Scienza: ultime dallo spazio

Materia oscura – E’ un’enorme ragnatela invisibile che si estende per circa 270 milioni di anni luce e che, se potesse essere vista ad occhio nudo, occuperebbe una parte di cielo grande quanto la luna piena: è la più grande struttura fatta di materia oscura mai scoperta, descritta sulla rivista Astronomy and Astrophysics da un gruppo di ricerca canadese e francese coordinato dall’Istituto di astrofisica di Parigi.

“Il risultato è senza precedenti, una pietra miliare per l’astronomia”, osserva uno degli autori dello studio, Ludovic Van Waerbeke, dell’università della British Columbia. Si tratta infatti di una conoscenza cruciale per comprendere la storia e il destino dell’universo, misurare tutte le sue componenti, sia la materia oscura che occupa il 20% del cosmo, sia quella visibile che occupa il 5% del cosmo.

Grazie alla fotocamera digitale più grande del mondo di cui é dotato il telescopio Canada-France-Hawaii Telescope (Cfht) sul monte Mauna Kea nelle Hawaii, i ricercatori hanno analizzato migliaia di immagini per individuare gli effetti gravitazionali della materia oscura sulla materia visibile, chiamati effetti della “lente gravitazionale debole”.

La luce che arriva sulla Terra da galassie lontane, mentre viaggia nello spazio, spiegano gli esperti, è deviata dalla materia oscura che, lasciando la sua impronta sulla luce delle galassie, si rivela attraverso la sua forza di gravità. L’elaborazione delle informazioni raccolte ha permesso di ricostruire la distribuzione della materia oscura in una porzione di universo larga 270 milioni di anni luce, ovvero 2.000 volte la Via Lattea, svelando una struttura filamentosa simile a un’immensa ragnatela e confermando così la recente teoria della “cosmic web”, secondo cui tutta la materia dell’universo, visibile e oscura, è distribuita in modo da formare un’enorme ragnatela.

Fonte: Ansa.it

Acqua su Marte? – Molte delle formazioni che si osservano su Marte sono state modellate dall’acqua: lo annuncia su Nature un gruppo di ricerca americano e olandese del Virginia Tech Institute e dell’università di Utrecht, secondo cui i coni dalle pareti a terrazze e i delta marziani simili alle foci dei nostri fiumi sono il risultato dell’azione di grandi masse d’acqua paragonabili al Mississippi, fuoriuscite velocemente dalle viscere del pianeta.

Gli scienziati hanno ricostruito il paesaggio marziano in laboratorio utilizzando sabbia e acqua e lo hanno confrontato con quello di Marte visibile nelle immagini inviate dalla sonda americana Mars Global Surveyor. “In base al nostro modello, grandi bacini di acqua idrotermale sotterranei avrebbero premuto sotto la crosta superficiale di Marte rompendola e fuoriuscendo”, ha spiegato Erin Kraal del Virginia Tech.

“Il flusso d’acqua – ha proseguito – si sarebbe poi depositato nei laghi che, una volta asciugati, sarebbero diventati i conoidi che oggi osserviamo”. I gradini, secondo la ricerca, sarebbero il risultato dei sedimenti che l’acqua avrebbe eroso dai letti dei fiumi e depositato nei laghi, mentre gli imbuti che spuntano sulla circonferenza dei conoidi marziani, sarebbero ciò che resta delle foci a forma di delta dei canali. “In base ai nostri esperimenti – hanno concluso i ricercatori – per lasciare le formazioni che oggi osserviamo sul pianeta rosso, l’acqua avrebbe agito per non più di dieci anni”.

