morale individuale.

Laverdure

“…. Tra questi c’è anche una vittima. È una donna irlandese, e anche questo è un fatto curioso dal momento che ben oltre l’80 per cento delle vittime dei sacerdoti pedofili sono di sesso maschile.”
Sempre da criticare.
Non vedete invece la saggezza di Bergoglio?
Evidentemente e’ ben consapevole che molte vittime maschili dei pedofili diventano loro stessi pedofili da adulti (quasi il 50% dei preti
smascherati ha ammesso di esserne stato vittima ),per cui ha voluto evitare i rischio di favoritismi per “spirito di corpo”.
E c’e’ chi dubita dell’illuminazione divina del Pontefice.

Frank

Segretario: Santità che tipo di provvedimenti ha deciso di prendere contro i preti pedofili?
Papa Ufficiale: Da ora en poi cuando los faremo trasferir viaggierannos en secunda classe, lo sai che io son un papa umile.
Segretario: Un provvedimento veramente drastico…Santità.

Frank

A causa della tipologia di alcuni commenti scritti sopra trovo doveroso inserire questa pubblicità progresso:

La Florenskijte non si vede ma sta crescendo, perchè si trasmette non solo discutendo con persone affette, la Florenskijte infatti la si può contrarre anche attraverso scambi occasionali su blog in Internet, ecco perchè più commenti si scambiano più si corre il rischio di contrarla, i sintomi principali della Florenskijte sono smanie da citazionismo, logorrea, perdita delle funzioni primarie dell’intelletto (chi ne è affetto non è neanche capace d’utilizzare il tasto rispondi), per questo bisogna evitare scambi di commenti occasionali con persone che con solo un commento riescono ad intasare un server e comunque in quei casi usare il copritastiera.

Florenskijte se la conosci la eviti, se la conosci non ti uccide.

Marco Tullio

Che cosa cavolo stabilisca il Codice Penale vigente nel minuscolo SCV in materia di pedofilia non ha nessuna importanza.
Ne ha, invece, qualcuna quel regolamento interno di disciplina del clero che va sotto il pomposo nome di Codex Juris Canonici, che, in pratica, può soltanto minacciare (grazie a Dio e alla nascita dello Stato laico moderno) il licenziamento in tronco dall’impiego di prete (non credo che i pedofili meritino una terminologia meno brutale).
Francamente il Canone 1395 §2 che recita. “Il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo, se invero il delitto sia stato compiuto con violenza, o minacce, o pubblicamente, o con un minore al di sotto dei 16 anni, sia punito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti”, sembra anche a me un po’ deboluccio. Tanto per cominciare mette insieme l’ipotesi del “pubblicamente” (da intendersi con persone adulte e consenzienti) con altre ben più gravi. E soltanto per quella appare giustificata la dizione “giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale”. Per il resto (violenza, minacce, minore al di sotto dei sedici anni, ma io direi diciotto) “la dimissione dallo stato clericale” dovrebbe essere prevista in modo automatico e inderogabile. E mi pare che attualmente, di fatto, lo sia.
Dunque, se è vero che le Autorità Ecclesiastiche la citata norma l’hanno fatta in modo erroneo e probabilmente applicata – in molte circostanze – in modo troppo condizionato dal terrore dello scandalo, è anche vero che adesso le cose sono con tutta evidenza cambiate, e se ai laicisti risulta il contrario … lo denuncino.
Tuttavia la persecuzione giudiziaria degli individui che siano nello stesso tempo sporcaccioni (in modo penalmente rilevante) e preti non compete alla Chiesa: compete allo Stato.
Chiedere al Vescovo (come a chiunque altro) di denunciare all’Autorità Giudiziaria fatti che gli sono stati soltanto riferiti (essendo improbabile che li abbia visti con i propri occhi) è un assurdo giuridico. Le vittime, o i loro familiari, se si tratta di minorenni, si rivolgano all’ Autorità statale competente, pur informando anche il Vescovo. Questi prenda misure urgenti idonee a rendere subito impossibili quei gravissimi peccati (perché, in quanto Vescovo, di peccati e non di reati si deve occupare) e la Chiesa, con le proprie procedure, veda se è il caso di radiare dal clero il prete indegno o magari anche il Vescovo non abbastanza vigilante ed energico. Veda anche se non sia il caso di esercitare un più stretto controllo sugli Ordini Religiosi. In altre parole: si rafforzi l’autorità del Vaticano sulla Chiesa Universale. Si rafforzerà, anche per questa via, il prestigio del Papato … non saprei con quanta gioia delle autorità politiche e delle correnti di pensiero di tradizione laicista o protestante. Che, infatti, di questa faccenda ormai parlano ben poco …

Frank

Guarda che lo abbiamo capito che sei un essere ripugnante, non è necessario che insisti.

gmd85

@Marco Tullio

Quindi, per te, basta la dimissione dallo stato clericale? E dovrebbero essere i “laicisti” a denunciare? Non i cristiani in primis?
Ma che schifo…

Marco Tullio

NON HO MAI DETTO che “basta la dismissione dallo stato clericale” come punizione del prete pedofilo. Questo è, ovviamente, il minimo che deve avvenire, e nello stesso tempo il massimo che l’ Autorità Ecclesiastica può – e deve – fare, anche in quei casi in cui sarebbe di fatto impossibile applicare le meritate punizioni stabilite dalla legge dello Stato. Dello Stato, appunto, che è il solo che può e deve punire gli atti di delinquenza da chiunque commessi.
E non mi pare che ciò in Italia non avvenga, se è vero, come si riferisce nell’articolo, che ben 150 sacerdoti, nel nostro Paese, erano finiti sotto processo nel decennio precedente il 2012.

