Fecondazione: servono esperti, non devoti

Carlo Flamigni

Carlo Flamigni

Recentemente la Corte europea per i diritti dell’uomo (Cedu) di Strasburgo ha bocciato, ancora una volta, la legge 40 del 2004 nella parte che riguarda il divieto di indagini genetiche pre-impianto sull’embrione. Mi è sembrata, al primo impatto, una buona cosa. Dopo la lettura della sentenza mi è venuto qualche dubbio: il riferimento alla nostra legge 194, che rappresenta la base della motivazione, è sostanzialmente scorretto — anche se pragmaticamente impeccabile. La nostra legge infatti non consente, formalmente, l’interruzione di gravidanza nei casi di anomalie genetiche fetali: è sempre chiamato in causa un possibile danno materno. In secondo luogo, ci sarà certamente un ricorso davanti alla Grande Chambre, che notoriamente decide guardando più alla politica che al diritto e che difficilmente si pronuncia contro i governi (e contro il Vaticano in particolare).

La seconda ragione della mia mancanza di entusiasmo sta nel fatto che il problema, in Italia, era già stato risolto dai nostri tribunali. Una sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio (sezione III quater) del 21 gennaio 2008 ha dichiarato illegittime le linee guida del 2004 per violazione del principio di legalità nella parte in cui limitano la diagnosi genetica pre-impianto al tipo “osservazionale”. Il Tar ha sollevato inoltre questione di legittimità costituzionale sull’articolo 14, commi secondo e terzo della legge 40 per violazione degli articoli 3 e 32 della Costituzione. Con decreto ministeriale dell’11 aprile 2008 sono state rese note le nuove linee guida così modificate rispetto alle precedenti: le indagini sull’embrione non sono limitate a quelle osservazionali; l’accesso alle tecniche è esteso alle coppie nelle quali l’uomo è portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili. Un notevole numero di tribunali ha poi dato ragione alle coppie che chiedevano di poter eseguire accertamenti genetici sui loro embrioni e recentemente un tribunale ha consentito l’accesso alle tecniche per una coppia fertile. Le ultime linee guida non hanno reintrodotto il divieto di analisi genetiche e parlano solo di “eugenetica”, parola pericolosa perché secondo l’Oms si riferisce all’operato di governi che impongono specifiche e obbligate scelte procreative ai loro sudditi.

Esiste poi un problema di logica e di buon senso. Una recente indagine relativa all’utilizzazione delle tecniche di diagnostica genetica sugli embrioni prima del loro trasferimento in utero ha rivelato che in 29 Paesi esiste una legislazione specifica, in 17 i comportamenti dei centri sono regolati da linee guida e in 54 i medici non sono tenuti ad osservare né leggi né regolamenti. Nelle 29 nazioni in cui i Parlamenti hanno approvato una legge che regola la procreazione medicalmente assistita, la diagnosi pre-impianto è considerata lecita in 20, vietata in 3 (Germania, Italia, Svizzera) e non presa in considerazione in 6 (tra cui Austria, Ungheria e Canada). 12 delle 17 linee guida ammettono le indagini pre-impianto, le altre non le considerano. Dove non esistono regole, queste ricerche sono spesso considerate lecite e vengono eseguite (34 nazioni su 63).

Meno favori sembra incontrare la ricerca delle aneuploidie (le anomalie del numero dei cromosomi), che nei Paesi che si sono dotati di una legislazione è proibita, oltre che in Italia, Germania e Svizzera, anche in Francia, Norvegia e Grecia. Olanda e Svezia, inoltre, consentono queste indagini solo a fini di ricerca. Complessivamente, negli altri Paesi, solo 11 si avvalgono di questi test genetici, anche se è difficile stabilire la frequenza della loro applicazione. Queste apparenti maggiori perplessità nei confronti dello screening delle aneuploidie è in contrasto con i dati che giungono dagli Stati Uniti, nei quali il 66% delle indicazioni per le indagini pre-impianto riguardano proprio la ricerca delle aneuploidie. Teniamo conto del fatto che Germania e Svizzera hanno trovato un curioso escamotage per lasciare una porta aperta all’indagine genetica sugli embrioni: definiscono “embrione” l’uovo fecondato dopo la scomparsa dei pronuclei (anzi, entrambe le normative parlano di “fusione dei pronuclei”, un evento che riguarda i ricci di mare e non l’homo sapiens): in questo modo si possono eseguire indagini sui due globuli polari, andando a disturbare gli ootidi.

