Laicità, grazie a Dio

Stefano Levi Della Torre
Giulio Einaudi Editore
2012
ISBN: 
9788806203740

Stefano Levi Della Torre è già stato autore di libri interessanti, come per esempio Mosaico. Uomo colto, si dichiara «ebreo laico e non credente», e ci informa di aver cominciato a studiare il Talmud per una sorta di conversione non religiosa «a un senso di appartenenza a una storia millenaria». Nell’intento di «cercare di mantenere un atteggiamento laico nei confronti della laicità», sostiene una forma di laicità «che non si ripara dal religioso con un rifiuto preventivo e pregiudiziale, ma cerca piuttosto di decifrarne la logica simbolica, metaforica e antropologica». A suo dire, «se non ripensate, le convinzioni degradano in convenzioni, cambiano inavvertitamente di natura. Così può avvenire anche per le idee più brillanti e profonde: da rivelazioni che aprono nuovi orizzonti e dissipano pregiudizi, diventano fissazioni conservatrici, diventano esse stesse pregiudizio».

E questo rischio lo può correre anche la laicità. All’autore non piace, della religione, «la pretesa di sentenziare soprattutto su cose che non si sanno», e della « mentalità laicistica», «la propensione a limitarsi alle cose che si sanno o che si possono sapere, come se queste fossero, in quanto “visibili”, più rilevanti dell’invisibile». Sembrerebbe un auspicio a un dialogo tra credenti e non credenti, o quantomeno un invito a conoscere meglio gli altri. Il testo trova però grandi difficoltà a tradurre tale esigenza in pratica, in indicazioni concrete: se già è complicato trovare punti di incontro su questioni reali e verificabili, lo è ancor di più se ci si avventura per lidi sconosciuti e inconoscibili. Senza dimenticare che è difficile, molto difficile sostenere che una religione come quella cristiana, nella variante cattolica, si dedichi a sentenziare sulle cose che non si sanno: purtroppo fa esattamente il contrario, scendendo vertiginosamente dai vuoti cieli della teologia per planare e interdire a ripetizione la libertà di scelta degli individui.

E dire che, come riconosce lo stesso Levi Della Torre, «il laico non esclude il credente, né il credente il laico». I credenti potrebbero fare molto per affermare il principio di laicità: ‘peccato’ che non abbiano voce in capitolo. Sono i leader religiosi a non dargliela, a porre diktat, e a pretendere che il mondo politico si adegui. Tanto ne è conscio l’autore, che arriva a scrivere che «la religione è una cosa troppo seria per lasciarla alla mercé dei clericali, di qualunque confessione, religiosa o ideologica che sia. Meglio che anche la laicità se ne occupi, e ascolti i credenti».

A mio parere, ‘laicità’ è anche lasciare che, al loro interno, le confessioni religiose si comportino come meglio credono . Nel rispetto dei diritti umani fondamentali, possono seguire e praticare le dottrine più assurde: non sta allo Stato e ai laici, diversamente credenti o meno, ficcarci il naso. Purché anche le confessioni religiose facciano altrettanto, e non cerchino di imporre le loro dottrine a tutti. Una simile impostazione non preclude né  il confronto, né la collaborazione: lo spazio laico è, per definizione, aperto a chiunque, proprio perché non è connotato in alcun modo.

L’obbiettivo del libro, che potrebbe a prima vista sembrare il medesimo dell’ultima opera di Alain de Botton, trova però ben scarse applicazioni pratiche. Levi Della Torre sostiene che persino dai fondamentalisti si possa imparare qualcosa, e cioè riflettere su quali sono «i nostri fondamenti». Soltanto qui e là balugina però qualche affermazione sui benefici che si possono ottenere dall’ascolto della ragion religiosa.  Si incappa più facilmente in affermazioni sullo stimolo morale che può rappresentare la fede anche per chi non crede, come quando scrive, sulle orme di Leopardi, che «noi laici siamo polemici discendenti della modestia di interpreti dubitanti, piuttosto che di profeti e di sapienti annunciatori di verità». O quando nota che il giusnaturalismo, punto di rottura con il diritto d’origine divina, si ricollegava esplicitamente al Patto con Dio.

Eppure, è lui stesso a sostenere che «la libertà di religione e la libertà di coscienza non sono principi religiosi. Sono principi eminentemente laici, principi che si sono affermati in lotta contro la dottrina ufficiale, cattolica in particolare». La laicità è sorta per porre un limite all’ingerenza pubblica della religione: ne dipende soltanto in quanto reazione, così come l’antifascismo non poteva che nascere in seguito all’avvento del fascismo. L’opinione che «l’idea eminentemente religiosa di immortalità dell’anima» sia «l’antenata dell’idea eminentemente laica di persona» è poi smentita dalla stessa storia del diritto romano, che attraverso l’uso del termine ‘persona’ precisò il concetto di responsabilità individuale. È semmai vero che la religione è un antidoto del provvisorio, il «rifugio dall’indeterminata relatività delle situazioni e delle idee». Ma non si vede perché lo spirito laico debba «imparare» dalla religione «la necessità dell’illusione per la dinamica della vita». Si vive benissimo anche senza illudersi. Anzi, forse si vive anche meglio.

Anche in questo caso l’esempio positivo che può fornire la fede all’incredulo o al laico si riduce alla fine alle solennità religiose, che possono fungere da modello per la ritualità civile. L’aver mancato lo scopo del libro ha tuttavia un risvolto positivo: l’aver lasciato spazio a molte pagine in cui l’autore mette sotto osservazione la religione.  Pagine che si leggono con piacere, anche perché improntate a una sana indignazione civica. Verso le donne e gli uomini che, folgorati «sulla via di Damasco» dai« valori della tradizione e del trasformismo», «risorgono devoti alla gerarchia cattolica». E verso coloro che sottopongono la laicità a discredito: con bella espressione nota che «la si accusa di anticlericalismo ottocentesco, se reagisce alle pretese clericali di anticlericalismo cinquecentesco».

Viviamo in un paese in cui altissimi livelli di corruzione convivono con altissimi livelli di influenza episcopale. Radici cristiane? Levi Della Torre pensa che la Chiesa cattolica «dovrebbe interrogarsi se la sua influenza e i suoi atti non siano corresponsabili di questa deplorevole situazione: o per difetto di comunicazione, o forse per vizio intrinseco al suo messaggio», ma constata anche come preferisca invece «lamentarsi vittima dell’aggressione relativista». Ricorda che lo «spirito critico e irreligioso» è anch’esso «anima dell’Occidente», e ciononostante va diffondendosi «l’idea che la critica, specie la critica alla religione, sia equiparabile alla persecuzione della fede, e sia perciò qualcosa di illecito da reprimere». Non mancano accenti critici anche verso l’atteggiamento multiculturalista, che l’autore definisce «relativismo assoluto»:  «per “noi”, la cultura universale relativistica, una supercultura inclusiva, capace di rispettare e accettare le “loro” culture; per gli “altri”, le rispettive culture particolari, rappresentate ufficialmente da ortodossie per lo più intolleranti ed esclusive, che però incarnano la virtù di essere “differenti”».

A conclusione del volume, Levi Della Torre pone a fondamento della nostra etica la cosiddetta ‘regola d’oro’: «Non fare ad altri ciò che non vuoi sia fatto a te». Un concetto che si ritrova in tantissime  culture, lontane tra loro nel tempo e nello spazio. Una ulteriore riprova, forse la più evidente, che ciò che si può trovare di buono nella religione non è farina del suo sacco, ma risale ai primordi della storia della nostra specie.

Raffaele Carcano

Febbraio 2012