Diocleziano

Ti sarebbe bastato guardare uno dei tanti servizi delle ‘IENE’ per capire come vanno in realtà le cose: genitori che denunciano le molestie ai superiori, superiori che minacciano i genitori, prete pedofilo che sparisce… superiori che negano e minacciano i giornalisti… Ma va là, apri gli occhi!

Marco Tullio

@ Diocleziano, che ha scritto: “Ti sarebbe bastato guardare uno dei tanti servizi delle ‘IENE’ …”:

“Purtroppo programmi come Le Iene sono assurti a simboli del trash subculturale che infesta i media dei nostri giorni, confondendo lo spettacolo per subnormali con l’informazione, e pretendendo di sostituire servizi pseudogiornalistici alle inchieste giudiziarie”.

Piergiorgio Odifreddi, “Il non senso della vita 2”, 3 giugno 2014.

Diocleziano

In questi casi (perché sono molti) avresti fatto bene a guardarli, ti assicuro che erano alla portata del tuo livello di comprensione.

RobertoV

Marco Tullio
Questo perchè purtroppo non si è voluto parlare seriamente del fenomeno come si è fatto in altri stati.
Gli scandali sono stati in genere oscurati. La chiesa è ben contenta che solo 150 preti siano stati beccati e che gli altri l’abbiano fatta franca e lo stato italiano non ha interesse a disturbare il potente vicino. Hanno scoperto solo una piccola quota del totale perchè nel caso della pedofilia c’è purtroppo il rilevante fenomeno del sommerso, meno si indaga, meno strumenti legislativi vengono messi a disposizione, meno se ne parla e meno si scopre.
E’ proprio la centralizzazione della chiesa che permette di nascondere i reati.
Per esempio gli avvocati difensori delle vittime austriache avevano chiesto di rendere disponibili le 6000 pratiche relative a vittime di preti pedofili austriaci inviate in Vaticano, senza nessun riscontro.

Gianluca

Marco Tullio

Scusa, ma che dici?

Allora io sono il proprietario di una fabbrica, vedo che un mio dipendente ne uccide un altro… e l’unica cosa che posso fare è licenziarlo? E secondo te è sufficiente la giustificazione del fatto che non ho previsto nelle mie regole interne la possibilità di denunciarlo alle autorità?

Ma per favore…

Marco Tullio

@Gianluca. “Allora io sono il proprietario di una fabbrica, vedo che un mio dipendente ne uccide un altro…” – Qusto esempio non calza, perché in concreto non avviene mai che un prete pedofilo faccia le sue porcherie sotto gli occhi del Vescovo (così come è, in generale, molto improbabile che un lavoratore commetta reati in modo che i suoi superiori lo vedano). Dunque la denuncia che si richiederebbe al Vescovo (come a qualsiasi superiore professionale) sarebbe di questo tipo: “Tizio mi ha riferito che il mio dipendente Caio avrebbe fatto questo e questo”. Sarebbe inefficace, mentre sarebbe utile e doveroso che Tizio stesso portasse a conoscenza dell’ Autorità (statale!) competente i reati di cui è a conoscenza.

gmd85

@Marco Tullio

Questa tua difesa del non denunciare è rivoltante. Stiamo parlando di prelati che si assurgono a detentori di valori morali e sputano sentenze su cosa è giusto o no. Poi, però, se possono insabbiare e spostare i preti di diocesi in diocesi, lo fanno. Ipocrisia ai massimi livelli e tu la difendi. Di nuovo, che schifo.

gmd85

@Marco Tullio

Ti fosse sfuggito, perché o non ci arrivi o fai lo gnorri, non si chiede alla chiesa di perseguire penalmente, si chiede di non insabbiare e di avvertire le autorità competenti. Ho cercato in rete ma non mi sembra che il Vaticano abbia ratificato la convenzione di Lanzarote. ottimo comportamento, non c’è che dire.

