Il cuore degli atei

Il servizio del Tg1 in cui è stato sostenuto, senza contraddittorio o prese di distanza, che gli atei sono “disabili del cuore”, ha mostrato in modo plateale quanto lo stereotipo negativo sia diffuso e condiviso nel mondo clericale, di cui il giornalista autore del pezzo è espressione convinta. Eppure non è difficile dimostrare che gli atei, nei confronti del “prossimo” in difficoltà, non provano minor empatia dei credenti.

Sarà che credenti e non credenti condividono la stessa eredità biologica. Il noto primatologo Frans De Waal ha evidenziato con i suoi studi come tra gli scimpanzé e altri primati vi siano già in nuce empatia e solidarietà come le intendiamo noi umani. E come queste attitudini abbiano un fondamento biologico. I nostri lontani “cugini” di certo non conoscono Dio, Allah o Zeus. Si trovano dunque sempre più conferme dell’idea che già tra gli ominidi e in generale tra i primati vi fosse una forma di moralità preesistente a quella che verrà poi incanalata dalle religioni. Lo stesso De Waal, non credente, già da tempo critica l’approccio monopolista delle confessioni religiose sull’etica, facendo notare come questa nasca prima di esse, e che le religioni siano casomai un mero accessorio culturale per darne espressione, spesso distorcendola.

Tutte le religioni hanno inserito tra i propri precetti la carità: ai fedeli, evidentemente, non viene così naturale, se è stato necessario introdurre un obbligo di natura morale che chiama in causa nientemeno che la divinità. La cosiddetta “carità”, ma è senz’altro più opportuno parlare di solidarietà, negli atei e negli agnostici appare più naturale, spontanea, proprio perché non imposta dalla fede: non ha alcuna motivazione (o ricompensa) ultraterrena. Proprio perché come esseri umani tutti abbiamo la capacità di immedesimarci più profondamente nelle emozioni e nei sentimenti altrui, percependo anche sofferenza, dolore e disagio. I non credenti, da questo punto di vista, appaiono più disinteressati (e persino più “puri di cuore”): non guardano tanto con chi hanno a che fare e non hanno pretese di evangelizzazione, guardano piuttosto ai risultati nella maniera più razionale possibile. La dicotomia tra “ragione” e “sentimento” è un vecchio stereotipo, buono appunto per i romanzi. La capacità empatica è incentivata proprio dal nostro complesso meccanismo cerebrale, frutto dell’evoluzione così aborrita da creazionisti e affini.

Non è un caso che la prima risposta efficace e concreta alla povertà diffusa prodotta nell’Ottocento dal primo e selvaggio capitalismo venne dal socialismo e dall’anarchismo, che misero in piedi una fitta rete di organizzazioni, sindacati, casse di risparmio, scuole per gli operai. La Chiesa si affrettò a condannare queste ideologie laiche e il volontariato cattolico nacque in risposta a loro, fondamentalmente per evitare che il gregge si disperdesse. Ma persino nel fronte economico opposto, quello dei super-ricchi, tra i maggiori filantropi contemporanei troviamo non credenti quali, per fare alcuni esempi, Warren Buffett, Mark Zuckerberg e Bill Gates.

Contro i non credenti però gioca l’immagine deformata accreditata dai media, che va dai programmi di informazione più o meno pilotati dal pensiero clericale fino ai salotti pomeridiani o le fiction che esaltano la fede e dipingono gli atei con stereotipi negativi penosi. I non credenti sono comunemente etichettati come solitari, asociali, cinici, senza sentimenti, angosciati dall’incapacità di credere. I credenti, per contro, vengono rappresentati come uomini e donne che proprio in virtà della loro fede passano il tempo a fare del been al prossimo – e, se non lo fanno, è solo perché sono non credenti camuffati.

Ma la realtà è diversa, e basta andare tra i cittadini e nella società per rendersene conto. Tanto per fare un esempio, in Italia meno della metà delle associazioni di volontariato sono cattoliche, e tra le primi dieci associazioni della classifica del 5 per mille quelle cattoliche sono solo due (e, guarda un po’, quelle specializzate nella compilazione di dichiarazioni dei redditi). Senza contare che tanti non credenti, proprio perché guardano alla sostanza e non alla forma, prestano il loro impegno da volontari in organizzazioni che fanno riferimento alla Chiesa. Che invece mostra un’attenzione sempre maggiore alla forma, e vanta sempre più spesso e sempre più apertamente il proprio impegno.