Fonte: Ansa.it 

12 commenti

Bruno Gualerzi

Senza entrare nel merito di queste nuove scoperte che non sono in grado di valutare nella loro portata scientifica, mi fa riflettere il titolo con cui viene proposta la notizia: ‘Scienza: ultime dallo spazio”.
Non nel senso di una possibile facile ironia sul ‘lancio’ della notizia – che potrebbe essere lo stesso con cui si annuncia che la tale squadra ha acquistato il tale giocatore o che il tale politico ha deciso con chi apparentarsi – ma proprio in riferimento all’uso, più proprio di quanto si possa pensare in termini di ‘lancio’, dell’aggettivo ‘ultimo’.
In questo senso: esisterà mai un ‘ultimo’ veramente definitivo, cioè tale che potrebbe anche essere definito come ‘primo’? La scienza ovviamente, e giustamente, non solo non è interessata a questo, ma al contrario ritiene questo ‘traguardo’, qualora lo si volesse raggiungere, l’ostacolo maggiore alla ricerca, un limite in grado di circoscrivere l’orizzonte della conoscenza che invece deve essere sempre aperto…
Ma, ha o non ha diritto di essere ascoltata – e propro in termini di conoscenza – questa esigenza di sentire prima di morire la notizia definitivamente ‘ultima’? Oppure, la vera ‘ultima notizia’ che ci spetta di conoscere sarà quella che non sentiremo mai perché saranno gli altri a darla per noi, cioè quella, appunto, della nostra morte?
(Può sembrare una riflessione melanconica, decadente, e forse lo è… ma per quanto mi riguarda è una sorta di riflesso di difesa, o meglio di ‘rivincita’, nei confronti di dimensioni di cui non farò mai l’esperienza. Che insomma può aiutare a ‘sopportare’ queste notizie)

zorn

Wa bella come ricerca… in pratica è stato come individuare una grossa ragnatela in una stanza fiocamente illuminata 🙂

neoalfa

@zorn

Con la sola differenza che in una stanza sai che le ragnatele sono attaccate al soffitto e alle pareti e quindi facilmente individuabili. Nello spazio non hai un riferimento di “appiglio” e di conseguenza la ricerca risulta un filino più complessa

Stefano Bottoni

@ Bruno Gualerzi

Ovviamente la scienza per sua definizione si trova in continuo “work in progress”, quindi non esisterà mai “l’ultima” scoperta, nel senso di definitiva.
Mi sembra evidente che in questo contesto la parola “ultima” si riferisca esclusivamente al senso cronologico del termine, così come sui giornali ci sono le rubriche “ultime dall’Italia”, “ultime dal mondo”, etc…

Bruno Gualerzi

X Stefano Bottoni
D’accordo sul compito della scienza (lo sostengo anch’io), e d’accordo sul significato dell’uso più che legittimo della parola ‘ultime’ in questo contesto… ma la mia era solo una riflessione del tutto personale (non pensavo nemmeno che gli amici moderatori la pubblicassero) dovuta al tipo di reazione che provocano in me queste notizie. Volevo solo provare a mettere a disposizione, per quel che può servire, una sensazione che potrebbe anche diventare un punto di vista.

Luigi N.

Sono d’accordo con Stefano Bottoni sul significato della parola “ultima” in questo contesto:” la più recente”, non “la fine di una serie”.

Facciamo per esempio un confronto con la lingua inglese, la differenza tra “last” e “latest”:
L’ultima cena – “The last supper”
Le ultime notizie – “The latest news”

Guastardo III di puglia

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Si tratta infatti di una conoscenza cruciale per comprendere la storia e il destino dell’universo, misurare tutte le sue componenti, sia la materia oscura che occupa il 20% del cosmo, sia quella visibile che occupa il 5% del cosmo.
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MI CHIEDO:
COME FANNO A DIRE CHE QUESTA “COSA” OCCUPI UNA DATA % DEL COSMO SE MANCO SI SA QUANTO SI ESTENDA IL COSMO STESSO?

