L’origine delle specie

Charles Darwin
Newton Compton
2005
ISBN: 
9788854119154

“Le vie del Signore sono infinite”. Questo detto, identificando il bene con il supposto creatore, viene pronunciato per accogliere o auspicare un evento che, anche per vie impervie e sorprendenti, conduce a una cosa buona. Per noi atei e razionalisti sono cosa buona le acquisizioni scientifiche, specialmente se tendono a togliere il velo di mistero che avvolge entità prima sconosciute e, in questo modo, a sconfiggere false credenze, pregiudizi o addirittura imposture. Essendo anch’io permeato dalla “cultura” cristiana, mi è involontariamente balzato in testa questo motto quando ho riflettuto sul modo in cui Charles Darwin è giunto a confutare le tesi creazioniste.

Egli infatti, dopo aver iniziato gli studi di medicina e completato quelli di teologia, col proposito di intraprendere la carriera ecclesiastica, si trovò nel 1831, come studioso non particolarmente esperto di scienze naturali, su una piccola imbarcazione in giro per il mondo, attraverso le isole dell’Atlantico e del Pacifico, il Brasile, la Patagonia, la Terra del Fuoco, il Cile, la Nuova Zelanda, la Tasmania, l’Australia, il Sud Africa. L’enorme quantità di materiali, notizie e osservazioni che raccolse in materia di zoologia, botanica, geologia, paleontologia, i numerosi esperimenti fatti con animali e piante domestici e selvatici, lo spinsero verso approfondimenti sulla vasta letteratura in materia che gli consentirono di porsi il problema dell’origine delle attuali specie animali e vegetali. Perfino la lettura dell’opera di un prete reazionario, quale fu il noto demografo ed economista Thomas Malthus, cui si devono alcune intuizioni sulla crescita esponenziale della popolazione e sulla lotta e selezione naturale per la sopravvivenza, gli consentì di aggiungere un indispensabile tassello alla teoria evoluzionistica. E poi le acquisizioni di un altro credente, il geologo Robert Chambers, cui il buon Dio aveva regalato un dito in più per ciascun arto e un’infermità causata dal tentativo di eliminarlo chirurgicamente, fecero parte del suo bagaglio culturale. Gli fu di un certo aiuto perfino il celebre lavoro dell’economista classico Adam Smith sulla competizione economica. Più lineare fu invece il debito verso gli studi anticipatori del nonno Erasmus. Comunque, se fossi credente, mi verrebbe di pensare che il Signore ci abbia messo un certo impegno per offrire al mancato prete, anche per le vie più impensabili, la possibilità di constatare l’incompatibilità tra le tesi creazionistiche e l’obiettiva osservazione della natura.

Il recente rinnovato ostracismo dei circoli reazionari verso l’opera darwiniana, ci dice, al contrario, che la “religiosità” dei creazionisti è dogmaticamente appiattita sulle indifendibili, almeno nella loro interpretazione letterale, “Sacre Scritture” e non prevede un dio così propenso a favorire la conoscenza.

Occorre però laicamente riconoscere che anche le vie del demonio sono infinite, infatti il monumentale lascito Darwiniano è stato talvolta utilizzato per scopi poco nobili: si veda il darwinismo sociale e perfino l’eugenetica, anche se certi razzisti dovrebbero riflettere sull’origine comune di tutti i viventi e sul ruolo positivo che l’Autore attribuiva agli incroci. Ma questo è un altro discorso.

Il notissimo libro di Darwin, in oltre 400 dense pagine, mette insieme il mosaico delle sue minuziosissime osservazioni, dei suoi esperimenti e delle sue letture, cercando di dare una spiegazione coerente ai fenomeni osservati, sia quelli che evidentemente confermavano le sue intuizioni sia quelli che parevano contraddirle, ma che invece non erano con esse incompatibili purché si ragionasse sulla storia geologica del nostro pianeta, sull’incompletezza delle documentazioni geologiche, sugli apparenti “salti”, non documentabili nelle forme intermedie, avvenuti nel lungo tempo intercorso tra una stratificazione geologica e la successiva. Numerosissimi invece sono i fenomeni segnalati come assolutamente incompatibili con l’ipotesi che le varie specie siano il frutto di distinti atti di creazione.

La sua teoria è assai nota: le specie animali e vegetali che possiamo vedere oggi e quelle di cui resta traccia nei fossili, si sono formate per selezione naturale agente sulla variabilità dei caratteri che casualmente si verificano e che vengono conservate e accumulate solo se e in quanto utili alla sopravvivenza di una determinata specie, alla sua battaglia contro le specie concorrenti; tale accumulazione, nell’arco di periodi lunghissimi, determina la formazione prima di nuove varietà, le quali giungono a differenziarsi sempre di più fino a formare nuove specie e così via interessando tutti i livelli della classificazione (varietà, specie, generi, famiglie, ordini, classi).