Il World Value Survey mostra che fedeli e atei convinti sono membri attivi di associazioni caritatevoli o umanitarie pressoché nella stessa misura. Sono semmai gli incerti quelli meno attivi, e lo sono comunque di poco. Lo studio internazionale porta alla luce che i non credenti hanno maggior rispetto verso ragazze madri, immigrati, omosessuali e chi ha altre convinzioni filosofiche, in generale le categorie più bistrattate, ribaltando tutta una serie di dicerie sul mondo incredulo. Il motivo probabilmente risiede nella maggiore facilità ad immedesimarsi negli altri, proprio grazie all’assenza di convinzioni religiose dogmatiche tali da alimentare la differenza tra “Noi” e “Loro”.

Lo confermano le risposte al quesito sulla disponibilità a pagare tasse più alte per aumentare gli aiuti ai paesi poveri: gli atei hanno risposto positivamente in misura lievemente maggiore rispetto ai credenti. Sempre da questa ricerca viene fuori che i non religiosi, e in particolare gli atei convinti, sono più propensi a preferire il “progresso verso una società meno impersonale e più umana” e a dirsi d’accordo che le idee contano più del denaro (alla faccia del “materialismo”), rispetto alla necessità di una economia stabile e alla lotta contro il crimine, opzioni predilette dai fedeli. A riprova, i paesi che più fanno solidarietà internazionale in proporzione al PIL sono Lussemburgo (cattolico, ma anche paradiso fiscale), Svezia, Norvegia e Danimarca e Olanda (dove si registrano tra le percentuali più alte di non credenti nel mondo).

Anche gli atei sono capaci di grandi slanci di solidarietà, facilitati dalle community on line. Come il caso della somma record donata per Medici Senza Frontiere. Particolarmente attive in questo senso sono le associazioni statunitensi, con campagne dove campeggia lo slogan Good Without God e gruppi spontanei che forniscono supporto di vario tipo, per favorire la solidarietà e incrementare il capitale sociale.

Uno studio del sociologo e paleontologo Gregory Scott Paul, che si interrogava sul sostegno del creazionismo biblico da parte di molti ambienti politici e culturali negli Usa, mette in discussione l’abusato argomento secondo cui la società abbia necessità della religione per essere più stabile, ricca, sicura, democratica e coltivare dei valori. Anzi, nelle società più ricche, libere e attente ai bisogni dei più svantaggiati cresce il peso dei non credenti, ormai rilevato da indagini a livello internazionale: una visione su cui convergono molti altri studiosi, come Phil Zuckerman (Society Without God) e Pippa Norris e Ronald Ingelhart (Sacred and Secular). Questi ultimi due hanno rilevato come, dati alla mano, la religiosità prospera laddove maggiore è l’ineguaglianza sociale.

Altre ricerche rilevano che la religiosità incentiva la cooperazione, ma solo tra coloro che fanno parte della stessa fede. E come gli atei non siano affatto meno generosi dei credenti. Viene anche fuori che la stessa compassione e la generosità nell’aiutare estranei non è una prerogativa di chi è religioso. Anzi, un’altra ricerca mette in evidenza come i credenti tendano a essere meno spinti alla carità dall’emozione, e più da fattori quali la dottrina, la comunità di fede o la reputazione quando manifestano generosità. Gli increduli invece sono più mossi da compassione, dall’emozione che si prova quando si vede un altro essere umano che soffre e che ci spinge quindi ad aiutarlo. Di converso, gli effetti negativi del priming religioso sono sempre più oggetto di indagine scientifica.

Come si vede, lo stereotipo negativo si rivela, alla prova dei fatti, alquanto inconsistente. Gli atei sono diversi soltanto nel tradurre in pratica un’identica e spontanea sensibilità. Forse, a far problema, è che questi diverse modalità di agire non rientrano negli schemi di pensiero dei credenti più integralisti, particolarmente accaniti nel demonizzare i non credenti. O forse è molto più semplice delegittimare il prossimo, piuttosto che cercare di argomentare le proprie opinioni. Spesso i religiosi più ferventi contestano ad atei e agnostici di non avere valori perché non credono a nulla. Ma a molti non credenti sembra veramente assurdo, e preoccupante, che per tanti credenti il solo argine alla cattiveria e quello che li spinge a essere buoni siano solo i diktat contenuti in libri “sacri”, spesso vecchi di millenni.

La redazione

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43 commenti

tommaso

Ma il “Peccato Originale” dei non credenti è di occuparsi di chi ha bisogno o ha altri problemi, ESCLUDENDO il tramite pretesco, e questo limita l’ afflusso di denaro alle “note” casse !! Questo, ai non credenti, non viene perdonato !!

marjo

“(…perché non credono a nulla.)” – Non credere a cose che non possono essere vere, inventate o non logiche. E’ per questo che la fede si chiama tale, perché esula dal raziocinio. Ci si abitua a credere perché viene insegnata da piccoli e perché è più facile e semplice. Non per niente il cervello consuma tanto ossigeno; e questo costa fatica.