Ho partecipato a qualche “litigio televisivo”, niente di particolarmente interessante, di nuovo, di colto.

Mi è parso di capire che l’imputata preferita non è più l’eugenetica – la gente proprio non capisce come possa essere proibito cercare di avere un figlio esente da una specifica malattia genetica, e sappiamo tutti quanto questo genere di patologia spaventi i genitori – ma che si sia ritornati alla vecchia querelle sull’inizio della vita personale, “l’embrione è uno di noi”, “no, bisogna attendere l’impianto”, “no, decide la madre”… In una di queste discussioni la signora Roccella – evidentemente priva di buoni consiglieri – ha chiamato in causa il “principio di precauzione”, il rifugio (non molto misericordioso) dei bioeticisti inesperti.

Credo che questo sia un punto dirimente, se vogliamo trovare una soluzione mediata al problema delle indagini genetiche: fare incontrare esperti veri e competenti, le persone molto devote dovrebbero restare fuori dalla porta in trepidante attesa.

Le questioni da discutere non sono nemmeno tante: è giusto chiedere ai genetisti di preparare un elenco di malattie genetiche per le quali autorizzare le indagini? E’ opportuno estendere le indagini alla ricerca delle aneuploidie in assenza di difetti genetici dei genitori? C’è tutto il tempo di inserire queste scelte nelle prossime linee guida. Nel frattempo, la gente è confusa e se ne va all’estero a buttar via i propri soldi perché non si fida più di noi.

NB: le opinioni espresse in questa sezione non riflettono necessariamente le posizioni dell’associazione.
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34 commenti

serlver

Probabilmente non userò i termini corretti: ma quanto ci vuole per arrivare a fare l’analisi prima della fusione dei due patrimoni genetici, cioè prima della nascita dell’embrione?

Anche se temo che pure in quel caso i [mente]cattolici troveranno un’argomentazione capziosa per rompere le palle, arrivando ad estendere lo status di persona fino ai gamete (con conseguente di accusa di genocidio in caso di marletta non effettuata dal parroco in persona sull’adolescente).

faber

Ovviamente nulla da eccepire sul fatto che a decidere in merito a questioni così delicate debbano essere degli esperti del settore. La politica, infatti, dovrebbe in questi casi recepire i pareri di chi, inevitabilmente, ha una visione più completa e meno ideologica della questione. Per quanto riguarda lo specifico della diagnosi pre-impianto, continuo a non capire gli elementi che, al netto dell’ideologia del “può decidere solo Dio”, possano rappresentare un ostacolo. Per quale assurdo motivo si deve rinunciare alla possibilità, offerta dalla tecnologia bio-medica, di ridurre il numero di soggetti malati messi al mondo. E’ chiaro che, a mio parere, debbano essere messi dei paletti non rigidi, rigidissimi, riguardo al carattere esclusivamente medico dell’indagine. Per fare una rozza semplificazione, NON deve essere possibile decidere di avere un bambino con gli occhi azzurri piuttosto che neri e altre amenità simili. Ma perché consentire l’impianto di cellule (di questo stiamo parlando, cellule non feti!) che porteranno alla nascita di un individuo malato, con tutto il carico di sofferenze che ne consegue per sè e per i genitori? Il pendio scivoloso dell’eugenetica ideologica deve ovviamente essere impedito attraverso normative che, come dicevo prima, devono necessariamente essere rigidissime. Ma perché rinunciare al carattere preventivo della diagnosi pre-impianto?

