Machiavelli, filosofo della libertà

Maurizio Viroli
Castelvecchi
2013
ISBN: 
9788876159084


 

La leggenda nera che permea la figura di Niccolò Machiavelli quale quintessenza del cinismo e del tornacontismo politico è destinata a ridimensionarsi assai con la lettura di questo libro con buona pace dei suoi molti detrattori. Machiavelli fu tutt’altro che avido e assetato di potere, visse modestamente rifiutando incarichi importanti e ben retribuiti, era un repubblicano convinto e nemico giurato di ogni tirannia (i Borgia e i Medici lo delusero profondamente e ricambiarono con ugual disprezzo) e amava ripetere “delle fede e della bontà mia ne è testimonio la povertà mia”.

Un altro fraintendimento ricorrente, smontato da Maurizio Viroli in questo interessantissimo volumetto che cade nel 500° anniversario della pubblicazione de Il Principe (con la Divina Commedia uno dei testi italiani più letti al mondo ma anche uno dei più fraintesi, chiosiamo) è che l’opera più famosa dello scrittore fiorentino, che amabilmente conversava con Guicciardini (tra i pochi che gli furono sempre vicino anche negli anni bui del suo esilio), con uomini politici potentissimi, papi e cardinali, sia un trattato di scienza politica mentre in realtà è una infiammata orazione, in perfetto stile rinascimentale e nutrita delle molte letture classiche dell’autore, scritta per risvegliare l’orgoglio di menti e cuori e spingere gli uomini ad agire. Machiavelli fu un realista fantasioso, come scrive efficacemente Viroli. La sua teoria politica era fondata sulla Storia. E la sua concezione della Storia era pessimista e quasi precorre le teorie del Vico. La guerra è per Machiavelli il male supremo ma talvolta necessaria quando è in gioco il destino di un popolo.

Pagine così intense e amare condite di amor patrio (scrisse che la salvezza della patria era più importante di quella della sua anima), contro le ingerenze straniere che umiliavano Firenze e l’Italia (i suoi più grandi amori), per lui, indefesso ammiratore del repubblicano Savonarola, forse si ritrovano solo in certi scritti dei più tardi Alfieri e Leopardi. Senza mezzi termini Machiavelli indica nella Chiesa di Roma una delle cause della disgregazione politica italiana e della sua decadenza; fu caustico contro gli uomini di chiesa e i loro cortigiani e riconoscendo il valore delle religioni antiche, in particolare quella pagana come cemento dei valori dello Stato, aborriva la cristianità corrotta dal cattolicesimo che esalta l’ozio e la debolezza e ha distrutto l’amore per la libertà consegnando i popoli a uomini malvagi.

Questo libro ci stimola a riconsiderare la figura di Machiavelli, che fu certamente figlio del suo tempo e se credeva all’influsso degli astri, della fortuna e della Divinità nelle vicende umane era pronto a scommettere che gli esseri umani hanno sempre un ruolo nel determinare il proprio destino. Ci induce anche a ripensare alla sua laicità politicamente intesa come arte del possibile scevra da sovrastrutture e libera da imperativi precostituiti, ad imparare umilmente dagli antichi se non altro per non ripeterne gli errori e a non pensare alla politica come una scienza esatta all’altare della quale sacrificare uomini e ideali. Il fatto che nel 1559 tutte le opere di Nicolò Machiavelli vengano inserite nell’Indice dei libri proibiti non può che essere un ulteriore titolo di merito postumo per il Nostro, le cui analisi sono ancora oggi lucidissime e necessarie a interpretare il travaglio del nostro, come del suo, tempo.

Stefano Marullo

dicembre 2013