Ortega e la Rivoluzione perduta

Stefano Marullo*
Fotina Marullo 2

Le rivoluzioni passano. Al potere ci si abitua. Daniel Saavedra Ortega, rieletto il 6 novembre scorso presidente del Nicaragua per il terzo mandato, sembra avere imparato bene la lezione da Fidel Castro e da Hugo Chàvez (suo principale sponsor politico ed economico che nel 2010 ha versato a Managua 559 milioni di dollari!), tutta gente che si è arricchita professando la rivoluzione. Pinochet, Videla, Stroessner non ci sono mai piaciuti, ma almeno avevano il pregio della chiarezza: dittatori lo erano, ma non avevano l’ipocrisia di chiedere referendum e tutele costituzionali per eliminare i propri avversari e certo non lo facevano “in nome dei diseredati”.
La parabola di Ortega parte da quella Rivoluzione Sandinista del 19 luglio 1979 in Nicaragua, di cui fu uno dei protagonisti, e che rappresentò qualcosa di inedito nella storia delle rivoluzioni latino-americane. Fu l’originalissimo incontro tra un moto popolare di ispirazione socialista e democratica (e non castrista) e il primo vero laboratorio politico della teologia della liberazione. Il Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale porterà, tra gli altri, al governo Ernesto Cardenal, monaco trappista, ministro della Cultura e Miguel D’Escoto, sacerdote, come ministro degli Esteri. La Conferenza Episcopale Nicaraguense, dopo un primo timido appoggio al Governo Rivoluzionario, pressata dalla Santa Sede, attraverso il potente Celam (Conferenza Episcopale Latino-Americana) guidato da mons. López Trujillo, nemico giurato della teologia della liberazione (e per questo premiato con il cardinalato), intima ben presto a sacerdoti e religiosi di abbandonare qualsiasi incarico di governo, richiesta respinta dai destinatari. In questo clima il FSNL il 10 ottobre 1980 emana un documento nel quale i sandinisti riconoscono che i cristiani sono parte integrante della Rivoluzione e ribadendo il rispetto per ogni fede. La Chiesa Cattolica nicaraguense risponde con toni da crociata accusando il FSNL di ateismo e totalitarismo, mentre le chiese minori, battiste e luterane continuano a sostenere la Rivoluzione. Il Nicaragua è ormai un caso internazionale. A Roma il pontefice Giovanni Paolo II, il 29 giugno 1982, pubblica una lettera per appellarsi all’unità della Chiesa e denuncia l’esistenza di una Chiesa Popolare parallela a quella ufficiale, mentre in varie zone del Nicaragua comincia la controffensiva controrivoluzionaria fomentata dagli Stati Uniti (che già aveva sostenuto il dittatore Somoza. Finanche il presidente “progressista” democratico Carter garantirà la fuga di Somoza e dei suoi comandanti a Miami imbarcati su aerei con i contrassegni della Croce Rossa!). La visita di Wojtyla in Centramerica con la sosta in Nicaragua (marzo 1983) si rivela drammatica. Il ministro-sacerdote Ernesto Cardenal all’aeroporto si toglie il suo berretto nero e si inginocchia davanti al papa il quale punta il dito contro di lui in segno di ammonimento. Cardenal cerca di baciargli la mano; il papa la ritira. Alle folle parla di “obbedienza ai vescovi” senza affrontare minimamente i problemi concreti che il paese sta vivendo. Proprio mentre la Rivoluzione comincia a dare i suoi primi frutti nella lotta all’analfabetismo, la nazionalizzazione delle imprese e la confisca delle terre dei Somoza consegnate ai contadini, l’amministrazione del repubblicano Ronald Reagan appoggia i paramilitari Contras che dalle basi statunitensi dell’Honduras cominciano a penetrare in territorio nicaraguense (nel 1983 Washington venderà una cospicua partita di armi all’Iran girando il ricavato proprio ai Contras). Nonostante la guerra civile alle libere elezioni del 1984 i nicaraguensi rinnovano la fiducia nella Rivoluzione e riconferma proprio Daniel Ortega, già leader dei sandinisti. Ma la popolazione è allo stremo, le azioni terroristiche dei Contras contro obiettivi civili stanno logorando il Paese mentre Reagan annuncia un embargo contro il Nicaragua e chiede al Congresso (con la benedizione dell’arcivescovo di Managua card. Obando) un nuovo finanziamento di 