Pavia, dubbi sulla sala del commiato

Una cattedrale nel deserto. Anche se, a giudicare da come la sala del commiato viene utilizzata, sarebbe più corretto parlare di “deserto” nella cattedrale. Perché la struttura all’interno del cimitero, inaugurata pochi mesi fa e costata al Comune di Pavia oltre 3 milioni di euro, in un mese non ha ricevuto alcuna richiesta d’uso. Nonostante siano stati celebrati, da agosto a settembre, 90 funerali e 45 cremazioni. E nonostante, per richiederla, sia sufficiente versare solo dieci euro. Ora c’è chi propone di trovare per l’edificio un utilizzo alternativo. […]

Un giardino delle “rimembranze”. Un luogo specifico all’interno del cimitero in cui poter disperdere le ceneri. E dedicato, quindi, a chi sceglie la cremazione. La proposta arriva dalla Socrem, dopo che la Lombardia, in seguito a un recente congresso a Roma, è stata inserita nel circuito delle regioni (sei in tutta Italia) in cui è possibile disperdere le polveri mortali nei luoghi desiderati. «Questo finora non si poteva fare – spiega Sandro Diani, amministratore della società di cremazione -. L’idea di un giardino o di un luogo da dedicare allo scopo va discussa ovviamente con gli amministratori». E l’occasione potrebbe presentarsi già oggi, quando si incontreranno in Comune i rappresentanti della Socrem e gli amministratori locali. Di certo si affronterà la questione dello scarso utilizzo della sala del commiato. Che, secondo Diani, «va modificata, perché così com’è non funziona». Lo dimostra il numero di richieste da parte delle imprese di pompe funebri e di privati: zero in un mese di attività. […]

Simboli del culto cattolico in un luogo nato per tutti i credenti. E anche per chi fede non ha. Se ne incontrano di diversi, di simboli di questo tipo, nella sala del commiato. A cominciare dalle sedie con la spalliera a forma di croce, che affollano la stanza circolare, posizionate sotto i versetti in greco che ruotano attorno alla struttura cilindrica. I versi ricalcano i passi del Vangelo secondo Matteo che troviamo anche all’ingresso, vergati a mano con gessetto bianco su lavagne nere. Certo, va precisato che c’è la traduzione in diverse lingue. Ma il contenuto è quello delle religioni monoteiste. Nel caso specifico le parole sono quelle della strage degli innocenti pronunciate da Rachele. Un laico si sentirebbe quantomeno a disagio. Alcuni “particolari” simili sono stati ritoccati. Come il simbolo a forma di stella raggiante che si trova sulla sommità della struttura. Inizialmente era una croce, poi sono state aggiunte altre punte. Ma, come in un codice da scoprire, da qualunque angolazione la si guardi resta sempre una croce. Nei sotterranei, dove ci sono gli ossari, la confessione è ancora più esplicita: ad accogliere i visitatori è un pannello di legno su cui c’è un intarsio a forma di croce. In tanti sono convinti che la presenza di questi simboli in un luogo aconfessionale sia fuori luogo. Il cimitero monumentale è nato nell’800 a Pavia come contesto laico. Nelle parti comuni, infatti, non ha simboli religiosi. A pochi passi dalla sala c’è ad esempio un tempio dove compare il mezzo cerchio, che è un simbolo massonico. La simbologia religiosa è stata aggiunta negli anni’ 70.

Estratto da articoli pubblicati ieri su “La Provincia Pavese”

2 commenti

Daniele Gallesio

Se la realizzano così la sala del commiato, lo credo bene che nessuno chiede di utilizzarla!

I credenti hanno a disposizione migliaia di chiese che nella maggior parte dei casi sono architettonicamente e artisticamente bellissime, e comunque affettivamente sono il luogo dove il defunto si riuniva per la messa coi suoi amici e conoscenti, quindi sono comunque emotivamente più “calde” che non un luogo usato *esclusivamente* per l’addio.

Per i non credenti i simboli religiosi a go go sono comunque un orpello di troppo, e quindi plausibilmente le famiglie optano per un estremo saluto in forma privata nell’abitazione del defunto.