Beatrice

Visto che secondo Wikipedia l’87,8% degli italiani è cattolico (si sarano basati su dati della chiesa cattolica) e rimangono fuori 100 – 87,8 = 12,20% degli italiani, auspico che questi 12,20% siano almeno coscienti che i giornalisti, un po’ per ignoranza e un po’ per favorire la chiesa cattolica, parlamo male o ignorano gli altri (e ho proprio paura che si tratti soprattutto di ignoranza o mancanza di sensibilità).
Se si protesta da soli non si fa niente, se si protesta insieme (anche quando non sono le “nostre” libertà o è la “nostra” eguaglianza ad essere messa in discussione) non si ottiene niente.
La libertà e l’eguaglianza non sono le nostre, ma sono prima di tutto le libertà e eguaglianza degli altri.
Questo vuole dire che gli atei dovrebbero essere li a protestare insieme agli altri ogni volta che viene ristretta l’equaglianza anche degli ebrei, dei protestanti, e degli altri, tanto per fare capire bene il concetto che è in gioco l’eguaglianza di qualcuno, altrimenti questo “fronte degli altri del 12,20%” non si forma mai.

A parte sarebbe interessante capire come è stato calcolato quell’87,8% su cui ho dei forti dubbi …

Stefano Grassino

Beatrice cara, anche il restante 12,20 o fosse anche il 32,20 per la CCAR siamo sempre pecorelle sue.
Difatti furbescamente ci chiama “pecorelle smarrite” visto che per cercarci e ricondurci all’ovile le spese son tante.
Questo gli permette di chiedere molti più soldi allo stato di quelli per le pecore che sono già dentro l’ovile. 🙂 🙂 🙂

charlymingus

nel lavoro o nello studio sei discriminato, usano metodi subdoli esprsso con creandoti situazioni negative magari non troppo vicine tra loro ma in situazioni inportanti per la tua vita in compenso tra cattolici le spintarelle non si sprecano, Bertolaso è stato solo un esempio di quelli più eclatanti di come è facile per certa gente

claudio285

Asociali, cinici, anemotivi… magari anche attaccati al soldo… mi ricorda un altro stereotipo…

alle

Non so, a me una organizzazione di potere (o un potente, vedi berlu e il partito dell’amore) che parla di cuore fa venir voglia di camminare rasente i muri e pensare “dov’è la fregatura?”.
Il potere “obbliga”, “vince” o cerca di farlo, che c’azzecca con il sentimento che è la cosa più libera che ci sia? Al massimo si serve di una sorta di sentimentalismo piccoloborghese atto a fare breccia in chi non è uso a sottili distinguo. Sentimentalismo che si dilegua come neve al sole non appena spuntano all’orizzonte altri interessi.
Non vorrei ritirare in ballo cose trite e ritrite, ma è una concezione ben aberrante dell’amore quella che porta a costringere povere donne a morire di gravidanza o in galera (vedi post precedente) o che portava qualche secolo fa a bruciare gli eretici per amore della loro anima (sic!).
Ho sempre pensato che la massima ipocrisia della chiesa cattolica consista, in un certo senso, nel predicare il bene/amore ma nell’autorizzare di fatto al male, nel pensare e nel lasciar pensare che con una buona confessione, e con un pentimento anche labile, il male che si compie possa venir cancellato, nel preferire sempre i “peccatori” (ai quali è destinata l’empatia), soprattutto se ricchi, alle “vittime”, il che appare particolarmente chiaro nel caso dei preti pedofili. Cuore e ammore decisamente non abitano lì.
Nel nome dell’amore, e del cuore, sua “sede naturale” del resto, sono sempre stati perpetrati i peggiori misfatti, sia in campo personale che sociale. Essere considerati senza cuore da certuni, in fondo, è quasi un complimento. Non capisco il perché affannarsi invece a dire che il cuore l’abbiamo anche noi atei e che anche noi siamo capaci di amare: in realtà lo siamo di più dei credenti.
I credenti sono solo più bravi nel marketing, molti di loro esibiscono continuamente la loro fede, la loro bontà, il loro amore verso il prossimo, ma a me sembra che lo facciano, forse esclusivamente, per ottenere la ricompensa altrui in termini di interesse e benevolenza. Sarò all’antica, ma le “virtù vere”, all’apparire del palcoscenico, si volatilizzano.

