Adriano Pessina e il valore laico della «vita»

Ennesimo intervento scatenato dalla revisione delle Linee Guida (Quel valore laico che si chiama “vita”, Famiglia Cristiana n. 33). […] Figlio allo stadio embrionale. Pessina compie delle scelte lessicali che ricalcano le sue credenze, che però non si prende la briga di sostenere o dimostrare. Se, come sembra lecito inferire, Pessina intende sostenere che a partire dal concepimento esiste un figlio in quanto ‘persona’, allora dovrebbe essere meno tollerante rispetto alla legge 40. Perché non difendere quei figli della legge 40 sicuramente destinati alla morte? Dei 3 embrioni prodotti sicuramente alcuni periranno. Se davvero fossero figli, questo sacrificio sarebbe intollerabile. Anticipare la proprietà ‘figlio’ al momento del concepimento somiglia ad anticipare la proprietà ‘morto cerebrale’ in un momento in cui il sistema nervoso centrale ancora funziona. […] La qualità ‘uomo’ non è sufficiente per attribuire diritti. Un uomo in morte cerebrale possiede ancora gli stessi diritti delle persone? No, e proprio per questo è possibile espiantare i suoi organi (Pessina, presumibilmente, ritiene una pratica immorale l’espianto di organi; ci piacerebbe se ci fosse confermato). Ci deve essere qualcosa in più dell’essere umano per rilevare la presenza di una persona e dei suoi diritti. [Scrive Pessina:] “La vita umana è un valore “laico”, cioè un bene che sta alla base di tutti gli altri beni che una politica può e deve promuovere: in questo senso è un vero bene comune, anzi il fondamento di ogni bene comune. Tutto ciò non può essere ignorato da una politica che voglia tutelare il senso della generazione umana”. La vita umana ha un valore intrinseco solo in un contesto di specismo.
Il testo integrale dell’articolo di Chiara Lalli è stato pubblicato sul blog Bioetica

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