Sandra

Rispiega il tutto alla luce del caso Wesolowski. Se il codice penale vaticano nulla poteva, perché non lasciarlo dov’era, dove c’era tutto l’apparato giuridico, e anche i testimoni, e invece usare l’immunità diplomatica per farlo rientrare a Roma? Forse perché c’erano anni di abusi e, soprattutto, anni di coperture compiacenti da parte di altri alti papaveri?

bruno gualerzi

Parziale OT
“In un colloquio che avemmo lo scorso mese di marzo, parlando del peccato Papa Francesco mi disse la frase che qui riferisco letteralmente: “I peccati del mondo sono l’ingiustizia e la prevaricazione. Io li chiamo concupiscenza, cupidigia di potere, desiderio di possesso. Questi sono i peccati del mondo e dobbiamo combatterli con tutte le forze di cui disponiamo”. (E. Scalfari)

Ecco il grande laico-non-credente Eugenio Scalfari che – recidivo – si fa ripetere la lezioncina dall’oggetto della sua infatuazione senile: papa Francesco.
In fondo è un classico. Secoli di riflessioni su quelli che il papa chiama ‘peccati’ acquistano il loro vero valore solo se a dire in cosa consistano è il capo religioso. Se non è sudditanza questa…
Incurante anche del fatto che si parla di ‘peccato’, cioè non avendo niente da ridire su questo assurdo (che tale almeno dovrebbe essere per un ateo) far derivare i comportamenti negativi, in fondo autolesionisti, dell’umanità alla ‘disobbedienza’ di norme dettate da un fantomatico (sempre per un ateo) legislatore divino… il nostro non esita un momento – che lo voglia a no – a porre il sacro sigillo su considerazioni che, lui stesso come chissà quanti altri, chissà quante volte, ha fatto o sentito fare. Ecco la grande rivelazione: “I peccati del mondo sono l’ingiustizia e la prevaricazione ecc.”. Proprio così, ‘letteralmente’, si premura di sottolineare Scalfari, ha affermato il papa.
Inutile ribadire che, proprio in quanto assoluta ovvietà, le parole di Francesco papa sono condivisibili (‘peccato’ a parte)… ciò che sconcerta, al solito, è il rilievo che viene dato a queste banalità anche da uomini che si presume di cultura e – soprattutto – che ci tengono a rivendicare la propria inscalfibile laicità. Per forza che poi i credenti – anche quelli dubbiosi – si sentono confermati nella loro fede…

Sandra

Il discorso di Scalfari è incompleto: si può essere anche d’accordo che il peccato (o la categoria di cattivo comportamento) sia la prevaricazione, ma manca il legame con i reati che ne derivano e con i possibili interventi. La prevaricazione, per restare nel tema del post, sono gli abusi sui minori e la connivenza delle gerarchie nel voler preservare l’istituzione ai danni delle vittime. L’intervento è la diminuzione del potere assoluto, del considerarsi al di sopra di tutto e tutti, e il sottostare a meccanismi esterni di controllo. Quando si strappa qualcuno alla giustizia o si rifiutano le conclusioni di rapporti esterni, si persegue nella strada del cattivo comportamento della prevaricazione che inevitabilmente porterà ad altri reati.

Giorgio Pozzo

Il discorso di Scalfari sarà anche incompleto, ma quello del papa è una galattica presa per il didietro…

Secoli e secoli di confessionalismi, catechismi, inquisizioni, inferni, paradisi, regole, norme, precetti, dogmi, specificati, dettagliati e perseguiti fino alla nausea, ossa rotte, tenaglie roventi, colpe veniali, mortali, apostasie, confessioni, pentimenti (sinceri e non), … e adesso….? Il signore vestito da bottiglia di latte mi viene a dire che il peccato è una prevaricazione?

No, dico, allora avevano scherzato? Oppure, ci prendono per scemi?

Sandra

“Il discorso di Scalfari sarà anche incompleto, ma quello del papa è una galattica presa per il didietro…”

Dei due però è il papa che fa quello che ci si aspetta da lui.

bruno gualerzi

@ Giorgio
“Il discorso di Scalfari sarà anche incompleto, ma quello del papa è una galattica presa per il didietro…”

A maggior ragione l’ammirazione per l’uscita del papa (dal quale credo anch’io – come Sandra – che non ci si potesse aspettare altro) da parte di Scalfari, è una penosa manifestazione – per un intellettuale – di sudditanza proprio anche culturale.

giuseppe

dal 1860 a oggi le cronache documentano una lunga scia di episodi criminali senza soluzione di continuità, e pesanti responsabilità delle gerarchie ecclesiastiche nella diffusione degli stessi per via di una prassi sempre e solo finalizzata a preservare l’immagine pubblica della Chiesa sacrificando i diritti e l’incolumità delle vittime.

Invece di partire dal 1860 !!! si potrebbe andare ancora indietro, magari al primo secolo dell’era cristiana ! Ma per favore……….E poi perché non fare una commissione d’inchiesta sui padri che violentano i figli o su altri ambiti dove il fenomeno é più diffuso ? E’ chiaro che l’intento é solo quello di colpire la chiesa, nulla togliendo al dolore delle vittime che meritano tutto il sostegno possibile.

faidate

L’importante è corrompere in nome di Dio. Anche Galan, con le tangenti del Mose, si è costruito, a fianco alla villa, una cappella per pregare. Probabilmente è stata consacrata e qualcuno ci dice messa.