100 milioni di dollari da destinare ai Contras. Il paese logorato materialmente e spiritualmente va alle elezioni nel febbraio del 1990 e contro tutte le previsioni Ortega e i sandinisti vengono sconfitti. Viene eletta l’ex sandinista Violeta Chamorro, esponente di una forza moderata appoggiata dagli USA e dalle camaleontiche gerarchie cattoliche. In seguito la stessa Chamorro viene espulsa dal suo partito perché accusata di concedere troppo ai sandinisti, che continuano a controllare esercito e magistratura e nel 1995 è costretta alle dimissioni. Dopo 16 anni di opposizione a governi di stampo liberale il Fronte Sandinista riconquista il potere nel 2006 e riconferma Daniel Ortega come suo presidente. Ma Ortega e molti ex guerriglieri sono cambiati. E molto. Sono divenuti imprenditori milionari. E poi il presidente comincia ad avere una gestione autoritaria del suo potere e molti esponenti storici del Fronte cominciano a lasciare il partito. Inoltre Ortega in perfetto stile gattopardesco cuce alleanze con i vecchi somozisti e la Chiesa (“zelig”) del cardinal Obando. Nessuna meraviglia che alle ultime elezioni del 6 novembre 2011 abbia stravinto. Nonostante una poco lusinghiera fedina penale, che lo vedono accusato anche di pedofilia nei confronti della figlia. Nonostante le accuse di brogli fatte dagli osservatori dell’Unione Europea e dall’Organizzazione degli Stati Americani. Ortega piace alla Chiesa Cattolica e non a caso il card. Miguel Obando ha inviato con un pubblico appello ai fedeli perché votassero il candidato “antiabortista”. Il Nicaragua, infatti, grazie ad Ortega. ha una delle legge antiabortiste più repressive al mondo; le donne che scelgono l’interruzione della gravidanza e i medici che le assistono vengono puniti con il carcere. L’aborto terapeutico è vietato anche nei casi di rischio di morte della madre. Ma i nodi da sciogliere per l’ex guerrigliero non riguardano solo i diritti civili; dopo Haiti, il Nicaragua è uno dei paesi più poveri dell’America Latina e la sua popolazione è alla fame anche per “merito” di Ortega e dei suoi sodali. Sembra di rivedere la carriera di Luis Inacio Lula da Silva, ex presidente brasiliano, partito coi contadini e finito con le multinazionali, e che pure ha dato una svolta laica al paese. In fondo non è un mistero che i modelli politici di costoro sono sempre stati i leader mediorientali come Gheddafi (che Ortega chiamava “fratello”), Ahmadinejad, Assad, ai quali più che l’ideologia li lega l’attaccamento al potere.
Il progressismo in America Latina ha bisogno di nuovi modelli, di meno caudillismo e di discontinuità rispetto allo status quo (oligarchie di potere, Chiesa Cattolica inclusa). L’esperienza dei coniugi Kirchner in Argentina, può essere, persino in salsa peronista, una prospettiva per la sinistra democratica non massimalista. Cristina Fernandez de Kirchner in Argentina, da poco rieletta, insieme al marito in pochi anni ha fatto uscire il suo paese dalla crisi economica più grave del dopoguerra. La Kirchner è il tipo di leader che le rivoluzioni le “fa” davvero senza proclami e che la popolarità se l’è conquistata sul campo. Anche per l’impegno nel welfare (i fondi pensionistici) e nei diritti civili che può oggi assimilare l’Argentina ad un qualunque paese scandinavo, si vedano i provvedimenti che contrastano una piaga sociale come il machismo molto diffusa nel continente: le donne hanno sussidi che permettono loro di potere accudire i figli fino al 18° anno di età. Ed ancora la legalizzazione dell’interruzione della gravidanza e il matrimonio omosessuale. E, naturalmente, Cristina Kirchner non piace alla Chiesa Cattolica, che preferiva i generali golpisti che hanno portato il paese al tracollo finanziario, oltre che umanitario (non a caso oggi le Madri di Plaza de Mayo sono le fan più accese di “Cristina”).
Quanto a (l’ex) comandante Ortega e il Nicaragua che su di lui ha disgraziatamente scommesso, bene ha scritto Ernesto Cardenal: “E’ molto male aver perso una rivoluzione, ma molto peggio è una falsa rivoluzione. E peggio ancora che una rivoluzione falsa arrivi dal governo”.