DucaLamberti74

— pausa pranzo con la schisceta (ed il forum UAAR 🙂 prima di riprendere il lavoro. —

Io direi che come soci UAAR NON dibbiamo arrabbiarci e prendercela.
Anzi….dobbiamo portare avanti questo discorso dell’invalidità di cuore.

Così ci facciamo riconoscere una bella pensione di invalidità (se ci manca il Cuore…ci manca qualche cosa di importante 🙂 ) e facciamo come quei super-italioti felici e contenti che NON fanno un emerito cavolo e magnano a sbafo a spese dello stato dopo aver votato un bel politicone italiota del tempo che fu…

NON frignamo quindi ma assecondiamo questo discorso dell’invalidtà del Cuore (si intende cuore in senso di empatia e attenzione verso il prossimo…eddai vediamo di NON essere troppo scientifici altrimenti dio si arrabbia 🙂 ).

Ok vi saluto, pausa pranzo sta finendo e bisogna finire il lavoro.

Prima vi lascio una perla di saggezza (si parla ci Polmoni e NON di Cuore ma è uan reinterpretazione in chiave Ducalmbertesca di uan delle morali del vangelo.

La parola al commissario Maurizio Merli:
————
Vede signor giudice, Gesù dice “se ti danno uno schiaffo progi l’altra guancia”…ma nelle strade, contro questa criminalità organizzata non si parla di schiaffi ma di colpi di pistola.

E se un criminale mi spappola il polmone sinistro con un colpo calibro 20, io cosa dovrei fare, offrire il polmone destro come prossimo bersaglio ?
————

DucaLamberti74

P.S.: Mi raccomando, anche in mia assenza continuate a mugugnare.
E per la simpatia vedo che i vari cattotrollici (in primis i vari GEG alias giuseppe Enrico Giuseppe NON mancano mai di regalarci simpatia 🙂 qui sul forum dell’UAAR)

Agnos XVI

Devo quindi ritenere che la RAI non ha risposto alla lettera del Segretario?
Ritengono di non doversi scusare, ma non ritengono di dover rispondere argomentando la loro correttezza.
Mi sembra enorme spocchia e vera maleducazione.

Diocleziano

Soprattutto professionalità zero.
Tanto per cambiare, oggi nel tg.dio.rai delle 13, sono riusciti a infilarci
in extremis il solito servizietto bavoso su Tanghéro1° che incontrava
una giuliva comitiva di compaesane.

bruno gualerzi

Sicuramente gli studi ‘primatologici’ e bio-antrpologici sono importantissimi… ma la questione della solidarietà implica un coinvolgimento esistenziale sul piano morale che forse merita di essere preso in considerazione anche a questo livello. Che esula come tale dai problemi posti dalle associazioni di volontariato… ma una riflessione sul ‘disinteresse’ che ne dovrebbe essere alla base può essere utile. Comunque io l’ho fatta e la propongo:

“Della morale come disinteresse”.
E’ stato detto, si dice, che il vero comportamento morale è il comportamento disinteressato. Dove ‘disinteressato’ sta per ‘non egoistico’, cioè ‘altruistico’. Quindi, altruismo. Ma cosa significa veramente altruismo? Vedere se stesso nell’altro o vedere l’altro del tutto indipendentemente da questa identificazione?
Nel primo caso viene da obiettare che ci troveremmo pur sempre di fronte ad una forma di egoismo che ci impedirebbe di vedere veramente l’altro per quello che è: vedremmo solo noi stessi in quello specchio in cui l’altro ci consente di specchiarci e, per utile che ciò possa anche essere (e lo può essere, ma come propedeutica all’altruismo, non come atteggiamento altruistico per sé), saranno sempre i bisogni ‘privati’, e l’ansia che l’altro procura rispecchiandoceli e che si vorrebbe eliminare, a prevalere.
Nel secondo caso si presenta, specularmente, il problema difficilmente risolvibile della propria spersonalizzazione, per cui puntare sul disinteresse può diventare solo un tentativo maldestro di non avere a che fare con noi stessi, di esorcizzare la paura di noi stessi fuggendo da sé e proiettandoci nell’altro, rendendoci in modo del tutto distorto, del tutto alienato, disponibili per l’altro… In entrambi i casi sarebbe il tentativo di esorcizzare una paura di sé a guidare l’altruismo.
Poco male se questa paura determinasse comunque il rispetto di sé e dell’altro, ma questo sarebbe possibile solo se questa paura non venisse rimossa, come invece quasi sempre avviene. E così il presunto disinteresse diventa solo un inconsulto, catastrofico autorisarcimento, con conseguente autocompiacimento, da sbattere sulla faccia della vittima del nostro altruismo. Non si intende certo negare, con questo, che la filantropia abbia alleviato nell’immediato qualche pena, ma nel profondo dei beneficiati (beneficiati, ma spesso espropriati di sé), ha forse prodotto più risentimenti che riconoscenza. E non sempre per ingratitudine.
Il disinteresse allora è, più ancora che difficile, impossibile, illusorio? Non necessariamente, se si riesce a mettere bene in luce a quale se stesso si deve togliere interesse e quindi quale se stesso può essere proiettato senza danni nell’altro: solo un se stesso conscio dei propri limiti e ben consapevole della paura che questo comporta, può togliere interesse ad ogni autoaffermazione come superamento di questi limiti, accettare la sofferenza dei limiti e vedere nell’altro non uno strumento per la propria affermazione-gratificazione, ma un vero compagno di ventura-sventura. Solo così il disinteresse può diventare com-passione (il patire/sentire insieme di cui parla Schopenhauer), il vero atteggiamento morale in grado di perseguire lo scopo autentico del sorgere del problema morale: alleviare il dolore provocato dal bisogno. Ovunque e in chiunque si manifesti.