Sandra

“Invece di partire dal 1860 !!! si potrebbe andare ancora indietro”

Dovresti sapere che fino al 1850 esisteva il foro ecclesiastico, i preti che commettevano reati erano d’ufficio giudicati solo da un tribunale ecclesiastico. E quindi non si può andare tanto indietro.
Se ti interessa il libro “Clero criminale” tratta proprio di questo tema.

gmd85

@giuseppe

E poi perché non fare una commissione d’inchiesta sui padri che violentano i figli</blockquote<

C'è già, genio.

http://www.osservatoriopedofilia.gov.it/

Per non parlare di tutte le associazioni che se ne occupano.

Povera la chiesa, sempre attaccata, vero?

Ma tu e tutti i tuoi compari lo avete capito che lo schifo sta nell'insabbiare tutto, si?

Marco Tullio

Per tutti coloro che mi ritengono amico dei preti pedofili (o comunque delinquenti, perché ve ne sono anche di quelli che commettono altri reati) e dei superiori ecclesiastici che non hanno fatto il proprio dovere.
Sia ben chiaro che tutti costoro li condanno e desidero che siano condannati sia dalla Chiesa (che tuttavia non può far altro che espellerli), sia dallo Stato secondo le sue leggi e i suoi strumenti punitivi.
Tuttavia, a differenza di voi, non accetto che si considerino i reati commessi da alcuni preti come “strutturali” della Chiesa. Mi sembra evidente l’energia, la sistematicità e l’efficacia con cui ormai da tempo il Vaticano contrasta i fenomeni di “criminalità clericale”. Al punto che temo persino che i Governi non ne abbiano, in fin dei conti, poi tanto piacere: potrebbero emergere anche trascuratezze, se non connivenze, di loro Uffici e si rafforza, in ultima analisi, in tutto il mondo, l’autorità – non solo morale – del Papa.
Mi sembra anche evidente che nessun “aiutino” venga ai preti indegni dall’influenza che la Chiesa può avere sulla società civile italiana: centocinquanta condanne penali in dieci anni sono qualcosa!
Quanto al denunciare alla Polizia fatti criminosi riferiti al Vescovo, non è possibile se coloro che li hanno riferiti (ad esempio i genitori d’un bambino abusato) non desiderano confermare: si rischia una magnifica condanna per calunnia, vantaggiosa proprio per il figuro che si voleva colpire. E’, dunque, la legge italiana che andrebbe riformata. Saggiamente quella francese dispone altrimenti e viene – pare – osservata se, oltre il caso trito e ritrito del Vescovo Pican giustamente condannato e dell’infelice lettera (non certo ufficiale) di Castrillon Hoyos non avete altri fatti simili da agitare.

gmd85

@Marco Tullio

centocinquanta condanne penali in dieci anni sono qualcosa!

Chissà quanti di questi 150 hanno visto vescovi favorire le indagini e aiutare le vittime. Fai il favore…

Ciò che devono fare i vescovi è indirizzare le vittime presso le autorità. E se l’accusato dovesse confessare al superiore di aver commesso il fatto, il dovere morale assume ancora più importanza. Si fotta il segreto della confessione, eh.

Una rispostina a Sandra?

Marco Tullio

Uno che arriva a tale livello d’empietà da macchiarsi di pedofilia difficilmente si confessa con sincerità. Se per caso si pentisse davvero dei suoi peccati e volesse fare una confessione sincera, essendo criminale, sì (sebbene – in questo caso – pentito), ma non scemo, andrebbe da un confessore che non lo ha mai conosciuto prima e che mai potrebbe ritrovarlo in seguito!
D’accordissimo sul concetto che le vittime dovrebbero essere caldamente esortate a rivolgersi all’ Autorità statale e, magari, patrocinate da avvocati forniti (e pagati) dalla Chiesa stessa, che in casi simili è PARTE LESA.

gmd85

@Marco Tullio

Sei forse un profiler per poter dire cosa faccia o non faccia il criminale? Se poi si parte da accuse delle vittime la necessità di approfondire è ben maggiore. Poi è chiaro che mi riferisco a casi in cui il sospetto è lecito, confessione o no.

gmd85

@Marco Tullio

centocinquanta condanne penali in dieci anni sono qualcosa!

Chissà quanti di questi 150 hanno visto vescovi favorire le indagini e aiutare le vittime. Fai il favore…

Ciò che devono fare i vescovi è indirizzare le vittime presso le autorità. E se l’accusato dovesse confessare al superiore di aver commesso il fatto, il dovere morale assume ancora più importanza. Al diavolo il segreto della confessione, eh.

Una rispostina a Sandra?