Stefano Bottoni

@ Bruno e Luigi

Meno male, sono riuscito ad esprimere correttamente il mio pensiero. Comunque, Bruno, il tuo primo intervento è certo degno di una profonda riflessione. Melanconico forse, decadente certo no (almeno non nel senso comunemente negativo cui viene associata questa parola).
Non è sempre un male non fare esperienza diretta delle esperienze cosmologiche: se per assurdo potessimo trovarci nelle prossimità di un buco nero, la nostra esperienza diretta, a causa dell'”effetto marea”, terminerebbe fin troppo presto. Preferisco il galileiano “esperimento mentale” all’essere stirato di qualche centinaio di chilometri in un attimo (destino che attenderebbe chiunque avesse il coraggio di avvicinarsi troppo a un buco nero).
La bellezza della scienza è anche questa: per quanto possiamo riempirci di formule matematiche che descrivono alla perfezione il macro e micro cosmo che ci circonda, possiamo solo immaginare certe cose che sfuggono alla nostra esperienza diretta (per quanto reali e matematicamente dimostrate). La relatività generale e la quantistica relativistica sono, fino a prova contraria, leggi di natura. Ma niente quanto loro stimola l’immaginazione. Io trovo che questa sia una cosa fantastica.

Lorenzo G.

“Ovviamente la scienza per sua definizione si trova in continuo “work in progress”, quindi non esisterà mai “l’ultima” scoperta, nel senso di definitiva.”

E meno male! Se ci pensate, sarebbe una prospettiva assolutamente atroce ed inaccettabile, se, in un dato momento storico, la scienza “esaurisse”, per così dire, il suo compito, finisse, cioé, di scoprire tutto quello che c’era da scoprire e dopo non ci fosse altro. Credo che qualunque cosa perderebbe di senso. Se é vero, infatti, che il mondo va avanti grazie alla scienza, la sua fine significherebbe automaticamente che il mondo sarebbe destinato a rimanere per sempre così, sempre uguale, senza possibilità di miglioramento e di cambiamento alcuno, fino alla sua fine. Da non pensarci nemmeno!

Stefano Bottoni

@ Lorenzo G.

Possiamo stare tranquilli: la scienza studia il mondo materiale, e questo cambia continuamente. Ci sarà sempre qualcosa di nuovo da studiare e spiegare. In effetti, ad ogni risposta che la scienza riesce a dare, saltano fuori una decina di nuove domande. Le quali, prima o poi, avranno una risposta. Che produrrà altre domande…
Ma una cosa è ormai storicamente e scientificamente sicura: “Dio” non è un’ipotesi necessaria. Anzi, è solo una complicazione in più. E, per il famoso “rasoio di Occam”, può essere messo tranquillamente da parte.

Stefano Bottoni

@ Guastardo III

Non è che sia così semplice calcolare l’estensione dell’universo. Una delle conferme della teoria della relatività è proprio l’effetto della “Lente gravitazionale”. E’ complicato da spiegare, ma in sintesi la luce, avendo anche una componente corpuscolare oltre che ondulatoria, è sottoposta alla forza gravitazionale. Dunque la luce, passando in prossimità di un’enorme massa (che può essere una gigante rossa, una nana bianca o un buco nero) viene deviata. L’effetto finale, ai nostri occhi, è simile all’immagine che possiamo avere ponendo un filtro prismatico davanti a noi: una moltiplicazione ottica dello stesso oggetto. Solo che se pongo un filtro prismatico davanti a mia moglie, e vedo dieci immagini di mia moglie (ed è quello che in effetti accade) so benissimo che si tratta di un effetto ottico. E’ molto più difficile fare questa distinzione parlando di oggetti distanti centinaia di migliaia di anni-luce. Almeno un effetto ottico del genere è stato dimostrato (ed è una indiretta dimostrazione dell’esistenza di un buco nero).
Lasciamo lavorare gli scienziati. Nessuno di loro afferma di avere in mano la verità assoluta.
Ed è per questo che la scienza progredisce, la religione no…

Valentino Salvatore

Ragazzi, chiaramente intendevo “ultime (fino ad ora)”, nel senso proprio di considerare la scienza come un work in progress…

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