* Laureato in Storia, ha compiuti studi di filosofia e teologia. È membro dell’Attivo del Circolo UAAR di Padova.

NB: le opinioni espresse in questa sezione non riflettono necessariamente le posizioni dell’associazione.
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17 commenti

Batrakos

Il bel lavoro di Marullo lascia aperto l’eterno scenario: è possibile una rivoluzione vincente che sappia da subito mantenere un assetto pienamente democratico?
La storia sembra dirci di no, perchè la costruzione della società rivoluzionaria, se troppo tollerante, permette al nemico di scardinarla dall’interno…il caso Allende con Pinochet è un esempio (sarebbe bastato che Salvador arrestasse Pinochet ai primi sospetti…non sarebbe stato facile per la CIA trovare un altro ‘condor’ in tempi brevi), la Rivoluzione Francese che costruì la democrazia con la ghigliottina ne è un altro inverso.
D’altra parte, se una rivoluzione non raggiunge in tempi decenti un equilibrio democratico è destinata ad involvere, e il problema di Cuba non è tanto l’arricchimento privato di un leader ( di cui più di tanto non mi interessa essendo io visceralmente contrario alla retorica dell’ ‘anticasta’ che come dicevo ieri è la scusa per imporre lacrime e sangue ai ceti meno abbienti in cambio di qualche privilegio in meno della casta stessa) quanto la mancanza di una classe dirigente preparata per il dopo Fidel: ecco un altro problema del leaderismo.
Concordo peraltro su tutta la valutazione del sandinismo e del ruolo di supporto alla CIA che oggettivamente ebbe la figura di Woytjla davanti ad una società che con gli spettri del comunismo est europeo nulla aveva a che fare, nonostante il Polacco facesse finta di non capirlo.

Lorenzo Galoppini

“…essendo io visceralmente contrario alla retorica dell’ ‘anticasta’ che come dicevo ieri è la scusa per imporre lacrime e sangue ai ceti meno abbienti in cambio di qualche privilegio in meno della casta stessa…”

Questa proprio non l’ho capita, nemmeno un po’.

iging

Bel riassunto Stefano. L’hai scritto davvero bene.
Per quanto riguarda l’Argentina e la famiglia Kirchner, visto che metà della mia famiglia vive lì e sono quindi esposto a ciò che accade in quel paese, vorrei fare alcuni commenti:
1) è verissimo che la laicità trova nella coppia Kirchner due difensori. Direi che sotto molti aspetti l’Argentina è + avanti dell’Italia. L’unica cosa che manca è un meccanismo legale che permetta azioni giudiziarie contro la CCAR argentina, la quale è stata direttamente responsabile e complice delle torture perpetrate durante la dittatura.
2) Cristina Kirchner (rimasta sola dopo la morte di Néstor) fa una politica chavista, ovvero ha chiuso le frontiere all’esportazione di capitali e promuovo l’autarchia. I dati statistici quali l’inflazione sono manipolati e non veri. È un regime semilibero tra la dittatura e la democrazia.
3) I giornali contrari al regime subiscono molestie continue da parte del regime (vedi ad esempio il quotidiano Clarín).
4) La corruzione in Argentina rimane un fenomeno endemico e Cristina ha anche lei le mani in pasta.

Morale, bisogna fare attenzione a lodare questo o quello, mentre credo che lo scetticismo circa i politici in generale sia un obbligo.

Durante l’università ero affascinato dalla rivoluzione sandinista, ma ero anche preoccupato delle incarcerazioni facili dei loro oppositori politici.

stefano marullo

@ batrakos

Ai tuoi dubbi forse potrebbe rispondere un libro piacevolissimo “Cambiare il mondo senza prendere il potere” di John Holloway. Le rivoluzioni non possono essere permanenti ma possono davvero cambiare il corso della storia. Non sono d’accordo che la storia nata dalle rivoluzioni non abbia partorito democrazie mature, vedi la Rivoluzione Americana. Quanto a quella Francese, l’ancien regime era molto peggio della ghigliottina. Ci sono tuttora rivoluzioni che non scardinano le fondamenta democratiche di una società: il modello zapatista delle caracoles per esempio. Il rapporto tra movimentismo e istituzione è un problema enorme. “Critica della ragione dialettica” di Sartre a proposito del “gruppo in fusione” offre suggestioni niente affatto superate sull’argomento.

