La giustizia intollerante

Inquisizione e tribunali confessionali in Europa (secoli IV-XVIII)
Elena Brambilla
Carocci
2006
ISBN: 
9788843038756

La nostra società, così culturalmente condizionata da una Chiesa, sembra incapace di offrire agli studiosi stimoli adeguati per affrontare scientificamente il fenomeno religioso: si veda, ad esempio, il penoso stato in cui versa la sociologia, nonché la pressoché totale latitanza di studi psicologici autorevoli. Al contrario, gli storici continuano a rappresentare un baluardo di non poco conto: circostanza ancora più rimarchevole, poiché studiare storicamente la religione, in Italia, significa anche dover ricevere il placet dei diffidenti custodi degli archivi ecclesiastici.

Continuiamo dunque a disporre di opere documentate e indipendenti, in particolar modo sull’Inquisizione. Ciononostante, la maggior parte dei lavori séguita a prendere in esame un solo periodo storico, l’età moderna (e in particolare il XVI secolo): rari gli studi sull’inquisizione medievale, e praticamente assenti le trattazioni relative alla tarda antichità. Una circostanza che dipende, ovviamente, in primo luogo dalla scarsità di documentazione disponibile: ma anche un corpus giuridico veramente imponente come quello rappresentato dai Codici teodosiano e giustinianeo ha finora ricevuto un’attenzione decisamente minimale.

Poste queste premesse, La giustizia intollerante si presenta come una novità significativa. Salvo errori, rappresenta infatti il primo tentativo di esaminare un fenomeno religioso (e non solo), quale la repressione giuridica del dissenso da parte della Chiesa cattolica, per l’intero arco temporale di quindici secoli in cui ha avuto luogo (una lunga durata, direbbero i tipi della scuola delle Annales). Benché l’analisi abbia, anche in questo caso, prediletto la storia moderna - l’autrice, del resto, è docente di questa materia – non può che essere accolto positivamente uno studio sull’Inquisizione che parta dalle sue remote premesse storiche.

Si trattasse solo di questo, saremmo in presenza di un buon lavoro compilativo e niente più. Al contrario, dalla lettura emergono anche spunti originali che meriterebbero un ulteriore approfondimento. Innanzitutto, la presentazione dei tribunali confessionali come strumenti dediti alla repressione delle opinioni dissenzienti: è importante capire che, colpendo gli eretici e gli apostati, non ci si limitava a punire gli eterodossi, ma si avviava un meccanismo che, su più larga scala, colpiva la libertà di espressione in tutte le sue forme. Non è un caso che, fin dagli albori dell’impero romano-cristiano, la devianza religiosa non sia stata semplicemente sanzionata con la scomunica, ma abbia costituito anche un delitto di lesa maestà, penalmente perseguibile.

È questo un approccio importante, perché permette di riconsiderare il sistema di controllo sociale instaurato dalla Chiesa alla luce delle consistenti similitudini con i regimi autoritari del Novecento. Brambilla è molto decisa su questo punto: «Il più prossimo equivalente dell’inquisizione di fede non è la giustizia penale ma la giustizia politica dei moderni Stati totalitari». I tribunali di fede, infatti, «non mirano ad assolvere o punire ma a convertire, ossia a costringere all’abiura: come tutte le censure totalitarie, sono strumenti di propaganda ideologica della verità e dell’unità confessionale». «Chi confessa-abiura è perdonato – non assolto – e chi non confessa è condannato come ribelle e ostinato»: nessuno viene assolto come innocente e, come nel romanzo 1984, solo una parte minoritaria dei processati viene condannata, «quelli così eroici da rifiutarsi di tradire […] I roghi sono soltanto quelli in cui l’inquisizione ha fallito; e ogni condanna per fede è la condanna di un innocente».

Un altro tema su cui si incentra l’attenzione dell’autrice è la doppia funzione del battesimo, religiosa e civile. Non è mai stato adeguatamente sottolineato come questa doppia appartenenza abbia sancito l’impossibilità de facto di non essere cattolici, in quanto la fuoriuscita dalla comunità religiosa equivaleva all’uscita della comunità civile, con conseguente perdita di ogni diritto. Non è dunque stata la fine dei tribunali dell’Inquisizione a inaugurare l’era della separazione tra lo Stato e la Chiesa, ma la creazione dei registri anagrafici pubblici, che non rendevano più indispensabile il battesimo per godere dei diritti civili.

Ricerche di questo tipo costituiscono dunque la migliore risposta ai revisionisti cattolici, preoccupati di cancellare le ombre che l’operato dei tribunali di fede continua a proiettare sulla Chiesa contemporanea. Ricordare come i riti penitenziali descritti da Tertulliano siano molto simili agli autodafé cinquecenteschi aiuta a comprendere come la repressione del dissenso d’opinione non costituisca un accidente storico, ma faccia invece parte della struttura ideologica del cristianesimo. Non è pertanto detto che, come il rimosso freudiano, non possa un giorno riemergere.

Raffaele Carcano
Marzo 2008