Francesco S.

C’è molto da dire sull’altruismo. Molti studiosi, ricordo anche Dànilo Mainardi (tra l’altro presidente onorario UAAR), famoso per le sue partecipazioni alle trasmissioni di Piero Angela, sostengono che l’altruismo sia una forma ‘evoluta’ di istinto di autoconservazione allargata alla propria specie, tutt’altro che altruismo ma egoismo di specie, tant’è che in natura è rarissimo osservare forme di altruismo extra specie. Anzi l’egoismo sembrerebbe alla base dell’evoluzione dei geni come sostenuto dallo stesso Dawkins.

Su questo dovremmo riflettere noi Homo Sapiens Sapiens (quanto siamo modesti, ce lo mettiamo 2 volte ?! :D) e rivalutare l’egoismo come motore della natura e alla base di quel ‘nobile’ comportamento dell’altruismo.

bruno gualerzi

Assolutamente d’accordo con questa lettura ‘evoluzionistica’ dell’altruismo dovuto a istinto di conservazione proprio di ogni specie vivente, il quale poi si concretizza nell’altruismo verso i componenti del gruppo, ampio o ristretto che sia, nel quale ognuno intende salvaguardare al meglio la propria singola esistenza. Quindi – come tutto ciò che ha a che fare con l’istinto di conservazione – l’altruismo è un forma pur sempre di egoismo…
ma questo non impedisce… in quanto l’evoluzione ha dotato la specie uomo anche dell’istinto razionale… di avere consapevolezza di questa situazione e orientare i nostri comportamenti di conseguenza. Entro questi limiti oggettivi, insuperabili, naturalmente, ma con un margine di autodeterminazione.
Del resto il concetto di ‘egoismo’ – come quello speculare di ‘altruismo’ – è, appunto un concetto, e come tale non applicabile alla natura (non ‘si trova in natura’) la quale ovviamente non sa che farsene di queste nostre elaborazioni mentali, le quali pertanto diventano in questo senso un fatto culturale.
Da qui la possibilità della ‘riflessione su’.

whichgood

Non ci vogliono studi scientifici per dimostrare queste cose, basta il buon senso. 500 milla euro donati dal Papa BXVI ai terremotati dell’Emilia è una conferma ufficiale. Dimostra che la persona cattolica più religiosa al mondo è più taccagna di qualsiasi ateo.

Roberto Grendene

premesso che i parrocchiani si saranno dati da fare come gli altri cittadini per quanto riguarda gli aiuti ai terremotati, a quanto mi risulta il papa donò i 500mila alle diocesi colpite dal terremoto, non direttamente ai terremotati (non è escluso che siano stati utilizzati per ricostruir luoghi di culto o loro pertinenze)

il piccolo centro sociale di cui sono presidente, a circa 100 km dalle zone terremotate, ha donato 1.500 euro ad una scuola (statale) di Crevalcore, unendosi all’iniziativa lanciata dal nostro Comune

Miguel Bonera

L’articolo è estremamente interessante, ma mi sono bloccato quando fra i benefattori dell’umanità, avete citato Bill Gates. Informatevi bene sulle pratiche scorrette operate dal Gates per diventare miliardario, pratiche degne della peggiore mafia. Per questo non posso che pensare che dietro la facciata della beneficenza, ci sia ben altro…

Roberto Grendene

ti scrivo da un sistema GNU/Linux, andai a convegni organizzati dalla FSF, organizzai addirittura una conferenza sul software libero, quindi capirai che non ho enorme simpatia per la Microsoft
da qui a dire che i metodi di Gates sono degni della peggiore mafia ce ne corre
i fatti sono che Gates ha fatto i soldi scrivendo e vendendo sofware e riuscendo a conquistare il mercato, e da ateo qual è fa ingente beneficenza