Marco Tullio

Chi ci dice che il fenomeno sia tanto più ampio di quanto è finora emerso? Con le illazioni gratuite si può sostenere qualsiasi cosa. Ma, in fondo, questa è la tesi di tutto l’articolo e del libro da cui prende spunto: è sicuro (su che basi lo si afferma?) che i preti pedofili italiani siano legione, dunque (W la logica formale!) è certo (l’ho appreso guardando “Le Jene” in TV! ) che l’Episcopato italiano ne ha coperto la maggior parte. Personalmente invidio chi sa avere tali incrollabili certezze: certamente aiutano la digestione, facilitano il sonno e favoriscono la regolarità dell’alvo.

gmd85

@Marco Tullio

Non si tratta di certezze, ma di logico sospetto. Quantomeno che sia più esteso di quanto sembra. Tu che certezza ricavi da questi 150 preti visto che non è ben specificato il ruolo dei superiori? E smettila con teatralità e drammatizzazione, che non commuovono.

gmd85

@Marco Tullio

Mi spiegherai poi come concili la tua affermazione sulla necessità di una legge apposita se già in apertura hai messo l’ordinamento giuridico italiano in secondo piano rispetto a quello canonico. Tzé.

Marco Tullio

Non mi sono mai sognato di ritenere il Diritto canonico sovraordinato all’Ordinamento Giuridico dei vari Stati in cui gli Ecclesiastici agiscono (e qualche volta purtroppo delinquono), fatta eccezione per il minuscolo SCV ALL’INTERNO DEL SUO MICROSCOPICO TERRITORIO (perché per chi non lo sapesse nei tempi moderni LA LEGGE E’ TERRITORIALE). Ma naturalmente le leggi vigenti su quel territorio – stante la sua piccolezza e la pratica impossibilità di compiervi la maggior parte degli illeciti ipotizzabili – non dovrebbero avere importanza per l’opinione pubblica esterna. Invece il Diritto Canonico, disciplinando il Clero cattolico (sempre in subordine alla Legge vigente nei vari luoghi) ovviamente riveste un legittimo interesse per l’opinione pubblica. E se questa va ad esaminarlo – tenendo conto non soltanto del vecchio Codex Juris Canonici, ma anche delle recenti disposizioni pontificie e della prassi ormai da tempo instaurata – vedrà bene che la pedofilia e l’angheria pedagogica sono seriamente combattute all’interno della Chiesa.
Comunque il cittadino deve aspettarsi soprattutto dallo Stato la tutela contro la criminalità da chiunque perpetrata … preti compresi.

Marco Tullio

La legge apposita ci vorrebbe perché in Italia se denunci qualcuno e poi questo viene assolto (magari grazie alla propria abilità nell’occultare le prove di quel che ha fatto) rischi tu … e sodo. E se sei il capo professionale dell’astuto individuo … come fai, dopo ch’è stato assolto da un Giudice (e magari t’ha estorto pure un indennizzo) a prendere provvedimenti interni contro di lui?

gmd85

@Marco Tullio

Porca madosca, le regole interne del vaticano sono aria fritta. Ma dai? Esiste un principio di territorialità delle leggi per cui se hai commesso il crimine in un territorio X sarai giudicato in base alle norme del territorio X? Oh, Cristoforo, te lo si dice da una vita. Il diritto canonico è irrilevante proprio perché il reato è commesso su territorio italiano (o qualsiasi altro che non sia del vaticano), opinione pubblica o no. Piantala di sbandierare il diritto canonico, le riduzioni allo stato laicale e compagnia bella. Il reato è previsto dal CP italiano e in base a queste leggi va affrontato. Facile limitarsi a scomuniche e cazzatelle varie. Combattere sulla carta non serve a nulla se poi s’insabbia.Tra l’altro, se si arriva alla scomunica, vuol dire che il fatto è stato confessato. nasconderlo mi sa un po’ di favoreggiamento. Il cittadino ha diritto che le autorità ecclesiastiche non ostacolino la giustizia. ce la fai ad arrivarci o no?

Sandra

“centocinquanta condanne penali in dieci anni sono qualcosa!”

Beh, certo che se poi le condanne penali sono più d’una per prete.. Come nel caso di don Roberto Mornati: a una condanna per molestie la Curia fece seguire un trasferimento,, da cui segue un’altra condanna penale. Il problema è che poi la Chiesa li può far sparire, il terzo mondo è il posto ideale. Perché questo papa tanto riformatore non ha ancora pensato di istituire una fedina penale interna, vietando tassativamente il contatto dei preti con i bambini? E avvisando le comunità? La pedofilia può essere considerata una malattia, ma è l’omertà e la negligenza a costituire il vero crimine.

