Una storia del bene. Alla riscoperta di un’etica laica

A. C. Grayling
EDIZIONI DEDALO
2006
ISBN: 
9788822005625

Dopo Il significato delle cose e La ragione delle cose, il filosofo inglese A.C. Grayling vuol mirare ancora più in alto: se prima si soffermava sulle grandi questioni etiche, questo suo nuovo lavoro traccia una storia della riflessione etica nella filosofia occidentale. Una sfida impegnativa, anche perché l’autore si è posto l’obiettivo di scrivere «un’indagine non accademica sul dibattito relativo al bene e alla vita buona». Ma anche una sfida molto affascinante, per l’interpretazione esplicitamente di parte che Grayling dà di due millenni e mezzo di storia del pensiero: «la mia posizione è che il progresso umano si è per lo più verificato a dispetto delle reazioni religiose, e che gran parte delle umane sofferenze, a eccezione di quelle causate da malattie o altri eventi naturali, è stato il risultato di conflitti ispirati dalla religione e di un’oppressione basata sulla religione».

Il corso della storia della filosofia viene quindi diviso in tre grandi cicli: sei o sette secoli di riflessione umanistica, oltre un millennio di egemonia culturale cristiana e altri sei secoli di lotta tra un rinato pensiero illuministico e una perdurante influenza religiosa. Il primo periodo, quello classico, a detta di Grayling è soprattutto una lunga riflessione sull’uomo: le diverse interpretazioni avanzate dalle antiche scuole filosofiche avrebbero un sostrato comune, basato su un atteggiamento non dogmatico e di libera ricerca che sarebbe scomparso nei secoli seguenti. A parere di chi scrive Grayling sottovaluta un poco sia il dogmatismo platonico sia le profonde consonanze dell’etica stoica con quella cristiana: lo schema, tuttavia, sostanzialmente regge, perché nessun pensiero classico ha mai ambìto a rappresentare l’unica concezione esprimibile pubblicamente.

Il capitolo cruciale del libro è il quarto, dedicato all’avvento del Cristianesimo. L’autore sottolinea più volte come l’etica cattolica si basi sostanzialmente su presupposti metafisici: è quindi necessario ribadire che «la moralità e la metafisica non si giustificano né si richiedono a vicenda, e le questioni morali vogliono essere fondate e giustificate sulla base dei propri meriti in riferimento a ciò di cui si occupano, precisamente, la vita degli esseri umani nella loro organizzazione sociale. Questa è la lezione di tutti gli illuminismi […] e nessun argomento o prova è mai stato in grado di confutarli».

L’etica religiosa consiste sostanzialmente nella sottomissione a istanze di supposta origine sovrannaturale, e ne consegue che la minaccia di punizioni ultraterrene non rappresenta una motivazione ragionevole, in quanto fa appello alla forza. Né miglior fortuna possono riscuotere gli inviti a obbedire a Dio «perché è buono» (in quanto presuppone l’esistenza di un criterio di bontà indipendente da Dio), o perché «una divinità mira davvero a garantire il nostro benessere a lungo termine», e dunque sarebbe meglio obbedirgli, anche quando i suoi comandamenti non ci appaiono condivisibili (tesi smentita dall’astrusità del Dio del racconto vetero-testamentario e dalla illogica sofferenza inflitta sulla Terra anche ai più pii devoti). Qualcuno rivendica la necessità di amare un Dio che ci ama: ma anche in questo caso l’argomentazione è fallace, in quanto ci viene richiesto di accettare come valido il ragionamento «A ama B e pertanto B deve fare come A richiede».

L’essenza della religione è dunque un’adesione acritica e irrazionale: una base inconsistente per costruirvi sopra un’etica, e con ancora maggior ragione se si tratta di quella cattolica, che trae spunto da una morale evangelica e paolina decisamente limitata (se confrontata con il pensiero greco o con la riflessione buddista e confuciana che l’ha preceduta), e per questa ragione costretta a ricorrere nel corso del tempo ad altre correnti di pensiero (stoicismo, platonismo, aristotelismo). Espediente che non impedisce di occultare il vizio di origine delle morali salvifiche: «è importante notare quanto la vita umana debba essere denigrata in questo mondo per rendere attraente la promessa di una felicità post-mortem – e solo a condizione che si faccia ciò che viene richiesto». Anche dal semplice confronto può dunque emergere il maggior valore di una morale umanistica: «se vedo due uomini che agiscono bene, uno perché desidera sfuggire alla punizione imposta da una presunta entità sovrannaturale, l’altro perché ama i suoi simili, io rispetto quest’ultimo infinitamente di più».

Il testo prosegue con la descrizione della rinascita del pensiero laico, prima con l’Umanesimo (quando ancora si reputava possibile accordare fede e ragione) e poi con l’Illuminismo, Hume e Kant. Nell’Ottocento l’etica laica farà ulteriori progressi grazie all’evoluzionismo e alla critica biblica, a Mill e a Nietzsche. Nel XX secolo la riflessione filosofica è rimasta confinata in un ambito soprattutto accademico: ciononostante temi come quelli della bioetica, dell’eutanasia e dei limiti della ricerca scientifica ne hanno riproposto con forza l’attualità. Palesando così ancora una volta l’inadeguatezza delle moralità religiose, le quali hanno reagito con un surplus di fondamentalismo di cui non si sentiva affatto il bisogno. Lo scontro, ahinoi, è più in corso che mai.

Il volume si chiude cercando di rispondere alla domanda fondamentale: «Cos’è il bene?». Secondo Grayling, in breve, è «la miglior vita umana umanamente vissuta in un mondo umano». Una voluta ripetizione che, lungi dall’essere limitante, dischiude al contrario tutte quelle potenzialità che un approccio religioso non sarà mai in grado di esprimere.

Raffaele Carcano
Ottobre 2006