MetaLocX

Contro i non credenti però gioca l’immagine deformata accreditata dai media, che va dai programmi di informazione più o meno pilotati dal pensiero clericale fino ai salotti pomeridiani o le fiction che esaltano la fede e dipingono gli atei con stereotipi negativi penosi

Ok, ma infondo non cadiamo anche noi in questo stereotipo, contribuendo ad alimentarlo, quando accettiamo i loro alfa-privativi o ci qualifichiamo da un punto di vista che non ci rappresenta come il teismo?
Come linguaggio, al grigio “a-tesimo” non sarebbe meglio un colorato “umanesimo” ?

bruno gualerzi

Personalmente ho già più volte espresso per quali motivi preferisco ‘a-teismo’ purchè inteso in un certo modo… ma, viste le tante opzioni emerse – come ad esempio la tua, molto gettonata – perché non indire una sorta di referendum tra soci e simpatizzanti UAAR?

MetaLocX

@Bruno
Sarebbe interessante vedere in proporzione come la pensano i vari soci, e allo stesso modo sarebbe interessante vedere quale opinione possano avere in merito anche quelle persone che pur condividendo la visione dell’uaar per una ragione o per un’altra la guardano da lontano.
Quello che mi domando è se una associazione che si dice umanista possa attrarre più persone di una che si dice atea o viceversa. La sostanza non cambierebbe, ma il modo con cui ci si presenta può essere altrettanto importante.

@Stefano
Definirsi dei “mangiapreti” rientra in uno spirito di forte contrapposizione e funziona con chi ha forti antipatie nei confronti del clero. Direi che anche il riferimento al non teismo rientra in uno spirito di contrapposizione, seppur meno marcato. Secondo me non tutti amano palesare questo lato e preferiscono affrontare l’argomento con maggiore distacco, da un punto di vista più laico, non saprei come definirlo, forse, meno personale.

Francesco

Papa (ufficiale): Come de plastica! Io ero convintos che el cinturinos fosse in pelles de desaparecidos…
Segretario: Sua Santità!!!

alessandro pendesini

Mi è capitato di leggere su un blog cattolico canadese una citazione firmata Abbé Pierre :
« Non siamo mai felici che nella felicità che diamo. Dare significa ricevere » (On n’est jamais heureux que dans le bonheur qu’on donne. Donner c’est recevoir..)
Alla quale risposi : è il motivo -l’unico- per cui noi (anche se non sempre) diamo……

-L’animale morale è un inganno : fingere di non essere egoisti è parte integrante della natura umana così come l’egoismo.
-Coloro che negano di aver come motivazione fondamentale la ricerca del piacere ,non importa il quale, sono degli ingenui che sarebbero già scomparsi dalla biosfera da lungo tempo se dicessero il vero ! -Ma aggiungo che malgrado cio’, siamo in grado di avere comportamenti di tipo “altruista”, cioé cercare di aiutare, (salvo in caso di disordini o patologie mentali), i nostri simili e non solo; e questo a prescindere delle nostre convinzioni culturali o tradizionali.
P.S. Non è utopico dire che “L’uomo puo’ essere un rimedio per l’uomo”, premesso abbia acquisito una educazione/cultura che lo predisponga ad esserlo…..

Francesco

Dialogo della foto:

– To i sordi e vamme a comprà e sigarette.
– Va bene papà.

stefano

mesi fa un documentario della bbc dedicato ai primati mostrava una femmina di scimpanzè impegnata a difendere il cucciolo dall’attacco di due iene affamate, la poverina non è riuscita a impedire la morte del piccolo e dopo essere rimasta anche lei ferita, è tornata sul posto dove le iene avevano banchettato, e lì è rimasta per giorni senza mangiare ne bere fino quasi a morire di stenti a causa del dolore provato per la perdita del figlio, c’è da chiedersi se gli scimpanzè credono in dio visto che sono capaci di provare sentimenti di carità e altruismo simili ai nostri oppure certi discorsi sugli “atei malati di cuore” sono una massa di str… te? la seconda che ho detto.