Roberto Grendene

Ma perché consentire l’impianto di cellule (di questo stiamo parlando, cellule non feti!) che porteranno alla nascita di un individuo malato, con tutto il carico di sofferenze che ne consegue per sè e per i genitori?

l’impianto senza indagini prenatali è e deve rimanere un diritto
dare il diritto di scegliere è la soluzione civile

Mario

Io non credo che possa definirsi un diritto quello di poter rischiare di nascere mongoloidi a causa di due genitori tocchi.

Tiziana

@Roberto Grendene

In effetti il titolo giusto dell’interessante post di Flamigni poteva anche essere ci vuole buon senso e non fanatismo. Non è solo fanatismo pericoloso quello che avviene da parte di una minoranza nel medio oriente. ogni tanto sembra che qui viviamo nel paese di cuccagna. quel che è successo intorno al referendum cos’altro era se non fondamentalismo?

faber

@Roberto Grendene
Mi sono posto anche io questo problema. In questo caso la questione è che il diritto di scelta sarebbe dei genitori, le conseguenze invece ricadrebbero principalmente sul nascituro. Ora, se la scelta riguardasse il bambino, allora evidentemente sarebbe giusto affidare, nei limiti, ai genitori questa responsabilità. Ma dal momento che la scelta riguarda qualche cellula, non mi sembra possano essere equiparabili su una bilancia gli effetti di una diagnosi pre-impianto (impiantare delle cellule rispetto ad altre) con le conseguenze di una non diagnosi (una persona malata e sofferente).

Roberto Grendene

@ Mario e faber

mi spiace, dissento: nessuno deve imporre scelte ideologiche ai genitori (o addirittura alla donna in stato di gravidanza) riguardo ad iniziare una gravidanza (o portarla avanti)

attribuire presunti diritti a dei progetti di vita come se fossero cittadini è l’arma (spuntata) dei clericali
ci mancherebbe che una coppia che ricorre alla pma fosse costretta a fare indagini preimpianto su i propri embrioni oppure che, il passo è breve, una donna fosse costretta a fare amniocentesi o villocentesi

la soluzione è semplice: libertà di scelta individuale (dove l’individuo è sostanzialmente la donna che deve portare avanti la gravidanza, non certo un “figlio” dato che un bambino è cosa ben diversa da un embrione)

faber

Non a caso non ho parlato di gravidanza! Quella sarebbe una scelta che, coinvolgendo la donna, chiaramente ricade nel campo della libertà individuale. Nel caso del pre-impianto, non cambierebbe nulla rispetto alla situazione attuale. Semplicemente invece di affidare al caso la scelta degli embrioni da impiantare, la si potrebbe affidare a criteri di prevenzione medica (perché di questo si tratta).

Kaworu

quoto al 100% roberto.

e aggiungo che personalmente credo che una donna che scopre al momento del parto o prima che il bambino ha gravi handicap dovrebbe ricevere DALLO STATO (e non tramite la carità pelosa che poi di fatto è elemosina di enti religiosi e bigotti vari ed eventuali) le migliori cure. fino alla fine, se è una cosa non risolvibile che so, chirurgicamente o con altri trattamenti definitivi. possibilmente in modo che la famiglia non possa approfittarsene (perchè purtroppo nel mondo esistono anche “esemplari” di genitori simili).

tutto ciò per quanto io PERSONALMENTE possa ritenere crudele, insensato e folle mettere al mondo figli destinati a morire a breve o a una vita di dolore, chiaramente. io non lo farei mai nella vita perchè mi sentirei un essere spregevole, secondo il mio punto di vista. se però altri hanno altre idee… beh che facciano quel che vogliono e che almeno a questi bambini (che un domani se ci arrivano saranno uomini e donne, e sempre se ci arrivano, non è detto che avranno ancora i genitori a curarli) ricevano le migliori cure. come dovrebbe esser per tutti, vabbè.

