Le imposture degli antichi e i miracoli dei moderni

Carlo Augusto Viano
Einaudi
2005
ISBN: 
9788806160982

Finalmente un filosofo che bacchetta i filosofi – soprattutto quelli nostrani, giustamente – per l’eccessiva compiacenza verso preti, papi, santi e miracoli. In questo libro Viano ce l’ha soprattutto con i miracoli: stufo del sangue di San Gennaro (del cui scioglimento i telecronisti danno notizia «con la stessa sicurezza con cui ragguagliano sugli incidenti stradali»), stufo delle madonne che piangono, delle apparizioni di Fatima, dell’esercito di santi proclamati da Giovanni Paolo II (e «si sa che ogni santo qualche miracolo deve averlo fatto»), esorta a rimettere in auge, per definire tutto ciò, la parola impostura. E accusa la «cultura dotta» di aver contribuito a «rendere normali» – e accettabili – i miracoli con un vecchio trucco: spostare l’attenzione dai fatti al loro significato. Così i filosofi (ma anche «molti storici, sociologi, antropologi e così via»), «tutti persi dietro il senso delle cose e un po’ dimentichi delle cose», dialogano amabilmente con i preti e i santi che oggi invadono la scena mediatica, cercando di riguadagnarsi un posticino alla ribalta.

Partendo da questa coraggiosa premessa, Viano dà il suo contributo di storico della filosofia, ricostruendo una lunghissima vicenda di compromessi tra cultura alta e credenze popolari, tra filosofi e stregoni, tra sapere scientifico e religione rivelata, sempre salvata in corner a suon di interpretazioni allegoriche ad uso delle anime semplici. È un percorso molto erudito (un pochino palloso, per dirla tutta: ma piacerà ai nostri lettori che coltivano il gusto di entrare nel merito delle argomentazioni pretesche), che parte da lontano – dall’impero romano – e si snoda attraverso patristica, scolastica, umanesimo, razionalismo, illuminismo e positivismo, fino ai nostri giorni.

Accanto a una «ragion pratica» che coltiva il vizio di parlare con lingua biforcuta – per i dotti la ragione è una guida sufficiente, ma per gli ignoranti è bene mantenere in piedi il castello delle «utili menzogne» – vediamo acquistare progressivamente spazio una «ragion pura» (scientifica) sempre più rigorosa e meno disposta al compromesso. Ma all’inizio del Novecento la conclamata «crisi delle scienze» interrompe bruscamente l’avanzata del positivismo. Il «nuovo spirito scientifico» che ne emerge è ipotetico, probabilistico, artificiale, anti-intuitivo, appannaggio di pochi specialisti. Non vanta più la pretesa di «rispecchiare» la realtà, né le pur fragili certezze del vecchio empirismo, né l’esclusività della conoscenza, e nemmeno la fiducia di conquistare, almeno in parte, il senso comune. I miracoli e le religioni possono allora riguadagnare credibilità come «altre forme di esperienza, ugualmente legittime». E i filosofi, naturalmente, si precipitano a dare una mano: gli esiti fenomenologici ed ermeneutici, in particolare, secondo Viano, lavorano in questa direzione.

E allora Viano propone un’altra mossa. Non si tratta più di contrapporre ai prodigi le certezze scientifiche, ma di giocare un’altra carta della cultura occidentale: quella della separazione del potere politico dal potere religioso, che è costitutiva delle nostre società. Ciò significa confinare la religione nella sfera privata e interdire la sfera pubblica alle credenze. Nella sfera pubblica, insomma, bisogna agire come se dio non ci fosse: come auspicava Bonhoeffer ed esattamente il contrario di quanto suggerisce la strana coppia Ratzinger-Pera. «La vera barriera che i miracoli non possono varcare, nelle società nelle quali l’esperienza pubblica è stata modellata da tecniche di accertamento attendibili e non ammette effetti di poteri straordinari, è appunto quella che garantisce l’esperienza pubblica dalle irruzioni delle credenze private. Queste intrusioni sono imposture».

D’accordissimo. Solo darei un po’ più fiducia al sapere scientifico. La «riduzione delle leggi naturali al rango di antipatiche invenzioni umane, rozze e meccaniche», le immagini riduttive o demonizzanti della scienza, le declinazioni in termini irrazionalisti della «crisi dei fondamenti» sono anch’esse, molto spesso, «imposture». Imposture di una tradizione filosofica assai radicata in Italia (lo stesso Viano, nell’Introduzione, evoca i danni prodotti da Benedetto Croce) che con le scienze ha perso definitivamente i contatti; una tradizione filosofica che – come scriveva Louis Althusser – «attende al varco le difficoltà, le contraddizioni, le ‘crisi’ interne delle scienze come altrettanti insuccessi che essa volge […] ad maiorem Dei gloriam, esattamente come alcuni religiosi aspettano l’avvicinarsi della morte per gettarsi sul moribondo infedele e infliggergli, nell’agonia, gli ultimi sacramenti».

Maria Turchetto, da L’Ateo n. 5/2005