Quei buddisti monaci così miti e così forti

I monaci hanno sempre avuto grande importanza nella storia della Birmania. Una parte di essi svolgeva la funzione di consiglieri e referenti dei governanti nel periodo pre-britannico. Gran parte del «Sangha» (l’organizzazione del monachesimo Theravada, quello diffuso nella regione), ebbe una funzione chiave nella resistenza culturale alla società coloniale. Dopo il colpo di stato del 1962, che portò i militari al potere a Rangoon, i monaci non cessarono mai di moderare, per quanto potevano, gli aspetti più odiosi dell’oppressione politica e hanno conservato una relativa autonomia non direttamente conflittuale con il regime. Nella rivolta dell’88 anche loro parteciparono alle manifestazioni, soprattutto i giovani.
Ora, in piena stagione delle piogge, hanno saputo prendere la testa del dissenso diffuso, trasformarlo in proposta politica largamente unitaria e ridare fiato a un’opposizione colpita da due decenni di persecuzione. La sequenza degli avvenimenti parla chiaro. In agosto, di fronte al rincaro del 500% della benzina, l’associazione degli studenti del 1988 ha scelto la protesta: il 24 di quel mese 500 persone sono scese in piazza. Sono stati arrestati, forse torturati e ancora oggi detenuti. In settembre i monaci si sono mobilitati a Pakokku, a 500 km dalla capitale, e la polizia li ha dispersi con la forza. Il giorno dopo le associazioni dei monaci (la All Burma Monk Alliance Group e altre) hanno chiesto le scuse del governo. Le manifestazioni hanno preso da allora un’ampiezza senza precedenti dal 1988. Nella mobilitazione di questi giorni si può riconoscere una strategia precisa, con tre caratteristiche originali e funzionali a una lotta popolare organizzata.
Primo, i monaci hanno marciato sulle pagode e non verso gli edifici del governo. Non parlano di carovita, né suggeriscono soluzioni di gverno, ma chiedono che il popolo sia ascoltato, in nome dell’amore che è alla base della visione buddista della vita sociale. Con ciò, e con il prestigio di cui le tuniche porpora godono, si sono candidati a sostenere una lunga onda di lotta. Non sarà facile che le repressione possa ripetere il successo terribile del 1988.
Secondo, i monaci hanno marciato verso la casa di Aung San Suu kyi, creando le condizioni della più ampia unità dell’opposizione.
Terzo, hanno marciato anche verso l’ambasciata cinese, dimostrando di avere chiaro dove risiedano la «mano invisibile» e l’economia esterna che sostengono la giunta militare di Yangoon: sanno che senza la mobilitazione della società civile internazionale e l’appoggio delle istituzioni mondiali non sarà possibile sostenere lo scontro.
Il buddismo dimostra così un potenziale di forza inedito per una lotta politica di democrazia avanzata. Perché il buddismo nella regione non è, come molti in occidente hanno creduto, una dottrina di alta meditazione sulla condizione umana e insieme una religione popolare un po’ naif. E’ piuttosto un’attitudine culturale di fronte alla vita comprensibile a chiunque e radicata tra tutti gli strati della società.
In queste ore di scontri, tale visione può fare la differenza con la sconfitta del 1988. Il padre di tutte le giunte birmane, il generale Ne Win autore del golpe del ’62, amava dire che fare un putsch è come prendere una tigre per la coda per poi lottare con lei per sempre. E’ un’immagine che dà la misura di quanto il padrone di oggi, il generale Than Shwe, possa essere consapevole della fragilità del suo potere nonostante la propria forza. Myanmar è un paese dove, secondo l’Onu, il 60% della popolazione impiega il 70% delle proprie entrate in consumi di sopravvivenza. L’economia dal 1988 a oggi è profondamente mutata. Ieri il 45% dell’export erano derrate agricole, oggi le principali voci d’esportazione sono il gas, i carburanti, legname, pietre preziose, droghe. La giunta ha realizzato un paese-lager dove esistono i lavori forzati in massa, da dove fuggono milioni di emigranti, dove si viene arrestati per niente. Il canto dei monaci di oggi ricorda il canto dei loro predecessori del 1945, che incrociano i soldati giapponesi nell’Arpa birmana: potrebbero fermare i carri armati, se una parte dell’esercito si pronuncerà contro la repressione brutale dei dimostranti.

