Opus Dei segreta

Ferruccio Pinotti
Bur
2006
ISBN: 
9788817012256

Se non fosse stato per il Codice da Vinci, l’attività dell’Opus Dei passerebbe largamente inosservata agli occhi dell’opinione pubblica. Non che libri di un certo livello non siano stati stampati anche in passato (cfr. I segreti dell’Opus Dei di Peter Hertel), ma la loro diffusione è sempre stata limitata a un pubblico ristretto. Il libro del giornalista Ferruccio Pinotti, pubblicato dalla BUR, giunge dunque a colmare una lacuna.

Intendiamoci: il testo non contiene nulla di sconvolgente. Chiunque abbia già letto qualche libro sul mondo delle sette (come Figli di un Dio tiranno di Bini-Santovecchi o Le sette di Bernard Fillaire), ne ritroverà tutti i classici topoi. Con questo non intendo certo sostenere che si tratti di luoghi comuni, ma che le caratteristiche salienti dei gruppi settarî sono sostanzialmente sempre le stesse: segretezza, culto della personalità, lavaggio del cervello agli adepti, difficoltà di comprendere gli obbiettivi che vengono perseguiti, struttura estremamente gerarchizzata.

Il libro di Pinotti non fa eccezione. Attraverso le testimonianze di tanti e tante ex, veniamo a conoscenza degli obblighi che fanno capo ai numerarî (i seguaci laici che fanno voto di povertà, castità e obbedienza): sveglia ogni mattina alle sei, doccia gelata, vita individuale gestita dai leader del gruppo, nessuna garanzia economica (l’eventuale stipendio devoluto al gruppo, rendiconto delle spese effettuate, niente ferie, niente contributi pensionistici, niente liquidazione, testamento a favore del gruppo), divieto di assistere a spettacoli o di guardare la tv o di leggere libri senza la preventiva autorizzazione, controllo della posta, frapposizione di ostacoli al mantenimento di rapporti con la famiglia d’origine. In quanto setta cattolica, l’originalità dell’Opus Dei emerge semmai dalle pratiche autopunitive: frustarsi ogni sabato, due ore di cilicio ogni giorno e, per le donne, dormire ogni notte su un tavolo di legno. La divisione sessuale è rigidissima.

Il numerario dell’Opus Dei non gode, in pratica, di alcun diritto. In compenso ha parecchi obblighi. Deve infatti accalappiare il maggior numero possibile di nuovi seguaci e, a tal fine, gli viene addirittura assegnato un budget. Anche il proselitismo, nonostante il tentativo di edulcorarlo chiamandolo “apostolato dell’amicizia”, avviene attraverso forme tipiche: creazione di una falsa convivialità, larga profusione di sorrisi di facciata, captazione che può cominciare già a dodici anni, magari attraverso le scuole private create ad hoc (anche finanziate con denaro pubblico).

La vita del numerario, che già così appare “infernale” (tranne che a un masochista), è ulteriormente aggravata dalla ripetuta rivendicazione di laicità da parte dell’Opera. È notevole il contrasto tra quanto viene affermato, soprattutto prima dell’adesione («Nell’Opus Dei si è liberi di fare ciò che si vuole, così come di andarsene quando si vuole») e la realtà di uno stile di vita regolato come all’interno di un ordine religioso – e di quelli più severi. Il massimo di incongruenza è raggiunto con l’obbligo di rapportarsi a un direttore spirituale non vincolato al segreto della confessione.

Le conseguenze sono quelle immaginabili, e puntualmente ricordate dalle testimonianze raccolte: riduzione della personalità del seguace a un livello infantile (i numerarî sono tenuti a scrivere lettere a Gesù bambino!), continua creazione di sensi di colpa, diffusione di problemi mentali e, quando l’adepto riesce finalmente ad andarsene, persecuzione dall’esterno affinché gli si crei il vuoto intorno.

La segretezza è di prassi, ricercata in modo maniacale: persino la sede mondiale dell’Opus Dei non ha alcuna targa esterna che ne segnali l’esistenza. E, anche in questo caso, tutte le storture denunciate nascono dall’imprinting del fondatore, l’oramai canonizzato Escrivà de Balaguer: misogino, ferocemente anticomunista, autoritario, tanto prepotente da considerare i fedeli come “bidoni della spazzatura”.

Con queste premesse, ci si chiede come l’organizzazione possa essersi diffusa così capillarmente. Le motivazioni possono essere sostanzialmente due. La prima è la “fama” di essere in grado di influenzare pesantemente tutto il mondo che conta: politica, grande impresa, finanza, mass media. I membri dell’Opus Dei sono infatti tenuti a consultarsi con i dirigenti prima di prendere decisioni determinanti. Possiamo dunque condividere le preoccupazioni di Pinotti, quando sofferma l’attenzione del lettore sul «magistrato dell’Opera che deve decidere una causa promossa da un membro dell’Opus contro un giornalista critico» o sul «grande manager pubblico che deve decidere se privilegiare un progetto o un altro». Ma c’è un’altra ragione che, a mio modo di vedere, è ancora più verosimile: l’appartenenza alla Chiesa cattolica. Mentre le altre sette sono autoreferenziali, qui ci troviamo di fronte a un gruppo la cui azione è approvata dalla più grande confessione religiosa del mondo. Coltivando un terreno culturale comune e presentandosi come una Prelatura Personale alle dirette dipendenze del pontefice, l’Opus Dei può lanciarsi alla conquista delle anime del potente serbatoio cattolico.

Le testimonianze raccolte provengono soprattutto da ex numerarie: si sente un po’ la mancanza di un approfondimento sul modus operandi dell’Opera all’interno del mondo dell’alta finanza. Non mancano alcune piccole sviste, come l’incarico istituzionale ricoperto da Paola Binetti, ma nel complesso Opus Dei segreta è un testo denso e completo, che rappresenta una meticolosa presentazione al grande pubblico del pericolo che rappresenta questa organizzazione. L’auspicio sotteso a tutto il testo, ovvero che la Chiesa cattolica ne prenda finalmente le distanze, difficilmente potrà concretizzarsi: in un mondo sempre più secolarizzato il Vaticano, se vuole continuare a essere determinante, ha bisogno di strumenti di intervento di questo tipo. Anche se poco hanno a che fare con i principî evangelici.

Raffaele Carcano
8 gennaio 2007