@ iging

Ce ne fossero in America Latina, paesi semi-liberi come l’Argentina (meglio la Colombia, il Guatemala, Haiti, Cuba?). Che abbia superato una crisi gravissima è indubbio. Se il quotidiano Clarìn pensa che criticare Cristina Kirchner per quanto spende per i vestiti sia fare opposizione, molti auguri. La corruzione è problema planetario. Ma oggi, (lo dico per testimonianze oculari che mi sono arrivate da chi lavora a fianco degli strati più poveri della popolazione) si vedono donne argentine felici. Quanto alla Rivoluzione Sandinista, la Prima (quella vera), credo sia uno dei pochissimi casi in cui i vincitori non giustiziarono alcun prigioniero

Batrakos

Stefano,

non ho detto che non possano nascere democrazie mature, ho solo detto che spesso ci vuole una dose di autoritarismo, concordando che l’ancien regime fu peggio del Terrore, ma ciò nulla toglie a tutto il discorso.
Sulla Rivoluzione Americana non so quanto sia inquadrabile in una rivoluzione vera e propria nel senso di rapporti sociali, problema che tocca tutti i movimenti indipendentisti, quali non furono ovviamente la rivoluzione francese e quella russa.

Lorenzo Galoppini.
Intendo che concentrarsi sul privilegio personale dei politici, cosa deplorevole, spesso offusca l’analisi politica ed economica, e magari un Monti, continuando a tagliare, riceverà consensi dalle fasce medio basse perchè taglia qualche privilegio di casta.
Insomma, pur essendo un discorso etico, quello dell’anticasta mi sembra offuscare un po’ le dinamiche sociali.

Batrakos

Lorenco…dalle classi sociali medio basse, ovviamente voglio dire alle quali continuerà a chiedere sacrifici.

iging

Caro Stefano,
ho vissuto e lavorato in America Latina, ci vado ogni anno a vedere la mia famiglia e la conosco proprio bene.
Cristina e prima ancor più il suo defunto marito, si accaniscono sistematicamentge contro la stampa che fa loro opposizione grazie a leggi fatte da un parlamento che va a gettone (esattamente come in Italia). La corrizione non è uguale dappertutto, t’invito a leggere i rapporti di Transparency Now. Per darti un’idea dell’Argentina: il 20% dei magistrati in civile nella sola provincia di Buenos Aires funzionano a gettone come i Juke Box, ovvero si possono comprare le sentenze, Cristina ed il marito hanno comprato e reso dipendentedall’esecutivo l’organo corrispondente al nostro consiglio superiore della magistratura. Nelle altre province (come ad esempio Tucumán patria dei famosi terroristi Montoneros) la percentuale dei magistrati corruttibile è molto superiore rispetto alla provincia di Buenos Aires.
Per quanto riguarda la politica economica della coppia Kirchner, è un déjà vu: hanno bloccato la convertibilità del peso con il dollaro come fece Menem negli anni 90. Hanno taroccato le statistiche dell’inflazione (che in primis brucia i redditi + bassi, visto che è una tassa). La vera inflazione viaggia a circa il 30% annuale. Non potendo svalutare il peso, I Kirchner hanno dichiarato nei fatti l’autarchia di stampo mussoliniano, mettendo dazi alle importazione, il che chiude il trasferinmento di tecnologie necessario allo sviluppo del paese. L’Argentina non è mail cambiata e si ripete sempre. A questo boom apparente creato chiudendo le frontiere del paese e non permettendo l’esportazione di capitali, seguirà (come è sempre successo dal 19º secolo) una caduta, di cui l’ultima fu quella del famoso corralito.
Dopodiché auguro all’Argentina ogni bene: sono un popolo meraviglioso e per chi non lo sapese, credo che sono i nostri figli, visto che per la metà gli argentini sono di origine italiana.