Michele Vaccina

Pavia . la Nuova Sala del commiato, cerniera tra le due città, quella dei vivi e quella dei morti
alcune riflessioni.
Dai primi di settembre è a disposizione di chiunque la richieda, la nuova sala del commiato che è parte integrante dei nuovi ingressi da via Donegani al Cimitero Maggiore, con antistante parcheggio lungo la ferrovia.
Ora, che è abbastanza lontano nel tempo il risalto dato alla cerimonia di inaugurazione dell’aprile 2006 alla presenza delle Autorità e dei Rappresentanti delle grandi Religioni, possiamo tentare di dare una chiave di lettura alla realizzazione e cogliere l’occasione per un approfondimento.
Lo scopo dell’opera era ed è chiaro
Se infatti per i cattolici è pacifico trovare nelle loro chiese, belle e spesso monumentali, il luogo per la funzione religiosa di saluto, che segna il trasferimento dalla città dei vivi alla città dei morti, per molti altri soggetti e comunità presenti a Pavia (con impronta religiosa e non) tutto ciò non è altrettanto naturale.
Anch’io ho vissuto l’esperienza di amici non credenti, che sono stati trasferiti dalla “grigia camera ardente” dell’ospedale al cimitero per essere sbrigativamente sotterrati o cremati senza un momento di pausa, senza concedere spazio al ricordo, in una atmosfera di triste disagio, con parenti e conoscenti che si scambiano qualche parola sotto i porticati o nell’atrio del cimitero tra passanti indifferenti e imbarazzati.
Si percepisce da sempre la mancanza di un “rito laico” inteso in senso positivo come momento di aggregazione e di riconoscimento di una comunità che pure esiste intorno al defunto.
Da qui, è nata l’idea condivisa di creare in prossimità del nuovo ingresso del Cimitero e dei nuovi uffici un” luogo” accogliente, una sala al riparo dalle intemperie ,sobria per la scelta dei materiali e degli arredi, non anonima ma neppure eccessivamente caratterizzata , un po’ riservata ma non isolata, nella quale ritrovarsi in queste circostanze dolorose, magari per sedersi un attimo intorno all’amico/parente defunto meditando in silenzio oppure condividendo questo o quel ricordo.
Sin qui nulla di straordinario ; direi anzi un semplice fatto di civiltà, già sperimentato in altre grandi città italiane ed europee .
Di fatto l’attenzione dei progettisti si è concentrata nell’evitare la banalizzazione del luogo per ridurlo a una semplice sala riunioni anonima e muta come tante altre, vuota e insignificante abdicando quindi al ruolo e alle responsabilità di progettisti; e allora naturalmente la pianta della sala in quanto luogo dell’incontro in quest’ottica ha assunto un nuovo significato ha perso ogni forma gerarchica interna per assumere una forma concentrica circolare con le sedute al perimetro perchè deve portare l’attenzione su ciò che ci unisce, che ci fa sentire presenti uno all’altro, ci vuole indurre a guardarci in faccia e riconoscerci nel disperato tentativo di condividere l’esperienza umana.
Pur lasciando evidentemente il giudizio ai cittadini il tema progettuale di creare cioè un“ ….luogo protetto sobrio per tutti , persino “indifferente” a tutte le culture e religioni che ne fruiscono “ è stato affrontato, ci sembra, in modo abbastanza coerente con le radici culturali e le preesistenze architettoniche del nostro territorio, peraltro non tralasciando sottili richiami ad altre culture lontane .
Poi pian piano qualcosa si è modificato nel nostro approccio alla progettazione e la vantata “indifferenza” ci è sembrata superata dal risultato raggiunto nel coniugare diversi richiami architettonici a culture e religioni lontane e vicine (qua e là nascosti nella sala ormai in fase di realizzazione).
L’opera ci è apparsa in un’ottica di nuova dinamicità nel tempo e quindi sotto una nuova angolazione come un “ ….. luogo da vivere nel quale nella stessa giornata si avvicendano una pluralità di uomini diversi ognuno che vorrebbe dire (forse gridare) qualcosa agli altri uomini e vorrebbe essere in ciò ascoltato; abbiamo intuito la presenza di una vera umanità che ha qualcosa da dire e da condividere” ad di là delle stesse ideologie e può farlo solo se non si spreca questa “occasione di dialogo tra uomini vivi “che è la morte stessa, suo malgrado .
Cercavamo un punto di partenza, un elemento” ponte tra gli uomini”.
Ci è sembrato che tale elemento di partenza potesse essere individuato nel Dolore antico, quello di sempre, quello che accompagna nei secoli, il puro e semplice dolore di tutti gli uomini , di tutte le epoche, quello primordiale, il dolore incomprensibile, quello privo di alcun senso , che colpisce al di là di ogni ragionevolezza, quello che lascia senza fiato, muti come nel Grido di Munch perché dolore inutile e arbitrario, quello che ad esempio colpisce i bambini a centinaia ,a migliaia, di tutte le epoche e di tutti i popoli, oppure uno solo, un nostro bimbo,. che poi è la stessa cosa.
Alla fine , d’intesa con i rappresentanti di alcune minoranze presenti a Pavia, abbiamo trovato e trascritto all’interno della Sala sotto la cupola un testo del Profeta Geremia, citato nel Vangelo di Matteo(2,18)
Parlando infatti della strage degli Innocenti decretata da Erode all’inizio della vita di Gesù, l’Evangelista ( forse per dire che il dolore si ripete nella storia umana con stupida indifferenza) richiama una precedente e inutile strage di bambini, vecchia di centinaia d’anni.
“si udì molto pianto e lamento in Rama. Rachele piangeva i figli suoi e non volle essere consolata, perché più non sono”.
Questa è la citazione in greco, leggibile nella sala, tradotta in molte lingue(rumeno, russo, albanese , inglese, cinese, giapponese, scrittura per non vedenti ecc.ecc) e che vorrebbe essere un piccolo stimolo a rivendicare il nostro diritto di scandalizzarci davanti all’assurdità del dolore , un invito a cogliere l’universalità del dolore che non fa differenze e quindi ad aprirsi al dialogo tra uomini diversi per le esperienze e le cultura .
Il dolore quindi inteso come cerniera per unire uomini diversi.
Sarà una sfida possibile?
Puntare proprio su quel Dolore che per molti rischia di essere un punto di arrivo, senza ritorno, un buco nero che uccide l’animo toglie il respiro e rende muti e senza più parole, mentre per altri( i cristiani ad esempio)quello stesso dolore è il” punto di partenza” di un percorso che inevitabilmente ci farà più simili a Dio?
Il dialogo è necessità sia per gli uni che per gli altri
Michele Vaccina

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