Congo, nella clinica delle donne violentate

[…] In quest’enorme e ricchissimo Paese africano, la popolazione vive in uno stato di soggezione, fisica e psicologica, verso i potenti: dai capi tribù, fin su su al presidente della Repubblica. La maggior parte della gente subisce violenze tutti i giorni. I più colpiti sono i bambini e le donne: i primi usati come forza lavoro o soldati, le seconde violentate, picchiate, torturate, schiavizzate. A Goma, nell’estremo est del Congo – al centro di una zona ricca di miniere, contesa da fazioni, milizie e vari signori della guerra, dove i saccheggi nei villaggi sono continui, non esiste nessuna legge e i capi villaggio hanno perso il tradizionale ruolo di protettori dei concittadini – opera un ospedale chirurgico che si occupa di donne stuprate. “Nonostante gli accordi di pace ogni giorno ne arriva qualcuna – spiega Gwendolyn Lusi, una canadese che ha impiantato la struttura nell’aprile 2003 -. Possiamo immaginare che a subire le violenze ce ne siano due, tre volte di più. In due anni abbiamo trattato oltre 5000 donne. In maggioranza si tratta di persone che hanno avuto la famiglia massacrata e la casa distrutta”. Le statistiche sono impressionanti: nel Congo orientale vengono violentate bambine di pochi mesi e donne che hanno superato gli 80 anni. Fino a pochi mesi fa erano due, trecento al giorno: ora sembra, per fortuna, che il loro numero sia sceso, giacché la fase intensa della guerra è passata. Le pazienti ricoverate nell’ospedale del DOCS (Doctors on Call for Service) sono affette da fistola, la rottura della membrana che separa la vagina, la vescica e il retto. La lacerazione si può verificare per problemi di parto ma qui, molto più spesso, è provocata da stupri multipli e continuati e da torture inflitte con baionette, coltelli, bastoni, asce. “Talvolta infilano la canna di una pistola e poi sparano”, racconta Francesca Morandini, Protection Officer dell’Unicef, che mi aiuta a parlare con le pazienti che si vergognano di raccontare le loro storie a uomini sconosciuti. Le donne ricoverate nell’ospedale di Goma rivelano particolari agghiaccianti, difficili da credere. Ma qui, in questo remoto angolo del pianeta convivono in un antagonismo perenne il paradiso terrestre del pianeta – con le sue foreste meravigliose e incontaminate che come sfondo hanno il pennacchio fumante dei vulcani – e l’inferno della dura realtà quotidiana, fatta di massacri feroci, spietati e senza senso. Francine, 24 anni di Shabunda. “Cinque uomini di una banda armata interahmwe (ribelli hutu ruandesi: combattono contro il governo del Ruanda ma sono sbandati in Congo, ndr) sono entrati nella mia capanna, hanno ammazzato mio marito e i miei figli. Mi hanno trascinato nella foresta e, dopo avermi fracassato con le baionette le braccia, mi hanno violentata a ripetizione. Così per nove mesi sono rimasta loro prigioniera nella foresta. Poi sono arrivati dei cercatori di miele. Mi hanno liberata e mi hanno indicato la strada per l’ospedale di Goma, dove sono stata aiutata e operata quattro volte. Non ho più nessuno e quando uscirò di qui non so dove andare”. Linda, 24 anni, di Ufamando. “Ero incinta e stavo lavorando il campo quando sono arrivati i nemici e mi hanno stuprato. Il bimbo ha cercato di nascere ma è morto. Perdevo urina da tutte le parti e in queste condizioni ho raggiunto il mio villaggio. Tutte le case erano state bruciate e la gente, compresa mia madre, uccisa. Mi ha raccolto una cognata che mi ha portato in quest’ospedale. Mio marito si è sposato con un’altra. Ora sono sola. Spero che Dio mi assista”. Bernardine, 20 anni. “Sono stata rapita dagli interahmwe e portata nelle foresta. Mi violentavano in continuazione, senza alcuna pietà. Quando sono rimasta incinta i miei carcerieri hanno deciso di rimuovere il mio bambino prima con le mani, poi con una baionetta. Mi hanno devastata e lasciata in una capanna. Ho sofferto tantissimo. Sono stata salvata dai soldati che hanno attaccato il campo dei ribelli”. Queste sono tre testimonianze, ma nell’ospedale di Goma se ne possono raccogliere a decine. Vedove con cinque o sei figli che sopravvivono vendendo acqua o banane e guadagnando 5 dollari al mese, ragazze ancora giovani, che però hanno un aspetto decrepito, rifiutate e abbandonate dai mariti a causa delle violenze subite, donne cui è stata strappata la dignità, zombie senza alcuna aspettativa di vita che aspettano solo di morire. Persone che hanno visto e subito ogni genere di violenza. Le elezioni forse porteranno la democrazia in Congo, ma nessuno potrà mai ridare a questa umanità disperata e sofferente quello che ha perso per sempre: una vita decente.
Fonte: Corriere.it

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