L’articolo di Renato Novelli è apparso sul sito del Manifesto 

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11 commenti

Erto De Alma

i monaci guerrieri : budda = ss : hitler

🙂 si… anche nelle SS c’era chi di hitler se ne infischiava ma attraverso di lui ne traeva guadagno e “soddisfazioni”

Barbara Monea

Beh, la guerra dei monaci si limita a cortei non violenti verso alcuni luoghi. Come Gandhi, hanno sfilato e hanno subito e continuano a subire la violenza della polizia.
Non capisco il tuo commento che li paragona alle SS…

GMF

Questo articolo del manifesto è un esempio di come riscrivere la storia.Per l’autore la stretta collaborazione fra clero buddista e governo birmano semplicemente non è mai esistita.Il fatto che in un paese poverissimo la giunta militare dalla presa del potere abbia drenato risorse economiche ingenti per ingrassare il clero buddista e costruire sempre nuovi centri di culto non conta nulla.Per la cronaca anche il 4 convegno mondiale buddista, svoltosi in birmania nel 2004, è stato totalmente finanziato dal governo, che in un paese in miseria ha pensato bene di usare i pochi quattrini per costruire un nuovissimo centro congressi ad hoc.Anche sulle conversioni forzate al buddismo e le persecuzioni violente contro musulmani e cristani , avvenute con l’attivo sostegno di monaci buddisti,l’articolista ha deciso di sorvolare.Magari raccontando anche questa parte della storia sarebbe emerso un quadro meno idilliaco ma più aderente alla realtà.Ovvero un clero buddista che ha anche subito persecuzioni ma che, per la sua connivenza col potere, ha goduto e gode di privilegi scandalosi.Forse con la crisi economica galoppante una parte consistente del clero buddista ha pensato che magari era ora di sganciarsi dalla giunta militare e prepararsi a cambiare bandiera. E’ vero che a pensar male si fa peccato però di solito ci azzecca.

J.C. Denton

Quoto GMF
e l’andreottiano proverbio è sempre valido.

Barbara Monea

@GMF
C’è un po’ di disinformazione su questa faccenda, questo risvolto non lo sapevo.
E comunque… dopo più di un anno di pubblicazione di notizie per le Ultimissime mi sono resa conto che per avere una vaga idea di cosa è successo realmente devi leggere la notizia riportata da diverse fonti: Corriere o Repubblica (abbastanza moderati), Manifesto e il Giornale. Mediando e sommando tutte le verità celate (il Giornale che tira fuori i segreti di sinistra, il Manifesto quelli di destra), credo che ci si avvicini a quello che dovrebbe essere accaduto.
Purtroppo tutti distorcono la realtà a modo loro, non è uno scherzo quando dicono che siamo molto in basso nella classifica della libertà di stampa.

lugachov

non diventiamo monolitici e dogmatici come i cristiani:

non sempre l’equazione religioso=sbagliato è corretta (quasi sempre sì però 🙂 )

In questo caso i monaci hanoo dato vita ad una protesta non violenta contro un regime militare, con l’approvazione del popolo…

tutta la mia solidarietà ai monaci e, sebbene io non ami NESSUNA religione, penso che il buddhismo abbia parecchio da insegnare al cristianesimo in fatto di tolleranza, non violenza e spiritualità.

Carlo

Purtroppo non e’ facile capire cosa succede in Birmania, le fonti sono davvero poche e abbastanza contraddittorie. Per esempio non e’ neppure chiaro quale sia la percentuale di non-buddisti nel paese. Certo questa junta militare ci tiene a dare un’immagine di se come buddisti devoti e sono certo che molti monaci la assecondino, ma non penso che siano gli stessi monaci che hanno manifestato in questi giorni. Non so se avete notato, ma quasi tutti i monaci che manifestavano erano estremamente giovani, non piu’ di 30 anni; da quanto ho capito esistono diverse associazioni buddiste che vogliono la democrazia. Non esagererei nell’incensare il buddismo in generale, ma i monaci che protestano sono certo coraggiosi (e infatti molti sono finiti in galera, purtroppo).

J.C. Denton

@Barbara Monea
Se, coraggiosamente, sei desiderosa di informazione, non leggere quei fogliacci ma cerca le notizie sui siti di controinformazione. La Repubblica e il Corriere messi assieme non fanno neanche un millesimo della verità. E gli altri giornalacci sono ancora peggio.

GMF

@Barbara Monea

Per la verità a me pare indicativa anche solamente l’intervista ripresa su questo Blog del portavoce del governo birmano in esilio.In Birmania ci sono 600.000 (seicentomila !)monaci , popolazione 51 milioni di abitanti.In italia circa 40.0000 fra preti e suore su 59 milioni di abitanti.Ovvero in questo povero paese agricolo che è la birmania, milioni di contadini si spezzano la schiena per un pugno di riso per dover mantenere non solo se stessi e le loro famiglie ma anche il clero buddista,che non lavora.Mancano i servizi sociali e le infrastrutture ma si continuano a costruire pagode a più non posso.Per verificare questo fatto basta semplicemente leggere quello che riferiscono i turisti in vista nel paese.Se in Italia, paese ricco, ci fossero 700.000 monaci/che mantenuti dallo stato ,sarebbe esagerato parlare di una casta di parassiti?Credo di no.Ecco questo è quello che succede in Birmania.Senza che la nostra stampa libera, dicentro di destra e di sinistra, ne faccia menzione.

