Eccessi di culture

Marco Aime
Einaudi
2004
ISBN: 
9788806169169

I temi dell’identità, della tradizione, dell’appartenenza a una cultura o a una civiltà hanno fatto improvvisamente irruzione nell’agenda politica, con inevitabili ripercussioni sociali, economiche, culturali. Sono state coniate parole come “multiculturalismo” , o “intercultura”, che al pari di “cultura” o di “civiltà” faticano a trovare una definizione condivisa. Per contro, movimenti migratorî di imponenti dimensioni hanno spinto il mondo occidentale a interrogarsi sulla validità delle proprie categorie di pensiero: ed ecco allora altri termini, come “extracomunitario” o “xenofobia”, assurgere agli onori della cronaca. In tutto questo sommovimento, infine, le confessioni religiose sono ritornate a ricoprire un ruolo da protagoniste, spesso in grado di condizionare le scelte di governo in molti Paesi. Controversie sorgono continuamente sulle questioni più disparate. Farne un elenco dettagliato sarebbe impresa veramente improba (o enciclopedica).

In questo agile libro, l’antropologo Marco Aime affronta di petto questi grandi temi, realizzando la miglior sintesi possibile dei problemi sul tappeto. Prendendo spunto da svariati episodi, di cronaca o meno (dal velo ai crocifissi, alla “cultura veneta” promossa dalle istituzioni locali), l’autore fa emergere le tante contraddizioni che albergano nelle discussioni in corso, svestendo di travestimenti posticci una realtà spesso difficile da decifrare.

Particolare attenzione riserva alla nascita (ma ancor meglio si dovrebbe parlare di “costruzione”) dell’identità e della tradizione. La creazione di un’identità è un’opzione politica che le élite al potere (siano esse politiche, culturali o religiose) possono perseguire per delimitare il proprio raggio di influenza. In un mondo globalizzato, la tentazione identitaria (sia essa europea, italiana o locale) rappresenta una suggestione che è ancora più agevole perseguire. Che cosa sia l’identità, ovviamente, è un altro paio di maniche: già il fatto che un concetto così astratto sia “costruibile” dovrebbe rappresentare un campanello d’allarme. Le culture, rileva Aime, «non si incontrano né si scontrano». Sono gli esseri umani che vi si identificano (più o meno coscientemente, più o meno onestamente) a confrontarsi, facendosi interpreti di un comune sentire che spesso non è altro che il proprio sentire di un gruppo di potere. Particolarmente interessanti sono le riflessioni sugli immigrati: lavorando sul concetto di straniero, si può arrivare a constatare come certi atteggiamenti non riguardino solo chi proviene da fuori, ma anche coloro che, benché siano “dentro”, non rientrano nei canoni prestabiliti: nel nostro caso, la minoranza dei non credenti.

La tesi centrale del testo, tanto da fornirgli anche il titolo, è che vi sia un eccesso di attenzione verso le culture. Una ridondanza che, da un lato, sfocia in un eccesso di relativismo (il politically correct, le affermative actions); dall’altro, impedisce di conoscere le vere ragioni che stanno alla base dei conflitti in corso. Non che sia facile trovarle, e non che debbano necessariamente esistere davvero. Il fatto che tutti i conflitti europei degli ultimi cinquant’anni abbiano avuto una copertura religiosa (dall’Ulster alla Bosnia, dal Kosovo a Cipro) dovrebbe quantomeno stimolare qualche riflessione più approfondita: ammesso e non concesso che ciò che sostiene Aime sia vero, e cioè che vi siano altre ragioni sottostanti, ci si dovrebbe chiedere perché la religione può essere “usata” con tale facilità e frequenza per celare interessi inconfessabili. Forse, mi verrebbe da aggiungere, perché è rimasta l’unica risorsa disponibile per rivendicare impunemente tentazioni altrimenti inconfessabili.

A maggior ragione, ovviamente, non piacerà il passaggio in cui, sostenendo che si dedica troppa importanza al crocifisso, si affaccia la tesi del «fondamentalismo laico»: è sicuramente vero che «non basta infrangere l’ordine simbolico per spezzare un potere», ma non mi sento di condividere l’opinione che «appare vano il tentativo di rafforzare il senso di appartenenza a una religione imponendo agli scolari i suoi simboli così come quello di laicizzare la scuola abolendoli».