RobertoV

150 condanne penali in 10 anni non sono niente, sono solo la punta dell’iceberg. La chiesa cattolica è ben contenta di limitare i danni e che non se parli troppo per evitare di scoprire tutto ciò che è nascosto e tutti i favoritismi concessi.
Se si fosse degnato di leggere qualcosa sul fenomeno pedofilia e sui vari scandali nel mondo e sui vari processi anzichè difendere i preti pedofili avrebbe scoperto che la pedofilia presenta un alto numero di casi sommersi e che il grosso problema è l’emersione di questi casi e che nel caso della chiesa cattolica questo fenomeno è reso ancora più evidente da tutta una serie di problematiche che le vittime devono affrontare. In Italia siamo ancora molto indietro nella lotta alla pedofilia, abbiamo ancora strumenti giuridici scadenti ed i favoritismi per la chiesa cattolica sono evidenti: non si è voluto neanche parlare seriamente del fenomeno, ma si è cercato di minimizzarlo, sono state date informazioni molto limitate sugli altri scandali, oscurati quelli in Germania ed Austria, in Svizzera ed Olanda, sono state sempre riportate le tesi minimaliste della chiesa cattolica. Tutto questo le ha permesso di limitare i danni qui in Italia, dove guarda caso finiscono alcuni dei preti sottratti alla giustizia in altre nazioni.
E magari leggere come stanno andando diversi processi in atto le farebbe vedere che nulla è cambiato, solo la facciata.

Marco Tullio

Beato Lei, Roberto V, che sa anche ciò che è nascosto … Ma, scusi, se Le sono noti tanti casi di pedofilia non rivelati alle Autorità dello Stato competenti né all’opinione pubblica … perché non li denuncia? Io – che non sono affatto un difensore dei preti pedofili, ed anzi esulto quando so che pagano il fio delle loro porcherie – gliene sarò immensamente grato.

gmd85

@Marco Tullio

Guarda che puoi sempre chiedere le fonti a RobertoV, sai.

bruno gualerzi

@ A proposito di morale…e per chi è disposto – nonostante il caldo – a sorbirsi un pistolotto ‘filosofico’ 🙂

Devo fare una precisazione in merito ad un termine cui ricorro a proposito di morale. Definendola un principio ‘astratto’ uso questo aggettivo non in contrapposizione a ‘concreto’ come si trattasse di una contrapposizione tra irreale e reale: il principio astratto di cui parlo è qualcosa di molto reale e di molto concreto, come reale e concreta è una esigenza in quanto tale. Anzi, da un certo punto di vista, è quanto di più concreto si possa immaginare dal momento che è ciò che ‘obbliga’ a dare un contenuto a questa esigenza, mancando la quale mancherebbe anche la necessità di ricorrere a norme di comportamento precise e circostanziate. Quali che siano.
Ora, l’ equivoco – più che comprensibile senza questa precisazione (o anche ‘nonostante’ questa precisazione… ma si fa quel che si può 🙂 ) – quale può essere, provocato da cosa? Dal ritenete questa esigenza – dal momento che sembra averne tutti i caratteri – come qualcosa di innato, una sorta di idea platonica definita una volta per tutte, per cui si agisce moralmente solo se la si rispetta, se ci si adegua a ciò che indica. Come, per esempio, debbono essere vissuti da un cristiano i dieci comandamenti o altri precetti, impliciti o espliciti, presenti nel racconto biblico: per interpretabili che siano (ma per un cattolico l’interpretazione ‘giusta’ la fornisce poi la chiesa), si tratta di principi indiscutibili, immodificabili, come tuto ciò che proviene dalla divinità, cioè da una dimensione trascendente come trascendente è il mondo delle idee platonico. Quando invece si parla di esigenza intendo qualcosa di ‘richiesto’ da una condizione umana che comporta per gli individui, per sopravvivere, il soddisfacimento di determinati bisogni, molto concreti, e ‘richiesti’ di volta in volta… quindi sempre modificabili, sempre culturalmente storicizzabili… dall’evoluzione.
E di che esigenza si tratta quando si parla di morale? Discorso complesso, che però si può sempre ricondurre a qualcosa di molto elementare (che non vuol dire banale, ma essenziale): ‘bene’ è ciò che si persegue, si desidera, si vuole ritenendo che, ottenendolo, si ‘viva meglio’; ‘male’ è ciò che si vuole evitare perché ostacola questa esigenza. La sopravvivenza dell’individuo necessaria alla prosecuzione della specie, questo esige.
Credo che a questo punto sia evidente…senza bisogno qui di insistere più di tanto perché la questione è stata posta e discussa nei vari interventi in merito ai problemi posti dal diritto, dalle leggi, dai criteri da seguire per elaborarli ecc…
come le norme che dovrebbero regolare i comportamenti individuali e collettivi non possono che essere elaborate… per usare la terminologia kantiana… ‘autonomamente’ (cioè dagli uomini in base alle proprie esigenze identificate di volta in volta) e non ‘eteronomamente’ (cioè provenienti ‘da fuori’, e delle quali l’uomo può solo prendere atto).
In realtà, di fatto, le norme sono poi sempre elaborate ‘autonomamente’, nel senso che anche quelle cosiddette ‘eteronome’ vanno interpretate.. e la storia insegna che finiscono spesso per esprimere solo la volontà di chi detiene il potere, materiale o ‘spirituale’ che sia… ma questo è un altro discorso.