Mario

Ma che cavolo dite, Willises.
Mi pare che sia proprio ideologica la scelta di non indagare se ci possano essere problemi.
Si kaworu tu non lo faresti mai, ma gli altri invece possono agire in modo crudele, insensato o folle? Perchè è loro diritto?
Come dire che bisogna guidare bendati per evitare di essere abbagliati dai fanali
di chi ci viene incontro.

faber

@Mario
Io non sarei così categorico. Mi rendo conto che si tratta di una questione molto delicata (Chi deciderebbe i criteri in base ai quali un embrione potrebbe o meno essere impiantato? La fecondazione “naturale” diventerebbe a quel punto subordinata a quelle artificiale? Facendo un ragionamento di questo tipo perchè consentire allora la fecondazione naturale, pregna di rischi rispetto a quella artificiale?).
Però, per quanto mi riguarda, veramente non riesco a comprendere la posizione di chi rifiuta la diagnosi pre-impianto.

Roberto Grendene

@ Mario

tocca alla donna (sia quella che subisce l’impianto che quella che porta avanti una gravidanza) scegliere
ci mancherebbe che toccasse a me, a te, allo Stato o al Vaticano

divieto di indagini preimpianto oppure obbligo di indagini preimpianto sono imposizioni, sono lo stato etico

Mario

Ma uno stato che impone non è per forza uno stato etico, e’ semplicemente uno stato.

Mario

Scusate l’OT, ma non so in che modo rispondere a Batrakos.
A mio parere Popper di scienza non capisce una emerita mazza, dunque non sono disposto tanto a prestare attenzione a qualcuno che straparla. Il suo paradosso democratico è un giochino di parole.
Per quanto riguarda l’oclocrazia, beh, questo è il punto attuale di prtenza, non quello di arrivo… 🙂

Francesco

Fino a quando in Italia si penserà che la donna abbia il “dovere” di diventare madre e non il “diritto”, avremo sempre di questi problemi.

Tiziana

ho detto infatti che è il pensiero di una maggiornza maschile. mi sono capitate donne (stupidissime) che credevano di avere più punti di me nel parlare di bambini e adolescenti perchè sono madri, Mica penso che le donne siano sempre tutte migliori, però constato che molte donne considerano una grande libertà, e non hanno timore a dirlo, nn avere figli.

Kaworu

concordo con voi due, ma personalmente credo che per quelle donne si tratti in un certo senso di “invidia” per non aver avuto l’intelligenza o la possibilità di scegliere.

intendo quelle che criticano chiunque non abbia almeno 2 – 3 figli, e possibilmente faccia la casalinga.

che poi non è che per parlare di qualcosa con cognizione di causa si deve per forza esser dentro quella cosa. non è che un ortopedico dev’essersi rotto il femore per sapere come sistemarlo.

Francesco

Scusate, ma mi sono espresso male, non vorrei si pensasse che ritenga che le donne ricorrano alla procreazione assistita perchè si sentono in dovere di diventare madri, quello che volevo dire è che in Italia persiste la mentalità che la donna una volta incinta o addirittura in casi dove l’embrione debba ancora essere impiantato, debba per forza portare avanti la gravidanza e di conseguenza “dovere” (per questo lo avevo virgolettato) diventare madre.

Roberto Grendene

questo pensiero regressivo è però quasi esclusivamente maschile

temo non sia vero: dove sono le prove?
vedo un sacco di madri allevare figli e figlie secondo canoni maschilisti

francesco s.

In realtà sarebbe meglio che le donne non giudichino le scelte delle altre donne di avere o meno figli. Non c’è una scelta migliore in un verso o nell’altro. Punto.

Tiziana

@Roberto Grendene

Mi spiace non abbia letto tutto quello che ho scritto. Condivido che non giudicare sia meglio, infatti ho sottolineato che spesso sono stata giudicata da altre donne che ritenevano di avere diritto di parola in quanto madri. E’ possibile che mi sia espresza male ma la risposta veloce e giudicante, sebbene non solo maschile, è fastidiosa parecchio.