iging

Mi dimenticavo Stefano: Cristina ed il suo defunto marito sobno ex montoneros, quindi il loro passato non è certo illibato.

iging

@ Stefano ancora: per me un esperimento interessante di libertà e progresso è il Brasile (da Cardoso a Dilma Roussef passando per Lula): cercano di conciliare un minimo di equità sociale con la crescita economica (e questo già prima della scoperta dei giacimenti di petrolio). Per darti un esempio della differenza con l’Argentina: tempo fa Cristina licenziò di malo modo il direttore della banca centrale solamente perché non leccava sufficientemente e non volle mettere a disposizione le riserve d’oro all’esecutivo. Come ben sai, è importante che una banca centrale (come qualunque altro potere) deve essere indipendente dall’esecutivo. Lula (anche lui di sinistra) nominò un un esponente dell’opposizione come governatore della banca centrale del Brasile. L’effetto è stato che in Brasile si può investire, nessuno pensa ad un default del Brasile (l’ultimo fu + di 10 anni fa). Non ci sono fughe di capitali, come succede sempre in Argentina e non c’è bisogno di mettere controllo sui capitali in uscita. Il Brasile ha di fatto un governo social democratico. Dilma (anche lei ex guerrigliera) ha capito che il nemico da battere è la corruzione se vuole che il paese diventi normale. Quindi i modelli da seguire non sono n’e Haiti ne’ la Colombia ne’ il Guatemala, ma probabilmente il Brasile, seppur con tutte le contraddizioni (ma al mondo non esiste la perfezione, come non esiste un dio).

luigi

Le religioni sono il peggior cancro della società! W L’ATEISMO!

stefano marullo

@ Batrakos

>non ho detto che non possano nascere democrazie mature, ho solo detto che spesso ci vuole >una dose di autoritarismo

una democrazia autoritaria non è vera democrazia. Io mi accontenterei di una democrazia autorevole. Il vizio nel tuo ragionamento è che pensi che, in fondo, la democrazia è un sistema deboluccio.

Batrakos

No, non credo che la democrazia sia in sè deboluccia, ma come tutte le applicazioni politiche ha momenti storici in cui può essere una grande potenza ed altri un po’ meno (si tratta di essere materialisti quando si guarda la realtà).
E un periodo di scontri frontali fisici tra gruppi contrapposti non è il terreno più adatto perchè la democrazia funzioni.
Tanto è vero è che la democrazia si è sempre sviluppata nei periodi post rivoluzionari, non durante le rivoluzioni stesse (e tanto è vero che nella stessa Italia democratica e repubblicana, scritta già si badi bene in periodo di pace, la Costituzione vieta transitoriamente, cioè di fatto fintanto che esso non sia divenuto un fenomeno storico lontano, l’organizzazione di un Partito fascista, ponendo cioè comunque un paletto) e per questo ho detto che una rivoluzione che non riesce ad assumere in tempi ragionevoli una dimensione democratica è destinata ad involvere se non a fallire.

stefano marullo

@ iging

Condivido molte con se di quello che dici. Il confronto però tra Brasile e Argentina, mi sembra impari. Il Brasile si è liberata dalla dittatura dalla metà degli anni 60 e ha vissuto in democrazia (sia pur con una disparità sociale enorme), l’Argentina fino alla guerra delle Falklands ha vissuto una delle più tremende dittature dell’America Latina, era un paese in macerie, ricostruire non è facile. I Kirchner sono la perfetta sintesi tra i progressi di Alfonsin nel campo dei diritti (che però faceva acqua nella finanza) e Menem (che era perfettamente il contrario). Il paradosso è che da Lula che veniva dalla sinistra (aveva anche Frei Betto teologo della liberazione tra i suoi consulenti nel primo governo) ha finito per fare cose “di destra”, mentre i “peronisti” Kirchner hanno finito per fare cose “di sinistra”. Sui diritti civili in Argentina non si torna indietro, ma anche in economia si sono viste cose inedite: il primo paese che ha dato le fabbriche in gestione agli operai (manco Castro per intenderci)

stefano marullo

scusate i molti errori ma mentre scrivo sto parlando su skype

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