Giorgio Pozzo

Bruno,

consiglio questo interessantissimo libro

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bruno gualerzi

Ulteriore precisazione. Morale ‘eteronoma’, nel senso di proveniente ‘da fuori’, non è da intendere come determinata dal contatto con la realtà che ci circonda, dall’esperienza che facciamo del mondo esterno e dai riflessi che provoca in noi (ciò costituisce ‘materiale’ per scelte autonome), ma da una dimensione che non è accessibile alla nostra esperienza diretta, che la trascende… come per i dieci comandamenti che dio fa conoscere agli uomini tramite Mosè, o come per i precetti contenuti nel Corano, testo sacro dettato, letteralmente, a Maometto da Allah.
Ma morale eteronoma può anche intendersi – anche se qui il discorso si complica – come accettazione passiva di comportamenti e di giudizi che, per così dire dire, vanno per la maggiore nell’ambiente in cui si vive (sono ‘di moda’) senza alcuna riflessione personale sugli stessi.

ALESSIO DI MICHELE

Oltre al fatto che quando un prete, pur condannato, viene trasferito ad altra diocesi è perché non sta in galera, altrimenti al massimo potrebbe essere trasferito da Regina Coeli a san Vittore (così rimane in ambiente di Chiesa), e forse, vista la legge che vige in galera verso i pedofili, sarebbe direttamente trasferito a san Vittorino (cimitero romano minore), io proporrei di levare la potestà parentale ai genitori che vanno a confidarsi col vescovo del sedere rotto dei propri figli, anziché col Procuratore della Repubblica, ed un premio a quelli che prima estorcono soldi per le vie brevi in cambio della promessa di silenzio, e poi comunque li vanno a denunciare (vorrei augurare altre soluzioni, ma dopo commetto reato apologetico). Che ne pensate ?

Diocleziano

Bisogna tener conto che l’altra metà della mela marcia sono proprio i genitori delle vittime, non mi meraviglierei se risultasse che quando, tardivamente, si decidono a denunciare, è perché la cosa è trapelata e devono salvare la faccia con il vicinato. Nei servizi delle IENE che raccomandavo a Marco Tullio, si vedevano genitori furibondi, non con il prete-pedofilo, ma contro le iene! Sembrava addirittura che per alcune madri, le attenzioni del pedofilo, fossero segno di considerazione.

Marco Tullio

Una volta tanto sono d’accordo con Diocleziano: ciò che afferma giustifica in pieno la prassi seguita dai Vescovi italiani di denunciare soltanto quando vi sia il pieno accordo in tal senso della famiglia (in pratica la certezza che non ciurleranno nel manico davanti al Giudice, vedi ciò che ho scritto altrove). L’unico modo per superare la sciagurata situazione descritta da Diocleziano è che la legge FACCIA OBBLIGO al Vescovo di denunciare. Obbligo che non dovrebbe essere disatteso, in forza delle disposizioni di Ratzinger che impongono di conformarsi, nei vari luoghi, ai dettami della legge statale. Se poi qualcuno disobbedisse sia al Papa, sia allo Stato … ben vengano le condanne!

Diocleziano

Marco Tullio, mi dai ragione, ma io non posso dare ragione a te perché non riconosco nelle tue parole ciò che io ho detto.

”… che la legge FACCIA OBBLIGO al Vescovo di denunciare…”
…Forse sarebbe meglio che il papa facesse obbligo, dai vescovi in giù, di non intimorire e minacciare i genitori che vanno a riferire questi fatti. E qui è da stigmatizzare la vergognosa sudditanza psicologica dei parenti verso i preti.

Marco Tullio, ti scongiuro! in deroga al tuo voto di ”non voglio vedere, non voglio sentire” cerca su YouTube qualcosa su quei fatti, e fattene una ragione.

gmd85

@Marco Tullio

E ci sei arrivato ora? Bravo! Ma un o staterello che non ha ratificato la convenzione di Lanzarote come pensi che prenderebbe tale obbligo? Uff…

gmd85

@Marco Tullio

Prima della legge dovrebbe esserci l’obbligo morale, soprattutto per i vescovi. Ma proprio non ci arrivate.

