Eutanasia, le parole della Montalcini non sono convincenti

Gentile direttore, qualora ci accorgessimo che un innocente è in carcere, sarebbe lecito chiederci se abbiamo il diritto di dargli la libertà? Non sarebbe giusto parlare di dovere anziché di diritto? Il prigioniero innocente avrebbe diritto alla libertà, noi avremmo il dovere di dargliela. Rita Levi Montalcini (Corriere della Sera 27 novembre), a proposito dell’eutanasia, afferma che “nessuno ha il diritto di sopprimere la vita”. Se una persona è prigioniera della sofferenza e in qualche modo anche della morte, e non c’è altro mezzo se non l’eutanasia per darle la libertà cui avrebbe diritto, non possiamo parlare del nostro diritto di “sopprimere la vita”, ma dobbiamo parlare del suo diritto di morire, e quindi del nostro dovere di aiutarlo a morire. Altro errore è affermare, come fa la Montalcini, che si è favorevoli all’eutanasia “soltanto per la propria persona attraverso un testamento biologico stilato, a norma di legge, in pieno possesso delle proprie facoltà mentali…”. In tal modo si fa una discriminazione: si riconosce il diritto di morire a chi ha avuto o ha la possibilità di esprimere la propria volontà; si nega tale diritto, ad esempio, ad un neonato condannato a morte certa ed in preda a sofferenze atroci. Poiché, in tal caso, il problema è delicato e complesso, si preferisce non assumere responsabilità, e lavarsene le mani.

La lettera di Francesca Ribeiro è stata pubblicata oggi sull’Unità

4 commenti

Claudio

“In tal modo si fa una discriminazione: si riconosce il diritto di morire a chi ha avuto o ha la possibilità di esprimere la propria volontà; si nega tale diritto, ad esempio, ad un neonato condannato a morte certa ed in preda a sofferenze atroci”.

Il problema è che il primo ha espresso la volontà di esercitare quel diritto, il secondo non l’ha espressa affatto.
L’eutanasia infantile contraddice alla base le ragioni fondanti dell’eutanasia per adulti consezienti. La seconda si basa sulla libertà, la prima la nega: il neonato non è libero di crescere e decidere da solo se la sua vita vale o non vale la pena di essere vissuta, perchè qualche “benefattore” si arroga il diritto di deciderlo al posto suo (e glissiamo sulle forti motivazioni economiche spesso alla base di questa “pietà”). Peccando così, specularmente, di quella stessa arroganza impositiva che rimprovera alla religione.

Leo55

Su questi delicati problemi io mi affido unicamente alle aspettative che può darci la scienza.
Oggi sussistono situazioni di sofferenza indicibile che ci trova impotenti ad affrontare scelte che possono dimostrarsi comunque errate perchè dettate dalla disperazione.
Io spero solamente nel progresso scientifico che , come la storia ci ha dimostrato, non si arresterà davanti alle barriere oscurantiste poste dall’ignoranza delle assurde credenze religiose. Un domani non lontano quelli che oggi sono eventi di cupa rassegnazione al dolore e alla morte saranno brillantemente superati dal progresso della medicina.

Leo55

Claudio

Una bella fiducia nelle magnifiche sorti e progressive della scienza, ma permettimi di riproporre la questione e chiedere risposte nette: l’eutanasia infantile è o non è in contrasto con l’eutanasia per adulti consenzienti?

Andrea A

@ Claudio
Un neonato non è libero di decidere in quanto impossibilitato a prendere qualsiasi decisione, impossibilità decisionale che è caratteristica di ogni neonato che per ogni scelta è obbligato ad affidarsi alle decisioni dei suoi genitori e per estensione all’intero mondo degli adulti, inoltre un neonato condannato a MORTE CERTA >”non è libero di crescere e decidere da solo se la sua vita vale o non vale la pena di essere vissuta” in qualsiasi caso, infatti se è condannato a morire in breve tempo perchè la scienza non è in grado di salvarlo, ogni sua ipotetica scelta non comporterebbe comunque il protrarsi della sua vita e la possibilità di crescere;
quanto alle forti motivazioni economiche per tenerlo in vita su cui glissi, è certo che sono le industrie farmaceutiche a trarre benefici da un prolungamento della vita di un malato grave, che una volta morto non potrà più essere “fonte di reddito”.

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