GMF

@ J.C. Denton

Non c’è dubbio, su certi argomenti “politicamente scorretti” esiste una omologazione dei mezzi di informazione assolutamente totale.Vale sempre la pena di documentarsi dalle direttamente dalle fonti piuttosto che da questi esegeti non proprio disinteressati.

Alessandro S.

GMF, nei tuoi scritti leggo una tale quantità di bieco livore, accompagnato da una tale mancanza di informazioni documentate, da poter ben scrivere che tanta disinformazione c’è da parte dei media quanta ce n’è da parte tua. Se per te i monaci buddhisti sono dei parassiti, tu che godi dei tuoi bei benefici di occidentale dalla pancia sempre piena, credi che non se renderebbero conto i birmani che, da certe stime, sono ritenuti al 60/70% sotto la soglia di povertà, con valori di denutrizione e mortalità infantile ottocenteschi? La popolazione locale vede nel monachesimo una delle rarissime occasioni di: 1) ottenere un’istruzione decente gratuitamente; 2) godere di una relativa libertà di movimento altrimenti difficile o negata; 3) mantenere i contatti e far circolare informazioni con altri villaggi/città frequentando circoli e persone che i laici sono attivamente dissuasi dal fare con minacce neanche tanto velate (vedasi le leggi contro le cospirazioni o le adunate sediziose); 4) ottenere uno status sociale che calpestare mette in un minimo di imbarazzo anche le autorità. La realtà è che in Birmania molte libertà civiche che in occidente diamo per scontate da cent’anni se le sognano, ma possono usufruirne in una certa misura i monaci buddhisti. Certamente c’è una folta presenza di vecchi monaci privilegiati che non vedono di buon occhio quello che fanno i giovani, che a loro non può portare nessun vantaggio ma al contrario può far mancare quei privilegi che il regime gli concede in cambio della loro connivenza passiva. Ma non c’è nulla più di questo, un tacito accordo tra i governanti e i monaci anziani, che serve ai primi perché il buddhismo ha un tale profondo significato per la popolazione locale da non poter essere né ignorato né soffocato senza provocare una rivolta di enorme portata che il regime non può permettersi; e serve ai secondi perché i vecchi non ambiscono che a pascersi nell’adorazione delle beghine senza fare nessuno sforzo né agitare un tale comodo giaciglio per inutili (ai loro occhi) questioni di principio. Questo è il solito veleno che contamina le menti avvezze al privilegio immeritato. Sulle ragioni che portano il regime birmano a mostrarsi così “generoso” con i religiosi, hai inconsapevolmente sfiorato il vero anche tu. È il regime militare, nelle vesti del governo, che sponsorizza la costruzione di tante pagode, templi e centri di studio e pratica religiosa, piuttosto che la popolazione locale. Questi ultimi sono troppo poveri per farlo, e quando lo fanno costruiscono poveri templi di lamiera e bambù. Ma il regime può e fa costruire imponenti edifici di culto in muratura, riccamente adorni, decorati e riforniti d’ogni suppellettile. Perché lo fanno? Perché, come hai accennato anche tu, queste costruzioni e i riti che i vecchi monaci vi conducono sono la principale attrazione turistica del paese. Il turismo estero è una dei poche voci di bilancio in attivo, e serve per poter convogliare all’esterno un’immagine di una nazione pacifica, spartana, rurale ma “felice” e spensierata, dove la preoccupazione principale delle masse sarebbe quella di fare a gara a partecipare quanto più assiduamente possibile alle funzioni del tempio locale. La rivolta sostenuta dai monaci ha infranto questa menzogna così faticosamente e dispendiosamente costruita negli ultimi decenni. Fallisse, potrebbe seguirne una spietata vendetta dei militari sugl’ingrati monaci. Com’è successo diciannove anni fa, quando in quasi due mesi di proteste e di manifestazioni che vedevano folle armati di panni, cenci, sandali e ciotole contro schiere di soldati armati finirono morte circa 10.000 persone tra le quali 600 monaci. Prima di sparare commenti ignominiosi contro persone e realtà che non conosci e sulle quali manchi la più elementare informazione ed esperienza, anche indiretta, verifica quanto oggi il monachesimo birmano sarebbe complice beato della giunta al potere: http://www.aappb.org/monkreport.pdf, documento in inglese della Assistance Association for Political Prisoners (Burma) (AAPP) dal titolo: “Burma: A Land Where Buddhist Monks Are Disrobed and Detained in Dungeons” (Birmania: una terra dove i monaci buddhisti sono privati dell’abito [monastico] e detenuti nelle segrete). Vomitare il proprio livore personale contro persone e movimenti di cui si ignora praticamente tutto, spinti da motivazioni puramente ideologiche, sa tanto di quell’atteggiamento irrazionale oscurantista “religioso” contro cui ti piace tanto scagliarti.

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