alessandro pendesini

…Secondo me la morale non è un insieme di regole imposte dall’esterno, ma una serie di regole che il singolo individuo dà a sé stesso per distinguere il bene dal male……
@John
Posso ricordarle che l’uomo nasce con un cervello cognitivo vuoto, a riempirlo sono tutti coloro che dalla nascita in poi (ma anche prima!) interagiscono con il soggetto ? Se la morale “non è un insieme di regole imposte dall’esterno”, da dove vengono queste regole se non da quello che abbiamo memorizzato durante la nostra vita sin dall’inizio? Cosi come l’influenza di una cultura razionale ma anche dell’indottrinamento che molti di noi ha subito e/o subisce dalla nascita sino all’adolescenza, che a volte puo andare ben oltre o addirittura irreversibile ?
L’uomo è determinato (o condannato !) a scegliere, ma queste avvengono tramite il sistema d’informazione culturale (razionale o irrazionale che sia) senza del quale il programma genetico rimane “lettera morta” !
La morale, cosi come l’identità biologica, non si trova in nessuna origine, è costruita ad ogni momento della vita dalle interazioni che abbiamo con gli altri : ognuno di noi è il frutto di una costruzione, di un dialogo con gli altri e del contesto ambientale in cui evolve, non di un’espressione predestinata delle nostre origini. In altre parole il fenotipo non può essere previsto a partire dal genotipo, poiché dipende dal contesto in cui l’organismo si sviluppa. Il pensiero, cosi come la morale, non possono essere intesi come delle sostanze secretate, ma piuttosto come il prodotto di un rapporto continuo tra l’individuo e il suo ambiente secondo il principio degli equilibri metastabili.
Se non c’è dubbio che gli animali non umani (privi di autocoscenza) nascono dotati di una conoscenza sostanziale innata (ad esempio sugli alimenti commestibili o predatori dei quali aver paura), l’antropologia strutturale implica di presumere che gli umani, senza tener conto della loro capacità di astrazione strutturale, non sanno nulla alla nascita (escludendo ovviamente gli istinti) e devono imparare tutto quello che è possibile imparare attraverso la loro interazione con il mondo e con i suoi conspecifici. L’uomo senza cultura non impara un grand ché, neanche a parlare….

Gérard

Hochinteressant ! Lese Heute zum erstenmal aus diesem Blog ….
Wer hat es hier weitergeleitet ??? Roberto dem fuenften ???

Marco Tullio

Del caso Wesolowski (per rispondere a Sandra) non mi azzardo a parlare in concreto, non avendo fondate informazioni (Beati voi, che sapete sempre tutto!). In astratto, se fosse vero che il Vaticano lo sottragga alla Giustizia d’un Paese in cui abbia commesso odiosi reati, senza punirlo esso stesso in modo adeguato (infatti il principio di diritto internazionale è “vel tradere, vel punire”: consegnare il reo o punirlo in proprio) darei un giudizio forse più severo di quello che date voi, perché in una cosa del genere vedrei non soltanto un crimine contro l’Umanità, ma anche un vulnus alla Chiesa che amo. Tuttavia mi domando. Che cosa sta facendo lo Stato interessato in proposito? Il procedimento va avanti, sia pure in contumacia? A che punto è? Quali insistenze si fanno nei confronti dello SCV del quale il Wesolowski è cittadino e nel quale – pare – si trova? Come vengono seguiti i procedimenti a suo carico che nel Vaticano stesso – a detta di quelle Autorità – sono aperti? E se – come si scrive – “è stato avvistato” in Roma, come mai non si chiede conto di lui anche alla Repubblica Italiana?

gmd85

Se l‘inchiesta è aperta. il procedimento sta andando avanti. Il buonuscita la chiesa se l‘è già procurato nei casi precedenti. Ti ho già detto che il vaticano non ha ratificato. la convenzione di Lanzarote. Altro vulnus.
Il problema non sono gli altro stati. Sarà che la ami troppo questa chiesa.

Sandra

Non beati, solo curiosi. E basta poco, in questo caso, sta scritto nel rapporto del comitato dell’ONU. Eccoti qualche passaggio sul caso – poi se vuoi raggiungere la beatitudine anche tu, ti vai a cercare l’originale (da questo sito, perché da Tempi o Avvenire ciccia).

Paragrafo “Impunità”
La Polonia ha richiesto l’estradizione. Se autorizzato, si deve perseguire penalmente o procedere all’estradizione. Finora non si sa di alcun procedimento in cui lo Stato abbia perseguito un individuo responsabile di violazione della Convenzione.
Il comitato raccomanda lo svolgimento di indagini accurate sul caso Wesolowski e sulle complicità, e richiede di essere informata sugli sviluppi dell’inchiesta.

Paragrafo “Cooperazione in procedimenti penali e civili”
Il Comitato esprime preoccupazione per i casi in cui lo Stato non fornisce informazioni alla giustizia civile. In particolare nel 2013 il nunzio in Australia ha invocato l’immunità diplomatica nel rifiutare di fornire informazioni alla commissione di inchiesta speciale sui casi di abuso del New Wales.

Non trapelano – ovviamente! – informazioni sul procedimento in casa vaticana, specialmente sulle complicità. Non fosse scappato a Roma, avrebbe forse detto chi era a conoscenza, e chi quindi l’aveva coperto. Purtroppo hanno fatto sparire il testimone chiave. Dormi tranquil beato, che Bergoglio ti ha fregato.

francesco s.

A me cosa sia la morale interessa poco, lascio queste decisioni agli studiosi della mente umana. Ciò che mi interessa è che alla condanna morale segua, anzi sia prevalente la condanna penale di simili crimini contro minori e che i vescovi o qualunque “dirigente” della gerarchia ecclesiastica venga a conoscenza di simili crimini da parte di prelati abbia l’obbligo di segnalarli alla polizia per indagare. E tutti coloro che sostengono questo credenti o non sono miei “amici”. La difesa dei bambini non conosce divisioni religiose-filosofiche.

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