Intanto perché togliere il crocifisso non è né una questione di rispetto nei confronti di chi apparterrebbe a un’altra cultura (e su questo è d’accordo anche Aime), né un passaggio per scristianizzare l’Italia, ma l’applicazione concreta di un principio costituzionale. E in secondo luogo perché, come scrive lo stesso Aime diverse pagine più avanti, «non possiamo che constatare l’esistenza di una pratica dell’identità». E il tentativo di creare un’identità italiana nazional-cattolica, che trova un autorevole elaborazione nel Progetto culturale del cardinal Ruini, è una realtà ormai incontrovertibile che ha nella crocifizzazione degli spazi pubblici una delle sue manifestazioni più concrete.

Comunque, è soprattutto il multiculturalismo a finire sotto torchio. Aime lo definisce un mito che «finisce per essere una riproposizione, in chiave non conflittuale, della diversità culturale». I suoi corifei (come Charles Taylor), ponendo l’attenzione sull’importanza delle comunità, non fanno che dare una riverniciata, a mio avviso, al millet di ottomana memoria, in cui ogni comunità regolava le controversie al proprio interno. Che un sistema di questo tipo abbia anche funzionato (in società autocratiche, in determinati periodi storici) è fuori discussione: ma è assai discutibile che possa essere considerata la panacea in una società, come la nostra, che colloca i diritti dell’individuo al di sopra dei diritti del gruppo (sia esso rappresentato dalla famiglia, dalla confessione religiosa, dal partito, dallo Stato). Può darsi che proprio l’individuo costituisca l’obbiettivo di tale “eccesso di culture”: una persona che è capace di rifiutare ogni classificazione, che rivendica il diritto a non essere classificato o di assumere su di sé una pluralità di appartenenze, e senza che nessuna di esse risulti predominante. Al proposito l’autore, con bella immagine, ricorda come «le persone di una persona sono numerose».

In Italia, da questo punto di vista, siamo riusciti a combinare gli effetti negativi del monoconfessionalismo (con la religione cattolica depositaria di privilegî indiscussi e indiscutibili) e del multiculturalismo (con le Intese che regolano i rapporti con le confessioni di minoranza): è stata così creata una “piramide dei diritti” che somiglia, un po’ sinistramente, alla piramide feudale costituita da re, vassalli, valvassini e valvassori. Aime sottolinea invece come sia necessario spostarsi nella terra di nessuno, quella striscia vuota che insiste tra le barriere culturali, e lì avviare un confronto. Difficile capire quanto sia percorribile, laddove gli agenti morali impongono costumi che non lasciano molti margini all’individuo (come fa l’islam) o rivendicano principî non negoziabili (come nel caso della Chiesa cattolica).

Il volume finisce con il simpatico aneddoto di un parroco su una scuola tutta presa dal desiderio di cucinare il couscous ideale, che finisce per scoprire che la versione preferita dal bambino marocchino contiene i tortellini. Uno di quegli esempi che fanno facilmente presa, ma che chissà quanto sono realmente rappresentativi. Le cronache sono piene di notizie di violenze fisiche e verbali perpetrate, in nome della difesa della propria identità, indifferentemente dall’immigrato pakistano come dall’onorevole Calderoli. Storiella per storiella, ricordo quella dell’uomo che in piena notte viene fermato, a Belfast, da uno squadrone di paramilitari. L’uomo, non riuscendo a capire a quale fazione appartengano, cerca di cavarsela sostenendo essere ateo, ma a muso duro gli domandano: «Sì, ma ateo cattolico o ateo protestante?». Brutta cosa avere identità prefabbricate…

Di fronte a problematiche così importanti nessuno dispone di risposte risolutive. Non le hanno le religioni, nonostante affermino il contrario, ma non le hanno neanche gli antropologi. Nemmeno le ha l’UAAR, sia chiaro. Si può però, quantomeno, cominciare a rifletterci seriamente sopra. E questo libro costituisce un’importante e stimolante occasione per farlo.

Raffaele Carcano
Marzo 2007