Roberto Grendene

@ Tiziana

veramente la risposta veloce e giudicante è stata la tua

io mi limito a dire che, in assenza di prove, l’educazione dei figli connotata di maschilismo è colpa dei genitori, senza fare differenze sessiste

Tiziana

@Roberto Grendene

Si parlava di avere figli e non della loro educazione.
Non sarà il suo caso, ma abbassare la spocchia gioverebbe al dibattito, già complesso da sostenere in poche righe

Francesco

Fecondazione: servono esperti, non devoti.

Papa: Non e detten che uno deve essere per forza un pornodiven per fecondaren una donna, anche un devoto se si impegna può riuscirci.
Segretario: Penso che lei abbia frainteso.

Markus

Più che di politica, questione di soldi. In certi paesi la fecondazione assistita è un business, da noi hanno vinto le cliniche svizzere, non il vaticano.

Fiorenzo Nacciariti

Al prof. Flamigni e ai soci dell’UAAR.

“Credo che questo sia un punto dirimente, se vogliamo trovare una soluzione mediata al problema delle indagini genetiche: fare incontrare esperti veri e competenti, le persone molto devote dovrebbero restare fuori dalla porta in trepidante attesa.”

Questa frase chiara nel contesto in cui è inserita, nondimeno nella sua parte finale in cui si statuisce un principio di inclusione ed esclusione mi lascia perplesso in quanto potrebbe essere il frutto di una mentalità meno illuminata di quanto possa sembrare a prima vista.

Bertrand Russell scrisse che in una cattiva democrazia ogni cittadino dice all’altro “tu non sei più di me”, mentre in una buona democrazia ogni cittadino dice all’altro “io non sono meno di te”. Vista la natura dell’autore, le due affermazioni “ogni cittadino dice all’altro tu non sei più di me” e “ogni cittadino dice all’altro io non sono meno di te” contengono più logica matematica di quanto possa apparire a prima vista.

Inoltre si racconta che gli antichi romani usassero dire “Gli ignoranti stiano zitti, oppure imparino.” Poi arrivarono i Cattolici Apostolici Romani e sembra (o si evidenzia dai fatti) che cominciarono a dire “Gli ignoranti stiano zitti (punto)”.

Certo gli esperti sono in grado di illuminare i “molto devoti” su una serie di conoscenze ben strutturate e complete (per quanto possibile allo stato dell’arte) nonché su alcuni risvolti contro-intuitivi, ma chi dice che i “molto devoti” assistendo alla discussione non possano imparare e poi intervenire su quanto li riguarda direttamente con maggior competenza di quanta altrimenti potrebbero avere essendo tenuti fuori dalla porta, e magari aggiungere il frutto delle loro proprie considerazioni a quanto altrimenti presuntuosamente calato dall’alto dagli “illuminati direttamente da dio”?

Siamo sicuri che l’affermazione: “le persone molto devote dovrebbero restare fuori dalla porta in trepidante attesa” non nasconda una mentalità di tipo “tu non sei più di me” e “Gli ignoranti stiano zitti (punto)”.

Dove, penso di interpretare correttamente, “molto devoti” è sinonimo di “ignoranti” e non riguarda cose religiose.

Si tratta di un problema di democrazia del sapere il quale sembra non interessare o perfino irritare i sedicenti “illuminati direttamente da dio”; anche questa espressione, qui, non riguarda la religione.

Dovrebbe però riguardare i soci dell’Uaar e gli umanisti che si ispirano alla Dichiarazione di Amsterdam 2002 e che in base alla stessa (e al secondo comma dell’Art. 3 della nostra Costituzione) dovrebbero aspirare al massimo sviluppo possibile di ogni essere umano.

Soci che dovrebbero organizzare dibattiti molto democratici invece che, come mi par di poter sospettare nel caso dell’incontro con il prof. Flamigni tenutosi ieri a Osimo, facendo ricorso alla “scaletta” e alle “comari di disturbo”; non sia mai che qualche persona “molto devota” tenti di intervenire.

