L’animale irrazionale. L’uomo, la natura e i limiti della ragione

Danilo Mainardi
Mondadori
2002
ISBN: 
9788804508151

L’etologia può spiegarci perché crediamo? A questa domanda, che dà il titolo al primo capitolo, Mainardi risponde positivamente. Bel colpo: toglie subito di torno il luogo comune secondo cui la scienza non avrebbe il diritto di occuparsi di ciò che è metafisico. In realtà credere è un comportamento e in quanto tale può essere studiato («i comportamenti possono essere studiati come se fossero organi», diceva Konrad Lorenz), usando il metodo comparativo - dunque le categorie di analogia e omologia - per ricostruirne la storia evolutiva.

«A determinare la comparsa, lo sviluppo e il permanere dell’umana capacità di credere è stato un peculiare assommarsi di caratteristiche mentali e sociali» (p. 13), molte delle quali condivise - anche se in forme meno complesse - da altre specie animali. Altro bel colpo: l’uomo è in tutto e per tutto un animale tra gli altri anche nei comportamenti pretesi spirituali, comunque connotati dall’autore - terzo bel colpo della serie - come “irrazionali”.

Le caratteristiche mentali e sociali che presiedono all’“irrazionalità/spiritualità” vengono ricostruite da Mainardi secondo un ordine che va dal semplice al complesso e che ci fa incontrare altri “animali irrazionali” e insospettabilmente “spirituali”: dai piccioni superstiziosi (oggetto di uno storico studio di Skinner del 1948, Superstition in the Pidgeon), ai merli che trasmettono superstizioni ad altri merli, ai topi che comandano robot con il pensiero (nell’esperimento condotto da John Chapin presso la Hahnemann Medical School di Philadelphia), agli scimpanzé che mentono, alle ritualità che caratterizzano le società animali, alle gerarchie e cerimonie particolarmente complesse osservate in colonie di scimmie che vivono negli zoo - dunque in situazioni artificiali che comportano anche relazioni con uomini. Le società umane conoscono poi un’accelerata evoluzione culturale che fa aumentare vertiginosamente, da un lato, la complessità dei ruoli, delle gerarchie e degli apparati della trasmissione culturale; dall’altro, la distanza dalle altre specie viventi, fino al punto di produrre «l’illusoria idea dell’uomo fuori o al di sopra della natura» (p. 134).

È dunque una somma di capacità mentali e attitudini sociali accresciute che ha determinato, nell’animale Homo Sapiens, lo sviluppo degli atteggiamenti irrazionali. Il di più di irrazionalità/spiritualità è, in primo luogo, una risposta adattativa a un di più di razionalità che comportava alcuni effetti psicologicamente difficili da gestire - primo tra tutti la consapevolezza della morte. In secondo luogo, una conseguenza - e uno strumento - delle relazioni di potere. Qualcosa che, per certi versi, ci ha aiutato a vivere meglio - «soprattutto a morire, meglio» (p. 4); per altri, ha alimentato quei grandi e potenti movimenti organizzati che sono le religioni con ricadute che «non sempre sono un bene per tutti gli individui» (p. 149).

In tempi in cui si riaffaccia lo spettro delle guerre di religione, Mainardi così conclude: «Credo davvero sia giunto il tempo di percepire la nuova centralità della cultura naturalistica. Una centralità necessaria per conoscerci meglio e, di conseguenza, per calibrare più positivamente il nostro rapporto con la natura, con i nostri simili, con noi stessi» (p. 154).

Maria Turchetto