bruno gualerzi

Ho riletto con attenzione il testo proposto e sono rimasto un po’ perplesso. Se è stato posto all’attenzione per mostrare come replicare a un modo tanto diffuso quanto imbecille di considerare gli atei, ben venga… ma se doveva servire – come a volte invece sembra – per offrire agli atei stessi delle ‘prove’ in base alle quali non sentirsi da meno dei credenti in fatto di solidarietà verso i nostri simili… non credo se ne sentisse il bisogno. Non credo, in altre parole, che occorrano delle ‘prove’ riportando risultati di studi scientifici o di inchieste varie per essere confermati nella capacità dell’ateismo di rapportarsi agli altri nel modo più autentico in quanto basato su un’umanità non alienata. Sembrerebbe quasi si voglia offrire materiale per mezzo del quale superare una sorta di complesso d’inferiorità.
Non certo nelle intenzioni… ma mi sembrava giusto esprimere – sbagliata o meno che sia – questa impressione

Antonio

Ho avuto anch’io questa impressione… se, ovviamente, è sacrosanto chiedere spazio e voce nella televisione pubblica, che è invece uno strumento di oscena, ossessiva propaganda vaticana, non capisco bene questo cercare “prove”, “giustificazioni” del non essere “disabili del cuore”, personalmente, in generale, non considero minimamente altruismo ciò di cui fa sfoggio la chiesa cattolica, occuparsi delle esigenze puramente materiali del prossimo (quando lo si fa…) mettendo però in atto una perversa, mostruosa strategia di distruzione morale del prossimo, per me non è altruismo; ciò che muove i cattolici è un aberrante desiderio di fagocitamento morale dell’altro, un aberrante desiderio di annichilire la diversità, usando strumentalmente, in modo surrettizio e spregiudicato una condizione di debolezza, fisica e/o morale, dell’altro, io vedo un mostruoso cinismo, una mostruosa aridità, un profondissimo e disumano odio verso l’altro dietro il presunto “altruismo” della chiesa cattolica. Non si può essere autenticamente altruisti se, prima di tutto, non si rispettano profondamente gli altri e la loro diversità. I cattolici si tengano quindi il loro falsissimo “altruismo” e gli atei si tengano il loro, mettersi a confrontare, a fare paragoni non vedo a cosa possa servire, gli atei, se non hanno complessi di inferiorità, lo sanno cosa sono o non sono e i cattolici sono intrisi di ipocrisia e malafede fino al midollo perché qualsiasi discorso possa funzionare con loro.

kundalini444

Non c’è alcun bisogno di dimostrare che gli atei hanno gesti di solidarietà esattamente come li hanno i credenti.
La fede non c’entra nulla con il “cuore” o con la “carità”… semmai è uno strumento per convincere gli ignoranti a comportarsi BENE anche quando non gli verrebbe spontaneo, con la minaccia del castigo… necessaria perchè senza sarebbero più egoisti.

Sergio

Tutti agiscono per interesse, immediato o remoto: è impossibile negarlo. È la cosa più naturale del mondo. Ogni essere tende innanzi tutto alla propria conservazione, sopravvivenza, benessere. Persino l’amore vero è in fondo amore di se stessi – anche se fossimo disposti ad immolarci per la persona amata (questa disposizione – che sarebbe in contrasto con quanto appena detto – si spiega facilmente).
Siamo dunque tutti egoisti, ma essendo anche essere sociali ovvero vivendo in società dobbiamo temperare questo egoismo per necessità. Inoltre facciamo l’esperienza che l’altruismo ovvero la generosità paga, conviene (è un effetto culturale o forse è iscritto nei geni come dice Mainardi).
L’egoismo ha una connotazione negativa, l’altruismo e la generosità invece sono in genere molto apprezzati dalla comunità che cerca con l’educazione di rafforzare questa tendenza in parte innata ad aiutare il proprio prossimo. Un gesto di generosità spontaneo è sempre ben visto, riscuote plauso – e come non potrebbe? Il calcolatore lo consideriamo meschino e infido – difficile poter contare su di lui. Il generoso o altruista invece può servirci, aiutarci nel perseguimento del nostro interesse che è sempre l’obiettivo primario. Nemmeno io amo i calcolatori, i contabili delle proprie azioni e sentimenti: essi non accrescono il mio benessere, le mie chances.
Del resto non è un caso che i gesti clamorosi di altruismo, fino al sacrificio, della propria vita, siano esaltati dalla comunità: segno che non sono comuni, “normali”, ma a noi utilissimi.
In conclusione: perseguiamo tranquillamente i nostri interessi – è la nostra natura – ma temperiamo l’egoismo con l’attenzione al nostro prossimo – oltre tutto questa attenzione può rendere (“respice finem”).

alessandro pendesini

….. « Del resto non è un caso che i gesti clamorosi di altruismo, fino al sacrificio, della propria vita, siano esaltati dalla comunità: segno che non sono comuni, “normali”, ma a noi utilissimi »……

@Sergio :

–La misericordia permette a coloro che ne fanno l’esperienza di trovarsi in una situazione dominante soggettiva, mettendo colui che ne è l’oggetto in una posizione di dipendenza. –Il martire è colui che strumentalizza l’altro per poter programmare la sua autodistruzione.
–Il sacrificio? Un’assurdità ! Ognuno di noi “sceglie” sempre quello che ci gratifica maggiormente, anche se a volte capita che ci sbagliamo….