Questo è un metodo (“scaletta”: si fa un dibattito in cui in realtà si stabilisce a priori chi deve intervenire dal pubblico pur facendo apparire la cosa spontanea. Uso delle “comari di disturbo”: persone pronte a intervenire a “ribaltare il tavolo” o a sviare l’attenzione su altro nel caso che le cose minaccino di andare storte) che hanno sempre usato quasi tutti i partiti nei loro dibattiti pubblici e anche altre organizzazioni (per esempio ricordo in particolare alcuni omini intervenuti dopo il mio intervento critico del vescovo Luigi Negri al rettorato di Ancona in un dibattito organizzato dall’associazione Oriente Occidente nel 2006. Oppure l’intervento di un “sacrestano” dopo il mio intervento sulle responsabilità del papa nell’incoraggiare certi fenomeni neo-nazifascisti (e.g.: caso del ricevimento in Vaticano di un cantante nazirock e caso dell’apologia di un vescovo nazifascista croato) nel dibattito sull’equiparazione tra repubblichini e partigiani svoltosi alla Sala degli Archi di Rimini lo scorso autunno, organizzata da ANPI e PD).

Avendo girato un pochino nel corso degli anni ed avendo assistito a parecchie iniziative dell’Uaar in giro per l’Italia, posso dire che l’Uaar si è sempre tenuta alla larga da tali metodi nella misura in cui è riuscita ha rispettare il suo dettato statutario di apartiticità (che non vuol dire certo rifiuto di collaborazione con i partiti politici che dimostrino interesse ai temi di interesse dell’UAAR).

Circoli e delegazioni che non riuscissero a rispettare tale dettato andrebbero, a mio modesto avviso e nell’interesse generale dell’UAAR, chiusi in attesa di bonifica.

Se l’UAAR cominciasse a venire identificata come associazione d’area di questo o quel partito ne ricaverebbe certamente vantaggi e svantaggi. Ognuno vedrà, farà le sue valutazioni e poi deciderà. Io insisto per il pieno e cristallino rispetto della norma statutaria sull’apartiticità dell’UAAR.

Un’Uaar che organizza “dibattiti” con “scalette” e “comari”, non mi interessa.

Un’Uaar che innalza un clero scientifico al di sopra degli atei “molto devoti” invece di porre il problema della democrazia del sapere e invece di operare (per quanto possibile) per la sua effettiva implementazione, non mi interessa.

Sono sicuro di non avere padreterni e non voglio padreterni imposti, neanche e meno che mai dall’UAAR.

Onore a chi con tanto impegno (o anche con grande facilità) si è conquistata tanta competenza, ma nessun riconoscimento del diritto di chiudere, chiunque sia, “fuori dalla porta in trepidante attesa”.

Abbiamo conosciuto questa arrogante pretesa da parte di tanti regimi, religiosi e non, del passato e del presente. Lottiamo per liberarcene.

Roberto Grendene

e, aggiungo, il paradosso di avere invece degli incompetenti molto devoti che legiferano al posto di competenti aventi anche convinzioni filosofiche e religiose diverse?

Titti

Mi spiego affinchè non confondi la mia battuta ironica con un complimento: non basta che queste mamme (diventate tali prima dell’avvento dell’amniocentesi) abbiano cresciuto con amore figli diversi, ma non per questo incapaci di reagire all’affetto e all’indifferenza dei propri cari e delle istituzioni, devono subìre anche le umiliazioni di emeriti sconosciuti…ci sono genitori così tocchi da aver messo al mondo figli splendidi, a cui non mancava nulla, che si sputtanato i pochi neuroni che hanno impasticcandosi e bruciandosi il fegato, quindi che proponi? L’aborto coattivo? Io sono la prima a dire che è un sacrosanto diritto di una coppia decidere di avere un figlio sano, con tutti i mezzi a disposizione, compresa la diagnosi preimpianto, ma non veniamocene con le cazzate che i disabili sono un peso per la società: questo Paese si può permettere una masnada di parassiti, può anche aiutare con le strutture adeguate questi genitori che non sono di serie B rispetto agli altri, anzi deve! Perchè se consideriamo un peso questa categoria, ce ne saranno altre: pensiamo ai nostri anziani, pensiamo a chi ha subito un incidente sul lavoro ecc. ecc.

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