Sappiamo anche che molte delle sue intuizioni sono state confermate dai progressi attuali della scienza genetica, mentre ben poche, e soprattutto non decisive, risultano quelle che ne vengono falsificate.

Meno conosciuta ai più è la minuzia delle numerosissime osservazioni e degli esperimenti effettuati per ricostruire un puzzle coerente che possono qui essere ricordate solo in maniera assai incompleta e che pertanto meritano una lettura diretta: le variazioni delle specie domestiche in confronto al quelle delle specie selvatiche; l’evoluzione degli stessi istinti degli animali; il trasferimento di caratteri di insetti sterili nelle specie organizzate con differenziazione di ruoli sociali (per esempio le formiche operaie); i caratteri degli embrioni e la loro evoluzione, assai diversi da quelli degli organismi adulti; la fecondità o meno degli ibridi e degli incroci; la comparsa, talvolta episodica, di caratteri comuni tra specie diverse e che erano stati perduti da molto tempo o la incredibile rassomiglianza delle caratteristiche di alcuni organi, perfino nel caso in cui le loro funzioni si siano differenziate nel tempo, di specie assai diverse; la somiglianza tra organismi di territori oggi tra di loro isolati, ma che in altre ere geologiche potevano essere comunicanti; l’identità invece tra organismi, viventi in aree geografiche ugualmente separate, ma dotati di caratteristiche che li rendono idonei al trasporto per mezzo di “vettori” naturali; l’importanza della competizione tra i vari organismi, maggiore di quella della componente climatica; le differenziazioni individuali come primo passo verso le differenze tra varietà e la difficoltà di stabilire confini precisi tra le varie gerarchie di classificazione a causa della gradualità delle mutazioni, e quindi anche del passaggio tra uno stadio di differenziazione e un altro più marcato….

Insomma una ricchezza di osservazioni senza pregiudizi, secondo un corretto metodo scientifico che merita mettere in confronto con l’apriorismo ratzingeriano, secondo cui “la ragione ha bisogno della fede per arrivare ad essere totalmente se stessa: ragione e fede hanno bisogno l’una dell’altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione” (Lettera enciclica “Spe salvi” del sommo pontefice Benedetto XVI).

Al contrario dell’attacco ratzingeriano al cosiddetto “scientismo”, Darwin, di fronte alla mole di osservazioni effettuate, non può che rigettare la propria precedente fede nella creazione. Secondo lui, credere a un’improvvisa comparsa di strutture meravigliosamente adatte alla sopravvivenza, significa “entrare nel mondo del miracolo, abbandonando quello della scienza”. Per questo respinge le asserzioni di un presunto un “piano della creazione” o di una “unità di disegno” che, anche nella forma, rassomiglia fin troppo al “disegno intelligente” in auge oggi negli USA e da contrapporre, secondo i teocon, all’insegnamento della teoria evoluzionistica nelle scuole pubbliche.

Merita di essere segnalato un importante elemento di attualità del lavoro darwiniano e in linea col recente pensiero ecologista. Egli ha intuito correttamente il rapporto degli organismi viventi con l’ambiente, osservando che “la struttura di ciascun essere vivente è correlata nel modo più essenziale, eppure spesso più occulto, con quella di tutti gli altri esseri viventi”. Così pure evidenzia i grandi mutamenti che possono essere innescati da una modifica anche lieve di una specie, in altre. Quando osserva che “l’esportazione di un solo albero o mammifero esercita un effetto rilevantissimo” sugli equilibri ambientali, o intuisce che la ricchezza della variabilità e delle varietà sono un patrimonio utile all’evoluzione, parla anche a noi viventi nel 21esimo secolo e ci aiuta a un approccio corretto e cauto nei confronti delle moderne tecnologie biologiche, dell’ingegneria transgenica, delle monocolture massive ecc.

L’edizione esaminata include una valida introduzione di Piero Omodeo che contestualizza le scoperte di Darwin all’interno della letteratura dell’epoca e che ci aiuta nella lettura.

Discutibile ci pare invece la scelta di utilizzare come testo principale quello della prima edizione dell’opera, mettendo solo in nota le varianti che Darwin stesso introdusse nella sesta edizione. A nostro parere poteva essere fatto il contrario: usare come testo principale la più completa, aggiornata e articolata versione della sesta edizione e documentare in nota le differenze della prima. Altra carenza non di poco conto è la mancata riproduzione di uno schema grafico cui Darwin fa spesso riferimento nel testo.

Condivisibile invece è la scelta di riproporre in appendice un glossario – scritto dallo stesso Darwin – che spiega ai non addetti ai lavori il significato di alcuni termini scientifici. Tale glossario però è alquanto incompleto e il lettore non esperto è costretto a ricorrere spesso ad altri strumenti informativi. Sarebbe forse valsa la pena di completare tale glossario in una forma che non pregiudicasse la possibilità di distinguere la farina del sacco dell’A. da quella del curatore.

Ascanio Bernardeschi

Circolo UAAR di Pisa

Giugno 2011