Sergio

È l’evidenza stessa. Chi soccorre il prossimo soccorre innanzi tutto se stesso (ovvero l’immagine ideale che ha o vorrebbe avere di se stesso). Diffidare di chi si sacrifica per gli altri: si sta esaltando. Compreso Gesù.

Florenskij

@ Sergio. ” Chi si sacrifica per gli altri si sta esaltando”. E’ l’affermazione più adatta alla ricorrenza ( 25 aprile ) e da fare magari dentro il museo della Resistenza di via Tasso, Roma. Oppure a proposito di Giorgio Perlasca: uno che si esaltava inconsciamente rischiando la pelle per salvare gli Ebrei di Budapest. Frase riassuntiva ( non so di chi ): “L’altruista è un egoista col cannocchiale”.

A meno che le entità “io” ( che aiuto ) e “tu” ( che sei aiutato ), con possibilità di risposta vicendevole siano come due cerchi che si sovrappongono in parte o in tutto, rientrando in un cerchio, un’unità superiore che li comprende insieme. Il che formerebbe una figura trina.
Etologicamente: due individui distinti all’interno della stessa specie.
Teologicamente: due fratelli che sono tali perché figli dello stesso padre: la fraternità fondata sulla paternità comune: alias un triangolo, una figura della Trinità.
E’ stato lei a tirar fuori Gesù, secondo cui,a detta di Giovanni, i molti dovevano rientrare nell’Uno.

Sergio

Sapevo benissimo che la mia affermazione non sarebbe piaciuta a qualcuno: l’eroe, il martire sono figure che la società esalta (hanno fatto i suoi interessi, è logico). Comunque io non ho esaltato l’egoismo né vituperato l’altruismo

Il secondo paragrafo non l’ho capito. Lei è una persona come sappiamo molto colta. Ma se parlasse una volta come Gesù, cioè in modo semplice e comprensibile, tipo “il seminatore uscì a seminare ecc.” ? Se la mettiamo sul piano dell’erudizione lei batte qui quasi tutti. Ma il 99% dei nostri simili non ci arriva ai suoi ragionamenti. Se lei in talk show fa questa sparata: “i molti devono rientrare nell’Uno” non pochi scuoteranno la testa (poveretti, non capiscono).
Strano perché è stato anche insegnante e anche un buon insegnante (preparato, impegnato, generoso – faceva gli interessi degli allievi).

Sto sempre aspettando che lei o fra pallino mi dicano da dove sia saltato fuori nel XIII secolo lo straccio di Torino (detto “sacra” sindone) con cui la Chiesa abbindola i fessi. Oggi la tracciabilità dei prodotti è obbligatoria. E non svicoli nell’erudizione. Fra parentesi dovrebbe sapere che di sindoni ce ne sono almeno 14 in circolazione.
Cordialmente.

gmd85

@Flo

Domanda che mi sorge spontanea: come fanno DUE cerchi a creare una figura TRINA? Se si sovrappongo, sempre due sono. Se s’intersecano, l’intersezione è minoritaria rispetto ai cerchi iniziali. E non c’è una sostanza “cerchio” ad accomunarli.

Un fratello e una sorella sono tali nella stessa maniera? O devono essere due sorelle con la madre? Vale lo stesso per i figli adottati?

Flo, davvero, dovresti smetterla d’innestare a forza ciò che piace a te su altri argomenti.

gmd85

Ah, già: non c’è neanche un cerchio primario da cui nascano gli altri due.

Insomma, non è che un concetto già di per se impossibile risulti valido se applicato ad altri ambiti, eh.

spapicchio

(…) rientrando in un cerchio, un’unità superiore che li comprende insieme. Il che formerebbe una figura trina (…)

😀

Ermete

Se siamo disabili del cuore vorrà dire che moriremo tutti d’infarto? 🙂

spapicchio

Gli atei sono “disabili del cuore” di sicuro quando per cuore si intende il core culturale identitario della CCAR, infuso nei cuori dei fedeli più integralisti, fino a farlo diventare una forma di identità personale plasmata dal cattolicesimo e dalle sue tradizioni.

Naturalmente questa immedesimazione è sconsigliata vivamente 😉 non corrispondendo nemmeno all’Evangelo cristiano.

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